L'Italia ha urgente bisogno di un’ampia riforma fiscale.
L'economista Nicola Rossi ospite del Rotary Club di Canosa
mercoledì 16 ottobre 2019
22.23
Interessante incontro sul tema "QUALE RIFORMA FISCALE?" con il relatore professor Nicola Rossi, Economista Ordinario all'Università di Tor Vergata, tenutosi lo scorso 11 ottobre presso l'auditorium del Jolie a Canosa di Puglia(BT). Ad organizzarlo i Rotary Club di Canosa, Andria, Barletta, Trani e Valle Dell'Ofanto, alla presenza dell'Assistente del Governatore del Distretto Rotary 2120, Carla D'Urso, Nel corso della serata ha rimarcato come ancora una volta il fisco sia tornato al centro del dibattito di politica economica. "Ci è tornato però per le ragioni sbagliate" ancora proponendo maggiore spesa corrente e quindi maggiori imposte. Nessun riferimento a quella che dovrebbe essere oggi la principale motivazione per un intervento sul sistema fiscale: quello attuale semplicemente non regge più. Il disegno formulato alla metà degli anni '60 dalla Commissione di studio per la riforma tributaria, e già allora solo in parte realizzato, si è fatto nel tempo irriconoscibile. Il tessuto del fisco italiano è ormai quasi solo composto da pezze e la trama originaria sembra ormai del tutto scomparsa. Risultato: il sistema è oggi inefficace (dal punto di vista del gettito), inefficiente (costringendoci a domandarci se vale la pena fare un po' di straordinario o accettare un incarico professionale in più), iniquo (soprattutto fra tipologie di redditi), lontano sotto molti profili dalla struttura media dei nostri partner europei.
Il Paese - secondo Rossi - "ha urgente bisogno di un'ampia riforma fiscale. Ce lo ha ricordato il Governatore della Banca d'Italia nelle 'Considerazioni finali' dello scorso maggio. Ce lo ripetono le istituzioni internazionali. Ce lo rammenta quotidianamente la nostra esperienza di contribuenti. Ce lo ha promesso nella sua recente audizione alla Camera il ministro dell'Economia, senza però lasciar trapelare alcun dettaglio La mia convinzione - ha spiegato- è che il progetto di riforma del sistema fiscale disegnato dall'Istituto Bruno Leoni nel 2017 e centrato su un'imposta personale ad aliquota unica (la cd. Flat tax) risponda alle necessità del paese, ma non ho difficoltà a pensare che sia possibile disegnare altre ipotesi altrettanto comprensive e coerenti. Rispondenti, va da sé, a diversi riferimenti valoriali: la flat tax ha come punto di riferimento non solo la semplificazione o la trasparenza ma anche e soprattutto il contenimento della presenza dello Stato nell'economia e nella società. Non ho difficoltà a pensare che sia possibile formulare ipotesi altrettanto ampie e coerenti che abbiano punti di riferimento valoriali diversi se non proprio opposti. Un buon esempio, anche se solo appena abbozzato, lo ha fornito qualche mese Vincenzo Visco sulle colonne di una rivista specializzata, proponendo una complessiva riforma fiscale centrata, fra l'altro, sul finanziamento del welfare attraverso una imposizione proporzionale sul valore aggiunto (una maxi-Irap, in sostanza) e sulla sostituzione di tutte le attuali imposte sui redditi da capitale con una imposta patrimoniale progressiva. Personalmente preferirei una progressività concentrata sul lato della spesa piuttosto che sul lato delle entrate: non ho mai compreso, per fare solo un esempio, perchè gli italiani debbano sussidiare i figli di famiglie abbienti che frequentano l'università. Ma sarebbe già un passo avanti se ipotesi diverse – ma comunque compiute e coerenti – animassero il dibattito politico".
