Non si può amare ciò che non si conosce!
Don Salvatore Sciannamea scrive al fratello che celebra Halloween
lunedì 30 ottobre 2017
22.32
Da più parti si leva la voce contro la notte di Halloween in maschera, festività di origine celtica celebrata tra il 31 ottobre e il 1° novembre, che nel XX secolo ha assunto negli USA le forme accentuatamente macabre e commerciali con cui è divenuta nota: "trick-or-treat" - "dolcetto o scherzetto". Di contro alla festa d'importazione, si propongono incontri di preghiera, di riflessione per commemorare i Santi, noti e meno noti, e poi il 2 novembre, di onorare i fedeli defunti, nel ricordo dell'impegno che hanno dimostrato nella loro vita "senza indossare maschere". «Ognuno dovrebbe avere qualche Santo che gli sia familiare, per sentirlo vicino con la preghiera e l'intercessione, ma anche per imitarlo. Vorrei invitarvi, quindi, a conoscere maggiormente i Santi, a iniziare da quello di cui portate il nome, leggendone la vita, gli scritti. Siate certi che diventeranno buone guide per amare ancora di più il Signore e validi aiuti per la vostra crescita umana e cristiana». - Come ricorda Benedetto XVI, in "Imparare a Credere", l'invito rivolto ad ogni persona all'inizio dell'Anno della Fede, un'occasione importante per ascoltare "quella sete interiore di una grande speranza che tutti portiamo nel cuore e mettersi in cammino".
Sullo stesso tenore la lettera scritta da don Salvatore Sciannamea, nuovo parroco di Issogne e di Champdepraz, assegnato temporaneamente come "fidei donum" della Diocesi di Andria. "Lettera al fratello che celebra Halloween e tutti i santi" è il titolo della missiva scritta per l'occasione molto significativa e pregna di contenuti. «Carissimo, la tradizione della Valle d'Aosta, a partire dai suoi antenati, ha avuto sempre un nobile culto dei defunti. In questa tradizione, ancora oggi, molti nelle loro case preparano uno o due posti in più con relativa cena, per i defunti. Tale evento dice una presenza percepita diversamente, un riconoscere che la vita continua. Nel mio paese, a Canosa di Puglia, ci sono molti ipogei, cioè case per morti scavate sotto terra. I nostri ipogei nella loro forma richiamano il grembo materno, simbolo di vita e non di morte. I defunti che venivano posti all'interno, erano posizionati in maniera fetale, come dei bambini nel grembo materno, simbolo di morte come nuova nascita. Anche tante tradizioni, poesie e narrazioni parlano in maniera rispettosissima di quello che è il culmine del mistero della sofferenza: la morte. Nessuno di noi può dire esattamente cosa sia la morte, ma ognuno può aver sperimentato cosa possa significare con la perdita di una persona cara. La filosofia, la poesia, la narrativa, l'arte hanno un grande rispetto di questo mistero dinanzi al quale ci si ferma a pensare. Lo stesso cinema e teatro hanno avuto tantissime ispirazioni da tale mistero, basti solo pensare alla tragedia. Come poi non ricordare i canti popolari e splendidi testi di cantautori che attingono il "flatus" di tanta bellezza proprio alla tragicità dell'esistenza. Il silenzio e la meditazione dovrebbero essere gli atteggiamenti da vivere, attraverso cui lasciare spazio alla nostra intimità, per risignificare anche i gesti più banali della esistenza».
