Canosa: Una lenta eutanasia
Lettera aperta di Leonardo Mangini
lunedì 28 marzo 2022
18.31
iReport
Nella lettera aperta inviata dal sottoscritto alle redazioni delle testate canosine all'inizio di quest'anno, la chiusura fu questa: «Le soluzioni? Andare via o rimanere. Nel secondo caso, quello più difficile, soli, ignavi, senza saper reagire. Perché è anche inutile prendersela con "i politici" se questi, in quanto eletti dal popolo sovrano, rappresenteranno solo lo specchio della nostra indifferenza». Stavolta lo stesso inciso diventa un punto di partenza, sebbene di un discorso sicuramente già trattato e per certi versi drammatico. Ma... repetita iuvant. In questi giorni è iniziata una bella bagarre per via del prossimo rinnovo del consiglio comunale. In un clima così transitorio, anche per motivi storici estranei alle dinamiche paesane, è lecito chiedersi non tanto "chi" debba amministrare, ma "chi" si debba amministrare. Due lettere che fanno una rilevante differenza.
Ultimamente più enti ed associazioni hanno inteso rivolgersi ai giovani, soprattutto per fini educativi (specie su temi di cultura ed attualità) e di orientamento. Dialogando anche con più insegnanti, però, è percepibile l'intenzione dei ragazzi circa l' "andare via o rimanere": si propende, a grandi linee, per la prima ipotesi. Le ragioni sono racchiuse in molteplici motivazioni, più o meno valide: si va dal "non sopporto la mia famiglia" al "qui non c'è nulla", rese ancora più marcate da due anni di pandemia. Si percepisce, dunque, un clima "soffocante" e noioso in questo paese. Eppure, per natura, in passato si proseguivano (e conseguivano, peraltro senza troppi clamori) gli studi "fuori sede" per acquisire esperienza e riportarla nel territorio. Per svilupparlo, per garantirgli una crescita, per permettergli un'evoluzione, per renderlo alla pari del resto del mondo. Se, fino a qualche anno fa, emigrare diventava una triste e sofferta costrizione (dettata da meriti o esigenze imprescindibili dei singoli), ora è diventata una "liberazione" (fondata maggiormente sulla aprioristica denigrazione del territorio e, reciproca, tra i concittadini). Cambia dunque l'elemento psicologico: frutto dei tempi, frutto – forse – di una minore propensione al sacrificio, frutto delle lacune dovute anche ad un'emorragia proseguita indiscriminatamente almeno negli ultimi quarant'anni.
In un paese prettamente a trazione agricola, senza strutture (cinema? ospedale? centri commerciali?) e poche imprese (tra cui alcune quasi costrette a traslocare, seppure in comuni limitrofi), non bisogna biasimare parte di quei giovani che fuggono: altrove vi sono modernità e tecnologia; speranze e ambizioni non si possono coltivare nei vigneti o negli uliveti. Tornatore, in "Nuovo Cinema Paradiso", ambientato nell'immaginario paesello siciliano di Giancaldo durante l'immediato dopoguerra, lo faceva pronunciare degnamente a Philippe Noiret il reale status quo: "chista è terra maligna".
Inutile essere buonisti o aprire panegirici: queste sono le prospettive e l'autocritica dev'essere immediata. I ragazzi devono coltivare le loro passioni. Però iniziando da qui, permettendo loro di re-innamorarsi di questa terra (forse poi non così maligna) e di chi la vive quotidianamente, incentivando i loro sogni con ogni mezzo possibile, aprendo loro un futuro o degli interessi concreti che vadano oltre i dibattiti – spesso sterili – da tastiera o da smartphone. Dando loro prova che esiste il merito, che esistono persone capaci di incoraggiarli, che si può costruire qualcosa, che cattiveria, clientelismi e pettegolezzi sono "roba da boomer".
"Non te ne accorgi, ma qua se ne vanno tutti", canta Caparezza. Se ne è consapevoli: tuttavia, quando si prende coscienza del problema, è già troppo tardi. Ed ecco la tragedia: con il ricambio generazionale in corso vi sarà sempre meno agricoltura, ci si sposterà principalmente alla ricerca dei posti fissi (in enti pubblici più rilevanti o negli uffici di qualche multinazionale), rimarranno solo i più anziani o qualche "fallito" (magari non coraggioso, né incosciente) che preferisce morire qui, di metaforica inedia. Associazioni e partiti non potranno garantire un rinnovo. Non avrà più senso neppure la manutenzione di fogne o strade.
