Vita di città
C'è anche un'altra Canosa, quella dei volontari!
Volontari del Centro parrocchiale Caritas. Accenniamo con delicatezza a qualche domanda
Canosa - mercoledì 4 aprile 2007
11.08
In preparazione della Santa Pasqua dedichiamo 5 minuti del nostro tempo alla ricerca del valore della vita e della cristiana carità, non spaventatevi della lunghezza del testo, vale la pena arrivare sino in fondo credeteci.
Testo tratto da www.sansabino.it il Campanile Genn.2007
Qualcuno è già in attesa, paziente: fa qualche passo o si siede vigile ad una delle panchine della piazzetta prospiciente la cattedrale. Sono le diciassette, è questo l'orario d'inizio, ogni lunedì e mercoledì. Si finisce dopo circa due ore, anche se la porta della chiesa è quasi sempre aperta per ogni necessità.
Qualche minuto per risistemare le sedie, controllare gli scaffali, riprendere memoria di quel che c'è e di quanto è stato consegnato nei giorni precedenti; un'occhiata veloce ai generi alimentari e spesso il rammarico per la scarsità di quelli più necessari.
Comincia il primo, poi arrivano in ordine sparso. Generalmente stanno sulla soglia, alcuni attendono l'invito ad entrare e restano in piedi fino a quando non fai cenno di sedersi; altri, quelli già conosciuti e che si sentono amici, salutano sorridenti e vigilano che si rispetti il loro turno. Generalmente consegnano un bigliettino su cui è scritta la data in cui possono ritornare a prendere ciò che è disponibile; alcune volte lo dimenticano e frugano inutilmente nelle tasche sapendo già che stanno cercandolo invano. Alcuni non parlano italiano e si fa fatica a capire ciò che chiedono; altri abbozzano solo alcune frasi incomplete e il resto lo affidano ai gesti e all'espressione del volto.
Chiediamo il loro nome, lo pronunciano velocemente, pensano forse che sia facile per noi poterlo scrivere correttamente. Chiediamo qualche volta un documento che ci permetta di trascrivere bene, non sempre sono disposti a darcelo, ma va bene lo stesso; lo vergano lentamente su un foglio e anche per loro l'operazione si fa difficile.
Accenniamo con delicatezza a qualche domanda: da dove viene, se è solo, se ha con sé tutta la famiglia, quanti sono, se hanno bambini e la loro età, se lavorano, se hanno una casa. Rispondono con aria rassegnata e qualche esitazione; hai la sensazione che, comunque, ciò che si sono lasciati alle spalle doveva essere molto più duro e insopportabile della situazione presente.
Uno di loro ci racconta che ha dovuto trascorrere la notte su una panchina del giardino comunale; chi lo ascolta ha tanta voglia di pensare che non sia vero. Prepariamo il pacchetto: un po' di tutto, poche cose, quel che abbiamo in dispensa; siamo più contenti quando, consegnando il sacchetto, lo sentiamo più pesante. Qualcuno dà uno sguardo al contenuto, chiede di poter scambiare un brick di latte con un altro pacco di pasta, gli lasciamo l'uno e l'altro.
Impariamo a conoscerli, cerchiamo le parole giuste per ogni circostanza: quando si fanno troppo insistenti, alzano la voce e tu spieghi che non siamo l'ufficio assistenza comunale, che il nostro finanziatore è la Provvidenza; quando gli suggerisci di non fumare perché sciupa soldi e gli fa male; quando prendi nota del numero di cellulare per qualsiasi possibilità di lavoro, quando ti dicono che in "casa" non hanno luce o chiedono il danaro per la bombola del gas, quando provano a farti sentire in colpa perché aiutiamo senza distinzione gli immigrati e gli indigeni. La povertà ha mille maschere, non sempre facili da interpretare.
Se non vanno subito via, è segno che hanno bisogno d'indumenti, di scarpe; queste ultime più difficili da trovare in buone condizioni. Prendiamo pantaloni, maglioni, biancheria intima, qualche coperta se c'è, giacconi che tengano più caldi; misurano a palmi, a occhiate, a bracciate se sono della loro misura, poi infilano quel "ben di dio" in una busta più grande. Se l'offerta è ampia, scelgono volentieri, non amano i colori vistosi; scartano ciò che non serve roteando le mani e scuotendo il capo. Le madri qualche volta si portano dietro i bambini; questi ultimi fanno da interpreti ai familiari adulti, imparano presto l'italiano, vanno a scuola, dicono il nome delle maestre, chiedono qualche quaderno e lo aggiungiamo ai maglioncini, alle gonnelline, che altri bambini come loro ma più fortunati, velocemente cresciuti, hanno dismesso l'anno precedente. Ai più piccini diamo qualche caramella, un cioccolatino, che afferrano restituendoci un sorriso e un grazie suggerito dalla mamma. Poi si dileguano nelle stradine del corso, nei sottani del castello e chissà in quale altra via.
Nei brevi intervalli riordiniamo. Buttiamo via scatole vuote, abiti inutilizzabili, scarpe già logore; qualche volta chi dona si distrae. Facciamo la nota della spesa: per il prossimo appuntamento abbiamo bisogno di zucchero, scatolame, qualche pacchetto di caffè per i "buongustai", un po' d'olio che costa di più.
E' già buio ed è l'ora della chiusura.
Mentre t'avvii verso casa, t'inquietano le "beatitudini" e le "maledizioni" del vangelo di Luca, poi ti rassereni fiducioso: "Resta con noi, Signore, perché si fa sera, e il giorno ormai declina".