Dove abita la Storia: il Milite Ignoto
Nel ricordo dei canosini Iacobone Francesco e Patruno Michele
lunedì 4 novembre 2013
9.42
Sulla linea del Piave, il 24 ottobre 1917, l'esercito italiano riconquista le posizioni perdute e sfonda a Vittorio Veneto, disgregando completamente l'esercito austriaco, facendo in modo che all'imperatore Carlo I non resti altra scelta che firmare la resa. Era il 4 novembre 1918. La Grande Guerra! Una guerra seria, profondamente sentita da coloro che vi parteciparono. Una guerra di indipendenza, secondo alcuni storici, che completò il nostro territorio e contribuì a cementare il senso di unità nazionale, proprio con le sue distruzioni, sacrifici, sofferenze patiti insieme. La grande guerra è stata davvero per gli italiani la prima vera esperienza collettiva, la prima tragica pagina di una storia comune: quando si trattò di andare all'assalto in terre sconosciute, per conquistare città di cui non avevano mai sentito nominare, i fanti analfabeti si lasciarono condurre al macello con crescente ribellione, coscienti del non senso di ciò che erano costretti a fare, ma quando, dopo Caporetto, si trattò di difendere la patria, la casa, la famiglia, i ragazzi del "99" seppero resistere sul Grappa da soli, prima che giungessero i rinforzi francesi ed inglesi.
Fu in quei giorni cruciali in cui, secondo Benedetto Croce, si decideva il destino d'Italia per i secoli a venire. Fu sul Grappa e sul Piave che fu chiaro agli occhi dell'opinione pubblica nazionale ed internazionale che l'Italia non era un'invenzione delle élites culturali, un'utopia di giovani studenti ed operai, un affare per gli speculatori di guerra. La Resistenza del 1918 sul Piave, ancor prima della Resistenza del 43/45, fu la fiera prova che l'Italia non sarebbe mai più stata un'espressione geografica, come la pensava Metternich, primo ministro austriaco, ma era diventata una realtà irreversibile, uno Stato, una Nazione, giovane sì, ma non meno solida di altri costituiti da secoli. È vero, fu una prova terribile per l'Italia Unita, poteva scomparire e invece fu un fatto compiuto, ritrovò se stessa e la sua identità di Nazione. La prima guerra mondiale ha dimostrato che gli italiani sanno battersi fino al sacrificio per cause giuste e ciò ha elevato il prestigio dell'esercito italiano, rispetto agli anni precedenti, considerato come un fastidio da evitare o un affare tutto economico da spartire. Ancora oggi l'esercito italiano gode di un prestigio molto elevato all'estero, i nostri soldati sono i migliori negli interventi operativi in cui vengono coinvolti durante le missioni di Pace.
Non a caso il 4 novembre è stato scelto per onorare le Forze Armate. La guerra fu una cosa seria per moltissimi volontari e non, essi non amavano la guerra, tanto meno il modo scriteriato con cui veniva fatta. Non si approvava che si perdessero tante vite per mancata preveggenza o insufficienza di mezzi, ma se per cementare la storia futura della Patria c'era bisogno anche di quel "sangue" così dolorosamente versato, non ci si poteva tirare indietro con la scusa che i generali italiani fossero tanto "ignobili carnefici". "In un giorno, ancora giovane, camminando sul Carso, quando i sassi e i fiori mi diranno le cose che io ho già dette, allora uno slavo mi scaglierà addosso un sasso corroso e forte e pieno di spigoli. E io cadrò giù sul Carso. Non nel letto con lacrime e puzza e bisbigli e passi e canti nella stanza. Voglio morire alla sommità della mia vita, non giù." Sono le parole di un giovane volontario, Scipio Slataper, morto, come lui stesso aveva previsto, il 3 dicembre 1915 sul Podgora, il Calvario, come lo chiamavano i soldati, colpito da una pallottola croata o bosniaca.
<< Trovandoci davanti al Vittoriano ci si sentiva come dei pesci in un acquario pieno di estranei, ma questa sensazione svanì entrando nel museo del Risorgimento, il nostro habitat naturale, in cui sono conservate le radici della nostra storia. Ci siamo resi conto, durante la visita, che l'Italia è diventato Stato nazionale grazie ad eroi ed avvenimenti dimenticati. Qui ci ha colpito la lettera di un soldato triestino, Antonio Bergamas, scritta alla sua mamma un anno prima di essere falciato da una mitragliatrice, la quale spesso non capiva , insieme ad altri genitori, perché i figli dessero la vita per una terra in cui non erano mai vissuti e che non avrebbero mai conosciuto. """Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non ci sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto sia andato a morire sui campi di battaglia. Perdonami dell'immenso dolore ch'io ti reco e di quello ch'io reco a mio padre e a mia sorella, ma credilo mi riesce mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese, al mare nostro, per la patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una Patria che non era la mia e che io odiavo. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso Selvaggio""".
