Il lavoro: una vocazione?
Al Meeting di Rimini: politica, impresa e terzo settore riflettono insieme sul lavoro e sulle sfide legate al mondo del lavoro
martedì 22 agosto 2023
23.17
iReport
"Il lavoro: una vocazione?". Se la pandemia ha cambiato il rapporto degli italiani (e non solo) con il lavoro, emergono, accanto alle questioni legate a diritti e stipendi, sempre più domande legate al senso del lavoro e alla dimensione della realizzazione personale in esso. Nel giorno di apertura dell'Edizione 2023 del Meeting per l'Amicizia fra i Popoli di Rimini, politica, impresa e terzo settore riflettono insieme sul lavoro, sulle sfide legate al mondo del lavoro e su cosa il rapporto con il lavoro dica di noi stessi. «Il tipo di lavoro che faccio mi rende evidente una condizione comune a tutti, ancora di più per il legame con la terra: la dipendenza». Alberto Paltrinieri, titolare dell'omonima Cantina, ha raccontato di come tanta progettazione, tanti sforzi e tanti investimenti possano venire spazzati via in pochi istanti da eventi climatici, da terremoti o dagli squilibri della pandemia. «Quando, con la grandine, in un attimo hai perso tutto, non è solo una questione economica, ma ci sono legami che fanno sentire ancora di più il tutto in modo traumatico. Di fronte alla perdita, la domanda "per cosa faccio tutto questo?" è sempre drammatica, ma per la mia esperienza queste domande sono diventate una risorsa per capire di più del mio lavoro». È dopo il trauma, insomma, che si cresce e si impara.
Sonia Malaspina, direttrice HR Danone Italia & Grecia, ha portato la sua prospettiva di manager innovatrice, capace, «con dieci regole di buon senso», di «fare la rivoluzione», all'insegna dell'inclusione femminile, del rispetto dei tempi di vita e lavoro, della partecipazione. Risultati in dieci anni? Un aumento importante della natalità tra lavoratori e lavoratrici: «Il lavoro femminile dà un valore fondamentale in azienda, ma cambiano anche i papà quando si occupano della cura». Per questo è stato inserito nelle policy aziendali l'obbligo di un congedo di paternità alla nascita di un figlio: «I papà devono fare questa esperienza di distacco doloroso dal lavoro per scoprire cos'è la cura». Il lavoro per obiettivi, poi, permette ai genitori di essere presenti ai momenti fondamentali della crescita dei loro figli: «Dopo il Covid le persone vogliono lavorare in aziende di senso, non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche umano e familiare». Nessuna great resignation: «Le persone non se ne vanno da realtà come queste».
Enzo Porzio, del Rione Sanità di Napoli, ha raccontato invece la nascita della Cooperativa Paranza, che ha creato occupazione valorizzando l'immenso patrimonio artistico del quartiere napoletano. «Al Rione Sanità il lavoro», ha spiegato, «mi ha permesso di rispondere a una domanda che mi facevo appena maggiorenne, "Che cosa faccio da grande?", permettendomi di restare». Porzio ha ricordato come al Rione Sanità «viviamo in un contesto di disoccupazione giovanile al 60% e abbandono scolastico del 40%», «numeri da guerra civile». Ma proprio qui, «in un contesto che sembrava ostile», è stato possibile creare lavoro, valorizzando «un'infinità di risorse», dalla voglia dei giovani ai beni culturali. «Oggi Rione Sanità sta cambiando».
Stefania Brancaccio, segretaria generale Unione cristiana imprenditori e dirigenti (UCID), da imprenditrice cristiana, ha ricordato come negli anni '70 «nelle scuole di business ci insegnavano una netta separazione tra lavoratori e dirigenti. Amicizia, vicinanza, prendersi cura erano termini impossibili da adoperare». Oggi «le aziende devono cancellare tutte le vecchie teorie, togliendo le divisioni tra chi pensa e chi opera». Ma c'è un rischio contrario, quello del greenwashing e del socialwashing, simili a «fiori recisi» destinati a morire per chi inserisce elementi di welfare slegati da processi partecipativi: «Dobbiamo capire che accanto a noi ci sono persone da sentire, ascoltare e rendere partecipi di ciò che facciamo».