«Personalmente quando mi trovo dinanzi ad una persona arrabbiatissima, per aiutarla a ritrovarsi,» - prosegue don Salvatore Sciannamea - «come metodo, la invito ad andare al cimitero ed a fermarsi almeno per un'ora. Lì è più semplice capire la relatività dei problemi, il fatto che la nostra vita è una parentesi, lì comprendiamo meglio, in fondo cosa siamo e cosa saremo. Le affermazioni fatte fino ad ora non appartengono alla religione, ma al buon senso ed alle sane tradizioni. Ho scoperto con immensa gioia che nel "patuà" non esiste la bestemmia. È importante chiedersi, specie per i più giovani: perché prendere il peggio da altri, se nella mia tradizione posso avere il meglio? Perché posso vivere e trasmettere tradizioni rispettose, mentre poi attingo a feste pagane che lo stesso mondo anglo-americano sta cercando di debellare? I nostri paesi attingono a tradizioni celtiche o pagane, ma fin quando sono rispettose, chiedono solo di essere meglio interpretate e risignificate. La sedia vuota e il cibo per i defunti non sono una tradizione cristiana, ma dietro c'è il rispetto per i defunti. Credo che il cristianesimo, anche per chi non è credente, abbia qualcosa da dire su questo punto. La sacralità del corpo è tale che va rispettata e benedetta. La sepoltura è come una semina per un corpo glorioso. La vita umana è paragonabile a un verme che striscia, ma la morte diviene il bozzolo della trasformazione per diventare farfalle. Tra vermi e farfalle c'è una differenza notevolissima, eppure tutte le farfalle erano dei bruchi. La morte è come quel bozzolo che tutto trasforma. Vi è una differenza notevolissima tra un seme ed una spiga; eppure la spiga è venuta da quel seme che, morto nella terra, produce vita nuova. La terra, il marcire è per una vita nuova. Il seme deve morire per portare frutto. Per questi motivi, e altri su cui non mi soffermo, credo che più che stare a combattere Halloween con una vuota intransigenza, come educatori, genitori e formatori abbiamo la responsabilità di educare le giovani generazioni ed i nostri bambini. Invito tutti alla conoscenza e riflessione nei propri ambienti, dalle scuole alle case, come anche ai luoghi formativi o di svago come biblioteche o palestre. Non si può amare ciò che non si conosce! Credo che se questa festa commerciale sia passata soprattutto perché non si conosce abbastanza la sua opposizione alla festa di tutti i santi. Nella notte del 31 ottobre, capodanno dei satanisti, si compiono le profanazioni più efferate. Prima di dire Halloween sì o no è bene chiedersi: "So veramente cosa sta dietro a tutto questo?". Un pensiero di grande stima va dato ai nostri fratelli cristiani di confessione ortodossa; infatti la celebrazione di tutti i santi è paragonabile alla Pasqua».
A quasi un mese dal suo insediamento, il nuovo amministratore parrocchiale delle comunità alpine, don Salvatore Sciannamea conclude la missiva con un consiglio: «Celebrare con un'unica Festa tutti i Santi, specialmente le persone buone che abbiamo conosciuto in vita e che fanno parte di questa schiera, credo che richieda il rispetto di tutti, anche quello di chi non crede (fuso insieme), senza lasciare nessuno spazio al discernimento ed a una sana critica. Auguro a tutti una felice solennità di tutti i Santi e commemorazione dei defunti». "Halloween non è la nostra festa": è il post ricorrente di queste ultime ore sui social, meglio riscoprire le tradizioni storiche, culturali, religiose e sociali del territorio è la risposta più frequente per non accettare in modo passivo usi e costumi imposti da una cultura estranea alle radici italiche.
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Sullo stesso tenore la lettera scritta da don Salvatore Sciannamea, nuovo parroco di Issogne e di Champdepraz, assegnato temporaneamente come "fidei donum" della Diocesi di Andria. "Lettera al fratello che celebra Halloween e tutti i santi" è il titolo della missiva scritta per l'occasione molto significativa e pregna di contenuti. «Carissimo, la tradizione della Valle d'Aosta, a partire dai suoi antenati, ha avuto sempre un nobile culto dei defunti. In questa tradizione, ancora oggi, molti nelle loro case preparano uno o due posti in più con relativa cena, per i defunti. Tale evento dice una presenza percepita diversamente, un riconoscere che la vita continua. Nel mio paese, a Canosa di Puglia, ci sono molti ipogei, cioè case per morti scavate sotto terra. I nostri ipogei nella loro forma richiamano il grembo materno, simbolo di vita e non di morte. I defunti che venivano posti all'interno, erano posizionati in maniera fetale, come dei bambini nel grembo materno, simbolo di morte come nuova nascita. Anche tante tradizioni, poesie e narrazioni parlano in maniera rispettosissima di quello che è il culmine del mistero della sofferenza: la morte. Nessuno di noi può dire esattamente cosa sia la morte, ma ognuno può aver sperimentato cosa possa significare con la perdita di una persona cara. La filosofia, la poesia, la narrativa, l'arte hanno un grande rispetto di questo mistero dinanzi al quale ci si ferma a pensare. Lo stesso cinema e teatro hanno avuto tantissime ispirazioni da tale mistero, basti solo pensare alla tragedia. Come poi non ricordare i canti popolari e splendidi testi di cantautori che attingono il "flatus" di tanta bellezza proprio alla tragicità dell'esistenza. Il silenzio e la meditazione dovrebbero essere gli atteggiamenti da vivere, attraverso cui lasciare spazio alla nostra intimità, per risignificare anche i gesti più banali della esistenza».