Ma adesso si vota il nuovo sindaco. Un'eventuale amministrazione, eletta da sempre più "pochi", cosa avrà da stappare spumante e festeggiare, se resteranno solo i ruderi?
Leonardo Mangini - avvocato
Ultimamente più enti ed associazioni hanno inteso rivolgersi ai giovani, soprattutto per fini educativi (specie su temi di cultura ed attualità) e di orientamento. Dialogando anche con più insegnanti, però, è percepibile l'intenzione dei ragazzi circa l' "andare via o rimanere": si propende, a grandi linee, per la prima ipotesi. Le ragioni sono racchiuse in molteplici motivazioni, più o meno valide: si va dal "non sopporto la mia famiglia" al "qui non c'è nulla", rese ancora più marcate da due anni di pandemia. Si percepisce, dunque, un clima "soffocante" e noioso in questo paese. Eppure, per natura, in passato si proseguivano (e conseguivano, peraltro senza troppi clamori) gli studi "fuori sede" per acquisire esperienza e riportarla nel territorio. Per svilupparlo, per garantirgli una crescita, per permettergli un'evoluzione, per renderlo alla pari del resto del mondo. Se, fino a qualche anno fa, emigrare diventava una triste e sofferta costrizione (dettata da meriti o esigenze imprescindibili dei singoli), ora è diventata una "liberazione" (fondata maggiormente sulla aprioristica denigrazione del territorio e, reciproca, tra i concittadini). Cambia dunque l'elemento psicologico: frutto dei tempi, frutto – forse – di una minore propensione al sacrificio, frutto delle lacune dovute anche ad un'emorragia proseguita indiscriminatamente almeno negli ultimi quarant'anni.
In un paese prettamente a trazione agricola, senza strutture (cinema? ospedale? centri commerciali?) e poche imprese (tra cui alcune quasi costrette a traslocare, seppure in comuni limitrofi), non bisogna biasimare parte di quei giovani che fuggono: altrove vi sono modernità e tecnologia; speranze e ambizioni non si possono coltivare nei vigneti o negli uliveti. Tornatore, in "Nuovo Cinema Paradiso", ambientato nell'immaginario paesello siciliano di Giancaldo durante l'immediato dopoguerra, lo faceva pronunciare degnamente a Philippe Noiret il reale status quo: "chista è terra maligna".
Inutile essere buonisti o aprire panegirici: queste sono le prospettive e l'autocritica dev'essere immediata. I ragazzi devono coltivare le loro passioni. Però iniziando da qui, permettendo loro di re-innamorarsi di questa terra (forse poi non così maligna) e di chi la vive quotidianamente, incentivando i loro sogni con ogni mezzo possibile, aprendo loro un futuro o degli interessi concreti che vadano oltre i dibattiti – spesso sterili – da tastiera o da smartphone. Dando loro prova che esiste il merito, che esistono persone capaci di incoraggiarli, che si può costruire qualcosa, che cattiveria, clientelismi e pettegolezzi sono "roba da boomer".
"Non te ne accorgi, ma qua se ne vanno tutti", canta Caparezza. Se ne è consapevoli: tuttavia, quando si prende coscienza del problema, è già troppo tardi. Ed ecco la tragedia: con il ricambio generazionale in corso vi sarà sempre meno agricoltura, ci si sposterà principalmente alla ricerca dei posti fissi (in enti pubblici più rilevanti o negli uffici di qualche multinazionale), rimarranno solo i più anziani o qualche "fallito" (magari non coraggioso, né incosciente) che preferisce morire qui, di metaforica inedia. Associazioni e partiti non potranno garantire un rinnovo. Non avrà più senso neppure la manutenzione di fogne o strade.
Ma adesso si vota il nuovo sindaco. Un'eventuale amministrazione, eletta da sempre più "pochi", cosa avrà da stappare spumante e festeggiare, se resteranno solo i ruderi?
Leonardo Mangini - avvocato