In chiusura, la sottosegretaria al Ministero dell'Economia e delle Finanze Lucia Albano si è chiesta: «Il lavoro può essere considerato solo un mezzo di sopravvivenza, strumentale e funzionale per gestire poi il mio tempo libero oppure contribuisce a creare la mia personalità?». Se la pandemia – i cui postumi permangono – ci ha lasciato la necessità di avere più tempo e più spazio per noi, «dobbiamo capire in che modo usare questo tempo e questo spazio». La felicità dopo il lavoro o la felicità nel lavoro. Per la sottosegretaria Albano il lavoro è un bene ricevuto da tramandare, anche se in Italia «ci sono 1,7 milioni di NEET che non studiano né lavorano. Spesso anche a fronte di uno stipendio dignitoso non viene accettato il lavoro, perché se ne ha paura, perché si cerca benessere, perché non si fa un sacrificio». Albano ha attaccato il reddito di cittadinanza: «Le politiche che hanno sostenuto il reddito di cittadinanza come risposta alla necessità di lavoro non sono politiche che possono tramandare la nostra cultura del lavoro». E in merito al salario minimo: «Se il lavoro è un valore di per sé, non possiamo stigmatizzarlo con un valore minimo. A problemi complessi bisogna rispondere in maniera approfondita. Su questo tema ci sarà su una riflessione. Più che di salario minimo vogliamo affrontare il problema del lavoro povero».
Sonia Malaspina, direttrice HR Danone Italia & Grecia, ha portato la sua prospettiva di manager innovatrice, capace, «con dieci regole di buon senso», di «fare la rivoluzione», all'insegna dell'inclusione femminile, del rispetto dei tempi di vita e lavoro, della partecipazione. Risultati in dieci anni? Un aumento importante della natalità tra lavoratori e lavoratrici: «Il lavoro femminile dà un valore fondamentale in azienda, ma cambiano anche i papà quando si occupano della cura». Per questo è stato inserito nelle policy aziendali l'obbligo di un congedo di paternità alla nascita di un figlio: «I papà devono fare questa esperienza di distacco doloroso dal lavoro per scoprire cos'è la cura». Il lavoro per obiettivi, poi, permette ai genitori di essere presenti ai momenti fondamentali della crescita dei loro figli: «Dopo il Covid le persone vogliono lavorare in aziende di senso, non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche umano e familiare». Nessuna great resignation: «Le persone non se ne vanno da realtà come queste».
Enzo Porzio, del Rione Sanità di Napoli, ha raccontato invece la nascita della Cooperativa Paranza, che ha creato occupazione valorizzando l'immenso patrimonio artistico del quartiere napoletano. «Al Rione Sanità il lavoro», ha spiegato, «mi ha permesso di rispondere a una domanda che mi facevo appena maggiorenne, "Che cosa faccio da grande?", permettendomi di restare». Porzio ha ricordato come al Rione Sanità «viviamo in un contesto di disoccupazione giovanile al 60% e abbandono scolastico del 40%», «numeri da guerra civile». Ma proprio qui, «in un contesto che sembrava ostile», è stato possibile creare lavoro, valorizzando «un'infinità di risorse», dalla voglia dei giovani ai beni culturali. «Oggi Rione Sanità sta cambiando».
Stefania Brancaccio, segretaria generale Unione cristiana imprenditori e dirigenti (UCID), da imprenditrice cristiana, ha ricordato come negli anni '70 «nelle scuole di business ci insegnavano una netta separazione tra lavoratori e dirigenti. Amicizia, vicinanza, prendersi cura erano termini impossibili da adoperare». Oggi «le aziende devono cancellare tutte le vecchie teorie, togliendo le divisioni tra chi pensa e chi opera». Ma c'è un rischio contrario, quello del greenwashing e del socialwashing, simili a «fiori recisi» destinati a morire per chi inserisce elementi di welfare slegati da processi partecipativi: «Dobbiamo capire che accanto a noi ci sono persone da sentire, ascoltare e rendere partecipi di ciò che facciamo».
In chiusura, la sottosegretaria al Ministero dell'Economia e delle Finanze Lucia Albano si è chiesta: «Il lavoro può essere considerato solo un mezzo di sopravvivenza, strumentale e funzionale per gestire poi il mio tempo libero oppure contribuisce a creare la mia personalità?». Se la pandemia – i cui postumi permangono – ci ha lasciato la necessità di avere più tempo e più spazio per noi, «dobbiamo capire in che modo usare questo tempo e questo spazio». La felicità dopo il lavoro o la felicità nel lavoro. Per la sottosegretaria Albano il lavoro è un bene ricevuto da tramandare, anche se in Italia «ci sono 1,7 milioni di NEET che non studiano né lavorano. Spesso anche a fronte di uno stipendio dignitoso non viene accettato il lavoro, perché se ne ha paura, perché si cerca benessere, perché non si fa un sacrificio». Albano ha attaccato il reddito di cittadinanza: «Le politiche che hanno sostenuto il reddito di cittadinanza come risposta alla necessità di lavoro non sono politiche che possono tramandare la nostra cultura del lavoro». E in merito al salario minimo: «Se il lavoro è un valore di per sé, non possiamo stigmatizzarlo con un valore minimo. A problemi complessi bisogna rispondere in maniera approfondita. Su questo tema ci sarà su una riflessione. Più che di salario minimo vogliamo affrontare il problema del lavoro povero».