«Personalmente quando mi trovo dinanzi ad una persona arrabbiatissima, per aiutarla a ritrovarsi,» - prosegue don Salvatore Sciannamea - «come metodo, la invito ad andare al cimitero ed a fermarsi almeno per un'ora. Lì è più semplice capire la relatività dei problemi, il fatto che la nostra vita è una parentesi, lì comprendiamo meglio, in fondo cosa siamo e cosa saremo. Le affermazioni fatte fino ad ora non appartengono alla religione, ma al buon senso ed alle sane tradizioni. Ho scoperto con immensa gioia che nel "patuà" non esiste la bestemmia. È importante chiedersi, specie per i più giovani: perché prendere il peggio da altri, se nella mia tradizione posso avere il meglio? Perché posso vivere e trasmettere tradizioni rispettose, mentre poi attingo a feste pagane che lo stesso mondo anglo-americano sta cercando di debellare? I nostri paesi attingono a tradizioni celtiche o pagane, ma fin quando sono rispettose, chiedono solo di essere meglio interpretate e risignificate. La sedia vuota e il cibo per i defunti non sono una tradizione cristiana, ma dietro c'è il rispetto per i defunti. Credo che il cristianesimo, anche per chi non è credente, abbia qualcosa da dire su questo punto. La sacralità del corpo è tale che va rispettata e benedetta. La sepoltura è come una semina per un corpo glorioso. La vita umana è paragonabile a un verme che striscia, ma la morte diviene il bozzolo della trasformazione per diventare farfalle. Tra vermi e farfalle c'è una differenza notevolissima, eppure tutte le farfalle erano dei bruchi. La morte è come quel bozzolo che tutto trasforma. Vi è una differenza notevolissima tra un seme ed una spiga; eppure la spiga è venuta da quel seme che, morto nella terra, produce vita nuova. La terra, il marcire è per una vita nuova. Il seme deve morire per portare frutto. Per questi motivi, e altri su cui non mi soffermo, credo che più che stare a combattere Halloween con una vuota intransigenza, come educatori, genitori e formatori abbiamo la responsabilità di educare le giovani generazioni ed i nostri bambini. Invito tutti alla conoscenza e riflessione nei propri ambienti, dalle scuole alle case, come anche ai luoghi formativi o di svago come biblioteche o palestre. Non si può amare ciò che non si conosce! Credo che se questa festa commerciale sia passata soprattutto perché non si conosce abbastanza la sua opposizione alla festa di tutti i santi. Nella notte del 31 ottobre, capodanno dei satanisti, si compiono le profanazioni più efferate. Prima di dire Halloween sì o no è bene chiedersi: "So veramente cosa sta dietro a tutto questo?". Un pensiero di grande stima va dato ai nostri fratelli cristiani di confessione ortodossa; infatti la celebrazione di tutti i santi è paragonabile alla Pasqua».
A quasi un mese dal suo insediamento, il nuovo amministratore parrocchiale delle comunità alpine, don Salvatore Sciannamea conclude la missiva con un consiglio: «Celebrare con un'unica Festa tutti i Santi, specialmente le persone buone che abbiamo conosciuto in vita e che fanno parte di questa schiera, credo che richieda il rispetto di tutti, anche quello di chi non crede (fuso insieme), senza lasciare nessuno spazio al discernimento ed a una sana critica. Auguro a tutti una felice solennità di tutti i Santi e commemorazione dei defunti». "Halloween non è la nostra festa": è il post ricorrente di queste ultime ore sui social, meglio riscoprire le tradizioni storiche, culturali, religiose e sociali del territorio è la risposta più frequente per non accettare in modo passivo usi e costumi imposti da una cultura estranea alle radici italiche.
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