Commercio: in forte calo il numero dei negozi
Pubblicati i dati dell'analisi “Demografia d’impresa nelle città italiane"
venerdì 21 febbraio 2020
15.03
iReport
Dall'analisi "Demografia d'impresa nelle città italiane" dell'Ufficio Studi Confcommercio emerge un calo del 12,1% (-14,3% nei centri storici) tra il 2008 e il 2019. Cala soprattutto il numero degli ambulanti, mentre aumentano alberghi, bar e ristoranti. Tra il 2008 e il 2019 il numero di esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa è diminuito del 12,1%, pari a circa 70mila in meno. Un calo medio che "nasconde" varie tendenze, come la forte diminuzione degli ambulanti (-14%) e l'aumento di alberghi, bar e ristoranti (+16,5%). I dati sono contenuti nell'analisi "Demografia d'impresa nelle città italiane", realizzato dall'Ufficio Studi di Confcommercio prendendo in considerazione 120 Comuni italiani e presentato a Roma nella sede confederale. Ne emerge anche che sono i centri storici a soffrire di più (-14,3% contro l'11,3%), in particolare al Centro Sud (-15,3%), con però alcune eccezioni (Siracusa, Pisa). Dal 2015, comunque, con il leggero miglioramento dell'economia dopo la lunga crisi c'è una piccola ripresa, che rispecchia d'altra parte il cambiamento delle scelte di consumo: aumentano infatti farmacie e negozi di pc e telefonia, e diminuiscono i negozi tradizionali. Da notare, infine, come la desertificazione commerciale generi disagio sociale: la riduzione della partecipazione al voto tra il 2014 e il 2019 che deriva dalla riduzione dei livelli di servizio commerciale è pari al 4%, ovvero due milioni di aventi diritto nel 2019.
Mentre, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) ha presentato "Il Valore della ristorazione italiana", una raccolta di dati sul settore aggiornata al 2019. Le imprese attive sono 336mila e si dividono una spesa delle famiglie pari a 86 miliardi di euro. Gli addetti sono 1 milione e200mila. Fipe ha presentato a Roma "Il Valore della ristorazione italiana", una raccolta di dati aggiornati al 2019 su una delle migliori eccellenze italiane. Si scopre così che le imprese attive nel settore 336mila e sono dappertutto, visto che solo 150 Comuni su circa 8mila non hanno un bar o un ristorante. La spesa delle famiglie in servizi di ristorazione nel 2019 è stimata in 86 miliardi di euro, con un incremento reale sull'anno precedente dello 0,7%. Mentre tra il 2008 e il 2019 l'incremento reale è stato del 7,2%, pari a 5,5 miliardi di euro a fronte di una riduzione di circa 9 miliardi di euro dei consumi alimentari in casa. L'Italia resta il terzo mercato della ristorazione in Europa dopo Regno Unito e Spagna. Il valore aggiunto del settore è di 46 miliardi di euro , vi lavorano 1,2 milioni di addetti e negli ultimi dieci anni l'occupazione è cresciuta del 20% a fronte di una flessione del -3,4% dell'occupazione totale. E ancora: i ristoranti sono al primo posto tra le cose che i turisti stranieri apprezzano di più durante il soggiorno in Italia (al terzo posto ci sono i bar), la ristorazione acquista ogni anno prodotti alimentari per un valore intorno ai 20 miliardi di euro e nel mondo c'è una rete di oltre 2.200 veri ristoranti italiani. Ma ovviamente non sono tutte rose e fiori, visto che nel 2019 hanno cessato l'attività oltre 26 mila imprese. I bar resistono nei centri storici delle città del Sud e calano sensibilmente in quelli delle città del Nord, in particolare se di grandi dimensioni. Continua a crescere, infine, soprattutto in luoghi informali senza autorizzazione, il numero dei punti di consumo di alcol.