All'attuale Governo, Nicola Rossi suggerisce:: "Evitateci, se possibile, l'ennesimo kamasutra fiscale. Cioè, norme fiscali frutto della improvvisazione e della superficialità che finiscono per avere il solo risultato di rendere ancora meno facile la vita già faticosa del contribuente costringendolo ad attività quantomeno fantasiose. Un esempio? Le clausole di salvaguardia intese a consentire al contribuente la scelta fra vecchia e nuova struttura dell'imposta a seconda delle sue convenienze. Diciamo le cose come stanno: clausole di salvaguardia siffatte sono un monumento equestre a riforme fiscali scritte in fretta e furia di cui non si possono e forse non si vogliono nemmeno valutare compiutamente tutti gli effetti, talché quello che dovrebbe essere il lavoro del legislatore – accertarsi di avere un quadro chiaro e completo dell'impatto della riforma sulle singole categorie di contribuenti – viene rovesciato sul contribuente stesso al quale si chiederà di fare due dichiarazioni (e, con ogni probabilità, di pagare due volte il costo del commercialista). Volete sapere se alla guida della nostra politica tributaria c'è qualcuno di cui fidarsi? Domandatevi con quanta velocità ricorre alle clausole di salvaguardia. É un test pressoché infallibile. - Non costringeteci a domandarci ogni giorno "ma ne vale la pena?". Ad esempio, circolava qualche tempo fa l'ipotesi di una revisione dell'Irpef centrata su una aliquota al 15% per redditi familiari fino a 30 mila euro (per un single) o 55 mila euro (per un nucleo monoreddito) associata ad una deduzione onnicomprensiva e capitaria pari a 3.000 euro. In questi casi la differenza la fanno i dettagli ma un single che percepisse via reddito di cittadinanza 780 euro mensili esentasse perché mai dovrebbe accettare di lavorare allo stesso importo sapendo di dover pagare il 15% sulla eccedenza rispetto alla deduzione di cui sopra? Da dove nasce il problema? Molto banalmente dal fatto che – per motivazioni schiettamente politiche – si è scelto di impiccarsi ad un numero magico: il 15%, nel caso di specie. Ma in un sistema di imposte e benefici equo ed efficiente non ci sono numeri magici. Quello che conta è la combinazione dei diversi elementi".
"Risparmiateci l'ossessione dei saldi. A stare alle dichiarazioni di molti politici di primo piano parrebbe che la differenza fra una riforma incisiva ed una riforma priva di significato stia tutta nella entità delle risorse che vengono liberate a favore dei cittadini. Sotto i 10 miliardi di euro staremmo scherzando. Sopra la cosa diventerebbe seria. Ora 10 miliardi di euro, più o meno, costarono i famosi 80 euro ed abbiamo visto tutti come è andata a finire. Perché la profondità di una riforma fiscale si giudica non dal saldo ma prima di ogni altra cosa dal complessivo volume di risorse messo in discussione – tanto sul versante delle entrate quanto sul versante della spesa – dalla riforma stessa. La struttura del nostro bilancio pubblico oltre che la sua dimensione sono alla radice delle nostre deboli prospettive di crescita di medio periodo. Interventi al margine non sono in grado – per definizione – di mutare questa situazione. Benissimo quindi se si pensa alla revisione di aliquote e scaglioni ma non ci si fermi lì: non servirebbe a molto. E senza eccessiva fretta: se l'orizzonte è poliennale una vera riforma diventa possibile".
Quel che conta veramente è la volontà. "La mancanza di impegno politico si manifestò nella indifferenza di tutte le forze politiche – maggioranza e opposizione – per i problemi tributari", scriveva nel 1964 il padre della riforma fiscale entrata poi in vigore, sia pure monca, nel 1971, E' una affermazione che non vorremmo ripetere ma che allo stato delle cose non possiamo non considerare ancora assolutamente attuale". A conclusione della relazione presenti il Prefetto Distrettuale Nunzia Porzio, il Consigliere Regionale Francesco Ventola, il Presidente della Pro Loco Elia Marro, il Presidente dell'ANCRI Cosimo Sciannamea e Mons. Felice Bacco si è svolto un dibattito molto interessante sugli aspetti più controversi ed attuali della annunciata riforma.
Il Paese - secondo Rossi - "ha urgente bisogno di un'ampia riforma fiscale. Ce lo ha ricordato il Governatore della Banca d'Italia nelle 'Considerazioni finali' dello scorso maggio. Ce lo ripetono le istituzioni internazionali. Ce lo rammenta quotidianamente la nostra esperienza di contribuenti. Ce lo ha promesso nella sua recente audizione alla Camera il ministro dell'Economia, senza però lasciar trapelare alcun dettaglio La mia convinzione - ha spiegato- è che il progetto di riforma del sistema fiscale disegnato dall'Istituto Bruno Leoni nel 2017 e centrato su un'imposta personale ad aliquota unica (la cd. Flat tax) risponda alle necessità del paese, ma non ho difficoltà a pensare che sia possibile disegnare altre ipotesi altrettanto comprensive e coerenti. Rispondenti, va da sé, a diversi riferimenti valoriali: la flat tax ha come punto di riferimento non solo la semplificazione o la trasparenza ma anche e soprattutto il contenimento della presenza dello Stato nell'economia e nella società. Non ho difficoltà a pensare che sia possibile formulare ipotesi altrettanto ampie e coerenti che abbiano punti di riferimento valoriali diversi se non proprio opposti. Un buon esempio, anche se solo appena abbozzato, lo ha fornito qualche mese Vincenzo Visco sulle colonne di una rivista specializzata, proponendo una complessiva riforma fiscale centrata, fra l'altro, sul finanziamento del welfare attraverso una imposizione proporzionale sul valore aggiunto (una maxi-Irap, in sostanza) e sulla sostituzione di tutte le attuali imposte sui redditi da capitale con una imposta patrimoniale progressiva. Personalmente preferirei una progressività concentrata sul lato della spesa piuttosto che sul lato delle entrate: non ho mai compreso, per fare solo un esempio, perchè gli italiani debbano sussidiare i figli di famiglie abbienti che frequentano l'università. Ma sarebbe già un passo avanti se ipotesi diverse – ma comunque compiute e coerenti – animassero il dibattito politico".
