Il puzzo del compromesso
Borsellino sapeva già quanto la sua vita fosse segnata, dopo la morte di Falcone.
martedì 19 luglio 2022
11.59
iReport
Oggi ricorre il 30° anniversario dalla strage di via D'Amelio. Senza proseguire nei dettagli, Borsellino sapeva già quanto la sua vita fosse segnata, dopo la morte di Falcone. La sua scorta conosceva il rischio che correva nel proteggere una simile personalità. Purtroppo il ponderabile accadde. Per quanto ci si affanni nella commemorazione in occasione delle tristi e meste ricorrenze (citando Totò), quasi - talvolta - fosse una gara, il loro sacrificio probabilmente è stato parzialmente vano.
Perché... è inutile girare intorno a retorici concetti. Tanti di noi hanno qualcosa da perdere, tanti di noi hanno le "cose loro". Tanti di noi, ogni giorno, cercano - ad esempio - di farsi rimuovere una multa che sanno essere giusta; cercano scappatoie e sotterfugi per evitare fastidi di qualsiasi natura. Però, nel contempo, provano disgusto per i politici e i burocrati perché rappresentano "il sistema", "la casta".
In realtà tanti di noi sono, poi, magari, i primi a "cercare favori" proprio presso simili categorie sociali: spesso dettati dal puro e solo personalismo, inchinandosi servilmente a "questo" o "quello".
Di fatto una tale azione, nel piccolo, nel molto piccolo, è mafia.
Parlare di legalità, gonfiarsi bocche e guance con gli "io, io, io", dimostrando solo di facciata di non farsi sottomettere dal sistema anzidetto e in determinate occasioni, serve a nascondere un'ipocrisia da cui difficilmente si è immuni: forti coi (presunti) deboli, deboli coi (presunti) forti. È un'omertà, comunque, che riguarda chiunque. Perché abbiamo paura.
Abbiamo paura di offendere qualcuno, abbiamo paura di litigare, abbiamo paura del confronto, abbiamo egoistica paura di deludere, abbiamo paura di perdere la nostra "confort zone", abbiamo paura della ritorsione contro noi stessi o qualcuno a noi caro (reale o personale). Oppure abbiamo solo bisogno di salvare noi stessi di fronte ad un pubblico "per il semplice e dannato apparire".
Eppure... ci si trincera dietro le scuse (se qualcuno, dalla stessa platea, dovesse far mai notare le incoerenze), con i "si, ma tu devi capire che...", con i "tu non puoi comprendere", con gli "eh... ma certe dinamiche...", con i filosofici "devi scavare nel profondo", accompagnati da onnipresenti mani (morte) a dar pacche sulle spalle.
Eppure... è così impossibile accontentare tutti.
Sciascia, un altro scrittore siciliano, una sessantina d'anni fa, a metà strada tra oggi e le grandi stragi di mafia, in un suo romanzo divideva l'umanità in cinque categorie: uomini, mezzi uomini, uominicchi, pigliainculo (con rispetto parlando) e quaquaraquà.
Oggi, allora, ricordiamo. Solo.
Leonardo Mangini
Perché... è inutile girare intorno a retorici concetti. Tanti di noi hanno qualcosa da perdere, tanti di noi hanno le "cose loro". Tanti di noi, ogni giorno, cercano - ad esempio - di farsi rimuovere una multa che sanno essere giusta; cercano scappatoie e sotterfugi per evitare fastidi di qualsiasi natura. Però, nel contempo, provano disgusto per i politici e i burocrati perché rappresentano "il sistema", "la casta".
In realtà tanti di noi sono, poi, magari, i primi a "cercare favori" proprio presso simili categorie sociali: spesso dettati dal puro e solo personalismo, inchinandosi servilmente a "questo" o "quello".
Di fatto una tale azione, nel piccolo, nel molto piccolo, è mafia.
Parlare di legalità, gonfiarsi bocche e guance con gli "io, io, io", dimostrando solo di facciata di non farsi sottomettere dal sistema anzidetto e in determinate occasioni, serve a nascondere un'ipocrisia da cui difficilmente si è immuni: forti coi (presunti) deboli, deboli coi (presunti) forti. È un'omertà, comunque, che riguarda chiunque. Perché abbiamo paura.
Abbiamo paura di offendere qualcuno, abbiamo paura di litigare, abbiamo paura del confronto, abbiamo egoistica paura di deludere, abbiamo paura di perdere la nostra "confort zone", abbiamo paura della ritorsione contro noi stessi o qualcuno a noi caro (reale o personale). Oppure abbiamo solo bisogno di salvare noi stessi di fronte ad un pubblico "per il semplice e dannato apparire".
Eppure... ci si trincera dietro le scuse (se qualcuno, dalla stessa platea, dovesse far mai notare le incoerenze), con i "si, ma tu devi capire che...", con i "tu non puoi comprendere", con gli "eh... ma certe dinamiche...", con i filosofici "devi scavare nel profondo", accompagnati da onnipresenti mani (morte) a dar pacche sulle spalle.
Eppure... è così impossibile accontentare tutti.
Sciascia, un altro scrittore siciliano, una sessantina d'anni fa, a metà strada tra oggi e le grandi stragi di mafia, in un suo romanzo divideva l'umanità in cinque categorie: uomini, mezzi uomini, uominicchi, pigliainculo (con rispetto parlando) e quaquaraquà.
Oggi, allora, ricordiamo. Solo.
Leonardo Mangini