"I costi di locazione - sottolinea la Fipe - sono diventati insostenibili, gli oneri di gestione anche, ecco che allora prendono piede attività senza servizio che non hanno bisogno di spazi e non hanno bisogno di personale. Un fenomeno che si sviluppa grazie alle politiche delle amministrazioni locali che consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio alla base della buona concorrenza che possiamo declinare in 'stesso mercato, stesse regole'". L'incontro, che ha rappresentato anche un appello a intervenire diretto in particolare al mondo della politica, ha permesso di fare un bilancio sul contributo economico del settore nel tentativo di "trasmettere - come ha affermato il presidente della Fipe, Enrico Stoppani - non soltanto i problemi, ma i valori sociali ed economici del comparto, molto spesso sottovalutati". Stoppani in particolare ha auspicato "un futuro che rafforzi il settore con politiche di sostegno al pari di altri Paesi europei". E ha rilanciato inoltre l'idea di un tavolo interistituzionale per rimettere ordine a un settore, lavorare sulla qualità, innovazione, sulla formazione e sulla necessità di incentivi.
Mentre, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) ha presentato "Il Valore della ristorazione italiana", una raccolta di dati sul settore aggiornata al 2019. Le imprese attive sono 336mila e si dividono una spesa delle famiglie pari a 86 miliardi di euro. Gli addetti sono 1 milione e200mila. Fipe ha presentato a Roma "Il Valore della ristorazione italiana", una raccolta di dati aggiornati al 2019 su una delle migliori eccellenze italiane. Si scopre così che le imprese attive nel settore 336mila e sono dappertutto, visto che solo 150 Comuni su circa 8mila non hanno un bar o un ristorante. La spesa delle famiglie in servizi di ristorazione nel 2019 è stimata in 86 miliardi di euro, con un incremento reale sull'anno precedente dello 0,7%. Mentre tra il 2008 e il 2019 l'incremento reale è stato del 7,2%, pari a 5,5 miliardi di euro a fronte di una riduzione di circa 9 miliardi di euro dei consumi alimentari in casa. L'Italia resta il terzo mercato della ristorazione in Europa dopo Regno Unito e Spagna. Il valore aggiunto del settore è di 46 miliardi di euro , vi lavorano 1,2 milioni di addetti e negli ultimi dieci anni l'occupazione è cresciuta del 20% a fronte di una flessione del -3,4% dell'occupazione totale. E ancora: i ristoranti sono al primo posto tra le cose che i turisti stranieri apprezzano di più durante il soggiorno in Italia (al terzo posto ci sono i bar), la ristorazione acquista ogni anno prodotti alimentari per un valore intorno ai 20 miliardi di euro e nel mondo c'è una rete di oltre 2.200 veri ristoranti italiani. Ma ovviamente non sono tutte rose e fiori, visto che nel 2019 hanno cessato l'attività oltre 26 mila imprese. I bar resistono nei centri storici delle città del Sud e calano sensibilmente in quelli delle città del Nord, in particolare se di grandi dimensioni. Continua a crescere, infine, soprattutto in luoghi informali senza autorizzazione, il numero dei punti di consumo di alcol.
"I costi di locazione - sottolinea la Fipe - sono diventati insostenibili, gli oneri di gestione anche, ecco che allora prendono piede attività senza servizio che non hanno bisogno di spazi e non hanno bisogno di personale. Un fenomeno che si sviluppa grazie alle politiche delle amministrazioni locali che consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio alla base della buona concorrenza che possiamo declinare in 'stesso mercato, stesse regole'". L'incontro, che ha rappresentato anche un appello a intervenire diretto in particolare al mondo della politica, ha permesso di fare un bilancio sul contributo economico del settore nel tentativo di "trasmettere - come ha affermato il presidente della Fipe, Enrico Stoppani - non soltanto i problemi, ma i valori sociali ed economici del comparto, molto spesso sottovalutati". Stoppani in particolare ha auspicato "un futuro che rafforzi il settore con politiche di sostegno al pari di altri Paesi europei". E ha rilanciato inoltre l'idea di un tavolo interistituzionale per rimettere ordine a un settore, lavorare sulla qualità, innovazione, sulla formazione e sulla necessità di incentivi.