Stilus Magistri

La “buffétte” di Carnevale a Scuola

Letteratura proverbiale in vernacolo e Letteratura latina

Entrando in casa, a Scuola, si chiede "permesso", come insegna Papa Francesco, poi si chiede "scusa" per qualche disappunto e in fine si dice "grazie", per l'accoglienza e la condivisione.
Ma quando si viene invitati dai giovani studenti del Liceo Enrico Fermi di Canosa, si risponde con spirito di servizio volontario, che supera anche le fragilità fisiche.
Così recandomi in classe III B, con la guida della prof.ssa di Lettere, Giulia Giorgio, abbiamo dialogato con i giovani, tra i quali alcuni ex alunni, che ricordo vestiti in maschera in piazza Vittorio Veneto in un percorso scolastico del 2008.
Attraverso alcune rime in dialetto, scritte senza omettere la "e" semimuta del dialetto, abbiamo presentato la tradizione popolare del Carnevale canosino, dei fantocci di "Carnevale e la moglie". Era il tempo "quando eravamo povera gente", come scrive Cesare Marchi, ma loro a Carnevale si sedevano alla "buffétte", alla modesta piccola tavola di legno che ho conosciuto a casa di mio suocero, Ceccìlle e su cui anche mia moglie Elena ha studiato. Il francesismo "buffet" ci aiuta a comprendere linguisticamente la "buffétte" delle nostre case nel 900, mentre i fantocci si sedevano alla tavola imbandita, nei giorni "grassi" di Carnevale.
Certo oggi nel tempo delle diete dimagranti e del sovrappeso, risulta estemporaneo parlare di giovedì e martedì grasso, ma la buffétte di Carnevale ancora oggi ci invita e ci educa ai piatti caserecci della nostra cucina canosina e mediterranea.
Così furono rappresentati i fantocci nel 2006 nei "Supermercati dok", dal compianto Vincenzo Colabene.
Così li rappresentammo nella Scuola Elementare "Enzo De Muro Lomanto nel 1999", con le colleghe Sabina Barbarossa e Clementina Di Biase, con l'arrivo della Direttrice Nadia Landolfi: accanto a Carnevale c'erano "u cìcene, u panarìdde e sàupe a la buffétte, nu bélle piàtte de cuppetìdde e nu vechèle de mìre nèrghe".
Fu l'abbuffata esagerata che fece crepare Carnevale, cui seguì il "funerale a Carnevale", che non va inteso come rito cristiano delle esequie, ma, nella simbologia antropologica, come la fine triste del Carnevale e l'inizio della Quaresima. Spesso si conosce oggi più la tradizione del "funerale a Carnevale", sconnessa dalla tradizione dei fantocci, appesi al muro esterno delle abitazioni, presso la grondaia, il "canale", come ricordo fino agli anni 80.
A Scuola abbiamo terminato con un proverbio in dialetto dei nostri nonni, a voler vivere i momenti di gioia dell'oggi, accostandoli al testo del "carpe diem" del poeta latino Orazio. Il dialetto, da noi vissuto e studiato dal 1972, va studiato nella linguistica, nella storia e nella cultura, nelle radici che risalgono al Medioevo, accostandole principalmente alla letteratura e cultura latina.
Così due studenti, Nicola e Gabriella hanno recitato il testo in vernacolo ed il testo oraziano in Latino, con il supporto concorrente della docente Giulia Giorgio. È la bellezza, dimenticata di recente in Tivù, dei giovani che crescono e studiano e maturano.
Il sorriso della classe ci saluta, mentre riscopriamo la "bellezza dei bambini che fano ooh!, che giocano ed imparano a scuola e diventano amici".
Incontriamo così i bambini delle classi quinte della Scuola de Muro Lomanto, dove facemmo i fantocci: è stato un momento di dialogo, di partecipazione, di saluto alle care colleghe della famiglia scolastica di "santa Lucia", nella grande famiglia magistrale di Canosa, che in questi giorni arricchisce la scuola di creatività, di cultura, di gioia, di festa.
Ottanta bambini, tutti meravigliosamente attenti, che recitano il proverbio delle rime in dialetto, che indirizziamo a noi tutti:
"pìte le bùne quane vène / ca le trìste nan mànghe mèje", (cogli il bello quando capita, perché i guai non mancano mai!).
Il poeta lucano Orazio lo evoca in Latino, forse in qualche taberna canosina dove sostò nel 37 a. C. (Carmina, Libro I, XI, v. 8) : Dum loquimur, fugerit invida / Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero (mentre parliamo, sarà fuggita l'invidiosa età: cogli il giorno, confidando il meno possibile nel domani).

Carnevèle e la megghière

Carnevèle e la megghière
poverìdde, che na facce amère,
ma quanne arròve la féste de Carnevèle
allègre màngene la carne du maièle,

po' mòre e la megghière u chiange apprìse o funerèle…

"cè pecchète, cè pecchète, ò mùrte Carnevèle!"

Mù na resète a Carnevèle
a niscéune de nèu fèce mèle,

se decève na vòlte ca stévene li canèle,
néh, ròte Carnevèle appòse o canèle!.

Assìtete dù e mangème che gùste,
a Carnevèle passe péure la sùste,
mangème le chiàcchiere e la ciambélle,
quane jà dolce, la vòte jà cchiù bélle!

U dòice l'àneme du pòpele e nu dìtte
sàupe a na chiànche ò rumèse scrìtte:
"pìte le bùne quàne vène
ca le trìste nan mànghè mèie"

Mangème a Carnevèle che gùste, ca pàsse pèure la sùste !

Viva il Carnevale canosino!

maestro Peppino Di Nunno
6 fotoLa “buffétte” di Carnevale a Scuola
Carnevale, la moglie e i bambini di ScuolaCarnevèle e la megghièreCarnevale a ScuolaCarnevale a ScuolaCarnevale a ScuolaCarnevale a Scuola
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