"La memoria a tutela dei valori nati dalla Resistenza", tra vergogna e dignità nazionale

I valori della Resistenza nell’internazionalizzazione interpretativa

venerdì 6 dicembre 2013 10.25
Barletta ha dato voce a professori ed esperti della storia resistenziale del '43, in un incontro tenutosi il 29 e 30 novembre presso la Sala Rossa del suo Castello Svevo. Presieduto da Luigi Di Cuonzo, responsabile dell'Archivio della Resistenza e della Memoria, il convegno internazionale sulla memoria e la tutela dei valori nati dalla Resistenza ha dispiegato gli episodi storici lungo gli assi sociologici, militari e politici.

L'azione della Wermacht, i rastrellamenti al fronte della Fallschirm-Panzer-Division 1 "Hermann Göring, gli eccidi a San Prisco, Mondragone, Santa Maria di Capua vetere, con Napoli sottoposta a operazioni di artiglieria fanno capire quanto Barletta sia solo uno dei tanti satelliti che gravitano nella galassia resistenziale. A stupri e saccheggi va aggiunto un aspetto di forma ma anche di sostanza: la qualifica di prigionieri di guerra non fu mai data a quei 650000 militari italiani internati, i quali soffrirono a lungo delle bestiali condizioni in cui i loro corpi coscienti si vennero a trovare. Queste le osservazioni geo-storiche e antropologiche fatte rispettivamente da Carlo Gentile dell'Università di Colonia in Germania e da Bruno Maida dell'Università di Torino, il quale fa una disamina della situazione concentrazionaria del nostro paese dopo l'8 settembre 1943: «Deportazione, partigianeria e sistema concentrazionario sono fenomeni intrecciati nella dimensione della Resistenza. La deportazione, in particolare, ha avuto una sua fase propedeutica nell'autunno-inverno del '43, ma ancora prima con il censimento degli Ebrei del '35. Grazie a questa registrazione, si poté rastrellare casa per casa con la certezza che i prescelti fossero tutti ebrei. L'ingranaggio concentrazionario aveva i suoi anelli geniali nel sistema ferroviario, nei campi di transito, nel passaggio da una qualifica a un'altra (il trattamento dei deportati politici differiva da quello dei prigionieri di guerra). Tutte le operazioni di sterminio furono regolamentate da norme, approvate da un accordo sociale e sottaciute da una miope Chiesa cattolica. Il territorio italiano non ha mancato di offrire campi di prigionia per facilitare l'opera tedesca: Borgo San Dalmazia, Fossoli, San Sabbia per gli slavi nell'Adriatico».

Intervento più localizzato e storiografico è quello di Francesco Morra della sezione documentaristica di Roma. Morra si interroga sulla memoria OP 44, sulla costrizione tedesca di non potersi sottrare all'ordine di rappresaglia e sui tre eccidi della sesta provincia pugliese. A ciascuna di queste tre perplessità viene dato un chiarimento esemplare: «L'ordine pubblico 44 conteneva delle ordinanze contraddittorie perché permetteva ai comandi territoriali di attaccare se attaccati, pur facendo attenzione a non istigare l'ira dei tedeschi. Nei due giorni successivi all'armistizio, a Barletta era tutto tranquillo; il tempo di far andare Badoglio e il re a Brindisi, di firmare la resa a Roma e di dichiarare i tedeschi nemici (10/09/43). A Barletta il generale Grasso era al comando di un reggimento ancora attivo e pronto a combattere e, non appena riceve l'ordine di considerare nemici i tedeschi, dispone la difesa con capisaldi e artiglieria. L'incongruenza informativa è rintracciabile anche nelle intercettazioni a codice Ultra decrittate dal governo inglese. Al quesito sull'impossibilità dei tedeschi di sottrarsi alle rappresaglie, rispondo che questa coercizione era ignorabile portando l'esempio di Trani, dove il comandante di un plotone tedesco rifiutò l'ordine d'azione, non venne ucciso ma allontanato. Sui tre eccidi nell'attuale Bat, vengono menzionate-oltre a Barletta-Vallecannella nei pressi di Cerignola e Murgetta Rossi in quelli di Spinazzola. Il nostro territorio è l'armadio della vergogna».

L'analisi di Maida fa capire che occupazione, sfruttamento e repressione sono avvenute in Italia con silente collaborazione attiva e consapevole di tutto l'apparato istituzionale. La resistenza partigiana divenne quindi la soluzione rimanente per salvarsi dal rischio diffuso dell'internamento. La deportazione politica comprendeva tutte le unità identitarie facenti parte della società civile che-una volta in campo-hanno epifania di una medesima e condivisa situazione. La vera ribellione era lavarsi la faccia e cantare insieme il Canto di Ulisse; la vera ribellione consisteva nella rivendicazione di umanità nel momento in cui si imparò il significato pedagogico della disobbedienza.