All'attuale Governo, Nicola Rossi suggerisce:: "Evitateci, se possibile, l'ennesimo kamasutra fiscale. Cioè, norme fiscali frutto della improvvisazione e della superficialità che finiscono per avere il solo risultato di rendere ancora meno facile la vita già faticosa del contribuente costringendolo ad attività quantomeno fantasiose. Un esempio? Le clausole di salvaguardia intese a consentire al contribuente la scelta fra vecchia e nuova struttura dell'imposta a seconda delle sue convenienze. Diciamo le cose come stanno: clausole di salvaguardia siffatte sono un monumento equestre a riforme fiscali scritte in fretta e furia di cui non si possono e forse non si vogliono nemmeno valutare compiutamente tutti gli effetti, talché quello che dovrebbe essere il lavoro del legislatore – accertarsi di avere un quadro chiaro e completo dell'impatto della riforma sulle singole categorie di contribuenti – viene rovesciato sul contribuente stesso al quale si chiederà di fare due dichiarazioni (e, con ogni probabilità, di pagare due volte il costo del commercialista). Volete sapere se alla guida della nostra politica tributaria c'è qualcuno di cui fidarsi? Domandatevi con quanta velocità ricorre alle clausole di salvaguardia. É un test pressoché infallibile. - Non costringeteci a domandarci ogni giorno "ma ne vale la pena?". Ad esempio, circolava qualche tempo fa l'ipotesi di una revisione dell'Irpef centrata su una aliquota al 15% per redditi familiari fino a 30 mila euro (per un single) o 55 mila euro (per un nucleo monoreddito) associata ad una deduzione onnicomprensiva e capitaria pari a 3.000 euro. In questi casi la differenza la fanno i dettagli ma un single che percepisse via reddito di cittadinanza 780 euro mensili esentasse perché mai dovrebbe accettare di lavorare allo stesso importo sapendo di dover pagare il 15% sulla eccedenza rispetto alla deduzione di cui sopra? Da dove nasce il problema? Molto banalmente dal fatto che – per motivazioni schiettamente politiche – si è scelto di impiccarsi ad un numero magico: il 15%, nel caso di specie. Ma in un sistema di imposte e benefici equo ed efficiente non ci sono numeri magici. Quello che conta è la combinazione dei diversi elementi".
"Risparmiateci l'ossessione dei saldi. A stare alle dichiarazioni di molti politici di primo piano parrebbe che la differenza fra una riforma incisiva ed una riforma priva di significato stia tutta nella entità delle risorse che vengono liberate a favore dei cittadini. Sotto i 10 miliardi di euro staremmo scherzando. Sopra la cosa diventerebbe seria. Ora 10 miliardi di euro, più o meno, costarono i famosi 80 euro ed abbiamo visto tutti come è andata a finire. Perché la profondità di una riforma fiscale si giudica non dal saldo ma prima di ogni altra cosa dal complessivo volume di risorse messo in discussione – tanto sul versante delle entrate quanto sul versante della spesa – dalla riforma stessa. La struttura del nostro bilancio pubblico oltre che la sua dimensione sono alla radice delle nostre deboli prospettive di crescita di medio periodo. Interventi al margine non sono in grado – per definizione – di mutare questa situazione. Benissimo quindi se si pensa alla revisione di aliquote e scaglioni ma non ci si fermi lì: non servirebbe a molto. E senza eccessiva fretta: se l'orizzonte è poliennale una vera riforma diventa possibile".
Quel che conta veramente è la volontà. "La mancanza di impegno politico si manifestò nella indifferenza di tutte le forze politiche – maggioranza e opposizione – per i problemi tributari", scriveva nel 1964 il padre della riforma fiscale entrata poi in vigore, sia pure monca, nel 1971, E' una affermazione che non vorremmo ripetere ma che allo stato delle cose non possiamo non considerare ancora assolutamente attuale". A conclusione della relazione presenti il Prefetto Distrettuale Nunzia Porzio, il Consigliere Regionale Francesco Ventola, il Presidente della Pro Loco Elia Marro, il Presidente dell'ANCRI Cosimo Sciannamea e Mons. Felice Bacco si è svolto un dibattito molto interessante sugli aspetti più controversi ed attuali della annunciata riforma.