La nostra commozione trasfigurava i nostri volti, i cuori battevano per lui! È una delle più belle pagine della nostra storia >>. Sono la testimonianza, le emozioni raccolte da un gruppo di ragazzi di terza media, al ritorno da un viaggio di istruzione a Roma. Queste parole devono far riflettere: la memoria della Grande Guerra si è spenta, forse per i troppi errori, sofferenze, disastri, ma dobbiamo compiere una lotta di liberazione della memoria, che è la speranza del futuro, per far emergere, per non dimenticare il valore, il sacrificio dei nostri soldati in un conflitto in cui tutta l'organizzazione militare, dalla vita nelle trincee agli scontri diretti, annullò i valori di umanità tanto da ricevere l'appellativo di "inutile strage" durante il 1917 quando cominciarono le prime resistenze ai massacri e le condanne degli stessi ufficiali indignati: """Chissà quelle mucche gravide, quegli acquosi pancioni di ministri e di senatori e di generaloni, chissà come crederanno di aver provveduto alle sorti del loro paese con i loro discorsi, le visite al fronte, le interviste. Ma guardino, ma vedano, ma pensino come è calzato il 5° reggimento degli alpini! Ma Salandra, quello scemo balbuziente di un re, ma quei deputati che vanno a vedere le trincee domandassero conto di noi…""" [Gadda]
La memoria storica della grande guerra non è sopita, è davanti a noi, in ogni paese dell'Italia, dal più piccolo al più grande, ci sfugge la "conoscenza", "principio dell'amore e del sale più sapido dell'Universo" come dicevano rispettivamente S. Benedetto e Galileo Galilei, la cui astinenza inaridisce lo spirito dell'uomo, lo raffredda, lo priva della speranza, dei desideri. Quale conoscenza? IL MILITE IGNOTO. Non c'è borgo, paese o città, in cui non ci sia qualche pietra lapidare che non ricordi qualche caduto in questa guerra. Anche a Canosa di Puglia(BT), in Corso Garibaldi e in Via Gramsci sono riposte due lapidi dedicate al sacrificio di due nostri concittadini, caduti nella Grande Guerra, rispettivamente Michele Patruno e Francesco Iacobone, le cui grida, sul campo di battaglia, di amore patriottico come soldato e di servizio coraggioso come medico, continuano a risuonare ancora oggi di monito e di speranza, a lavorare insieme per costruire una Patria che abbia sempre a cuore il Bene Comune, la Vita e non senta più la necessità di ricorrere alla violenza, qualunque sia la sua matrice. Questo non è bastato per ricordare i tanti caduti in questa grande strage bellica. Lo Stato italiano si fece promotore dell'invenzione di un simbolo felice e potente di questa tragedia: il milite ignoto. Il "Vittoriano" a Roma è luogo di una doppia memoria storica: fu inaugurato nel 1911 dal presidente del Consiglio Giovanni Giolitti in onore del re Vittorio Emanuele II che aveva costruito l'Unità d'Italia, consacrandolo come "Padre della Patria". Con un disegno di legge del giugno 1921 il monumento viene designato per accogliere una nuova memoria: il "milite ignoto".
La madre, una ebrea popolana, di Antonio Bergamas, il soldato della commovente lettera menzionata prima, fu chiamata a scegliere a caso nel Duomo di Aquileia(UD), fra undici bare di fantaccini sconosciuti, come suo figlio, quella del soldato che sarebbe diventato il milite ignoto. Ella si tolse lo scialle nero e con uno slancio penetrante, quasi come un abbraccio amorevole, cadde sulla seconda bara. Invitata ad uscire, rifiutò di obbedire, volle continuare a stringere nel suo abbraccio materno le altre salme, quasi per farsi perdonare della preferenza fortuita. Ma l'emozione di madre la vinse e svenne senza poter salutare l'ultima salma. Visse ancora per molti anni, sperimentò il diritto di voto, riconosciuto per la prima volta alle donne, simbolo della nuova patria democratica, per la quale il figlio era morto in una terra che lei stessa pensava sconosciuta, finalmente liberata dalla "furia" delle guerre, grazie alla forza del diritto sancito dalla nostra meravigliosa Costituzione.
Oggi Maria Bergamas riposa nel cimitero di Aquileia(UD) accanto alle altre dieci bare rimaste. Ecco, quella bara di un ragazzo sconosciuto, senza nome, doveva rimanere il segno del sacrificio di centinaia di migliaia di ragazzi caduti senza nomi sui vari fronti del conflitto. Il treno che recava la bara, guidato dal più esperto macchinista dello scalo romano di S. Lorenzo, attraversò buona parte dell'Italia, tra due siepi di popoli in ginocchio che lanciavano fiori, commossi e devoti, riconoscendo in quella salma un proprio caro disperso su cui non avevano potuto piangere. Una cerimonia solenne accolse la salma senza nome alla stazione Termini, abbracciata ancora una volta da una folla di cittadini. Venne tumulata al centro del gigantesco monumento dedicato a Vittorio Emanuele cambiandogli il senso: "anche lui, soldato ignoto aveva contribuito alla vittoria, alla costruzione della Patria comune". Era il 4 novembre 1921. Da quel giorno il milite ignoto, simbolo dell'altare della Patria, sarà onorato non solo da tutti gli italiani nei rispettivi paesi, ma soprattutto da tutti i capi di Stato e sovrani in visita nel nostro paese. Infatti non c'è visita di Stato che non contempli un omaggio al milite ignoto, presidiato da allora giorno e notte da un picchetto d'onore della marina, dell'aeronautica e dell'esercito italiano.
Il presente è come un libro
dalle pagine ancora vuote.
Tu stesso puoi decidere
se sarà un libro buono e interessante:
"Se dobbiamo progredire
non dobbiamo ripetere la storia,
ma farne una nuova.
All'eredità lasciataci dai nostri padri
dobbiamo aggiungere qualcosa." [Mahatma Ghandhi]
Commossa, un saluto di speranza. Agata Pinnelli