Eventi e cultura
Educare alla libertà
Testimoniare che la vita un senso ce l’ha
Italia - domenica 29 agosto 2021
16.39
All'educazione è stato dedicato l'incontro conclusivo del Meeting 2021 di Rimini . A parlarne sono stati due scrittori, Susanna Tamaro e Eraldo Affinati. Affinati che è anche insegnante, ha fondato insieme alla moglie, Anna Luce Lenzi, la Penny Wirton, una scuola di italiano per immigrati diffusa in oltre cinquanta postazioni sul territorio nazionale. Li ha intervistati Costantino Esposito, professore ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Bari. L'incontro, realizzato con il sostegno della Regione Emilia-Romagna e della rivista Tracce, si è svolto all'Auditorium Intesa Sanpaolo D1. Esposito ha chiesto ai due ospiti se l'educazione sia l'elaborazione di un concetto etico oppure un'avventura estetica. La Tamaro ha esordito dicendo che «il mondo è compenetrato da una straordinaria bellezza, la voce misteriosa dell'eterno». Educare e scrivere, secondo lei, servono per raccontare questo rapporto con il mistero della vita. La Tamaro ha un diploma di maestra elementare e forse è anche per questo che è molto attenta all'età dell'infanzia. «Bisogna aiutare i bambini a coltivare la bellezza», ha ammonito, «e non continuare a riempirli come cassonetti con ragionamenti astrusi che neanche un filosofo riuscirebbe a seguire. In questo modo, oggi, i bambini sono privati di quel silenzio che è condizione indispensabile perché si sviluppino le domande. Noi adulti non favoriamo la nascita, in loro, delle domande, diamo solo delle risposte, mentre il bambino deve entrare in relazione con il suo cuore e imparare a porre domande».
Affinati ha parlato della sua famiglia di origine, dalle modeste condizioni culturali ed economiche, di una madre salvatasi per miracolo dalla deportazione in Germania, di un padre abbandonato dai genitori, del nonno partigiano fucilato durante la guerra. Povera gente che aveva solo la quinta elementare. «Sono diventato scrittore e insegnante», ha confessato, «per trovare quelle parole che i miei non erano riusciti ad elaborare». Nell'insegnamento ha detto di essere sempre stato attratto dagli "imperfetti", da quelli che erano in difficoltà, «una specie di richiamo della foresta». Di qui la scelta di andare negli istituti professionali e poi, con la moglie, di fondare la Penny Wirton, uno spazio didattico pomeridiano dove si insegna l'italiano ad immigrati da tutto il mondo. Alla Wirton non si paga, al massimo un fiore o una mela dati con un grazie negli occhi. La Penny è uno spazio di crescita e di rivelazione per tutti. Affinati ha raccontato di un ragazzo di un istituto alberghiero andato lì per uno stage e che lui aveva messo ad insegnare, con successo, l'italiano ad un nigeriano di 44 anni. «La sua prof diceva che era destinato alla bocciatura», ricorda, «eppure lì vedeva che "funzionava"». Anche i Dsa, alla Wirton, "funzionano", come dimostrano quei ragazzi disabili di Catania che, a distanza, insegnano l'italiano ad un gruppo di arabi di Torino. «Io lavoro sullo "scarto"», ha detto, «e mi occupo molto di chi sbaglia. Ho lavorato molto sulla mia imperfezione e oggi voglio lavorare su quella degli altri, perché siamo tutti legati fra noi da fili invisibili».
Scrittori ed insegnanti non potevano non parlare di linguaggio. Per la Tamaro quello attuale è un mondo di chiacchiera continua; invece «bisogna trovare la parola che ci collega ad un sentimento di verità della persona». I problemi, a suo parere, sono cominciati con il Sessantotto che, eliminando il concetto di autorità, ha finito «per rendere impossibile la ribellione e senza ribellione non si cresce». Prima del Sessantotto, alla domanda se la vita avesse un senso erano possibili tre risposte: "si", "no", "non so". «Oggi ne sono rimaste solo due: "no" e "non so"», ha detto sconfortata, «e in mezzo c'è tutto lo spazio della disperazione. Invece, oggi, i ragazzi hanno una grande richiesta di senso ed è ora di dire loro che la vita un senso ce l'ha. L'educazione richiede forza e crede che l'altro sia portatore di un bene». Secondo la Tamaro, la nostra società, eliminando il padre, ha svuotato il Cielo, alterando il rapporto femminile-maschile. «E senza il maschile, il femminile produce la "nave dei folli"».
Affinati ha parlato della didattica a distanza che ha messo in moto energie vitali e ha raccontato come un pool di quattro persone, a distanza, sia riuscito ad insegnare l'italiano ad un iracheno sordomuto. Nell'educazione, secondo lui, il problema è la credibilità dell'educatore legittimata dall'esperienza. «I ragazzi scansano la politica perché percepiscono parole non suffragate dalla vita», ha detto, «e non si può parlare se non hai una vita dietro, una vita fatta di scelte. Invece oggi molti adulti restano adolescenti, in balia di desideri fra i quali non scelgono».
Susanna Tamaro si è congedata sottolineando la necessità per un educatore, e per tutti, di correggersi continuamente, altrimenti ci si fossilizza. «Se ti metti in gioco contro la routine quotidiana, il ragazzo che hai davanti diventa attento». Esposito ha concluso affermando che viviamo in un'epoca di nichilismo, «nella quale c'è disorientamento sul motivo per cui si è al mondo. Quel che fa la differenza è una persona che mette in gioco se stessa e si accorge che il mistero, la realtà ci guarda e bussa al nostro "io", chiedendo di essere riconosciuta. E questo desta la domanda. Il mistero ci sta aspettando e possiamo dire "eccomi"». A salutare la platea è intervenuto Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting. Scholz ha detto che il Meeting dell'anno prossimo cadrà nel centesimo anniversario della nascita di don Giussani «che ha dato la sua vita perché potessimo essere liberi». Il presidente ha ricordato quanto don Giussani disse al Meeting del 1985: «Il cristianesimo non è nato per fondare una religione, è nato come passione per l'uomo. L'amore all'uomo, la venerazione per l'uomo, la tenerezza per l'uomo, la passione per l'uomo, la stima assoluta per l'uomo. L'uomo è grande perché in rapporto con l'infinito. Passione per l'uomo è passione per la sua libertà». "Una passione per l'uomo" è il titolo della prossima edizione.
Affinati ha parlato della sua famiglia di origine, dalle modeste condizioni culturali ed economiche, di una madre salvatasi per miracolo dalla deportazione in Germania, di un padre abbandonato dai genitori, del nonno partigiano fucilato durante la guerra. Povera gente che aveva solo la quinta elementare. «Sono diventato scrittore e insegnante», ha confessato, «per trovare quelle parole che i miei non erano riusciti ad elaborare». Nell'insegnamento ha detto di essere sempre stato attratto dagli "imperfetti", da quelli che erano in difficoltà, «una specie di richiamo della foresta». Di qui la scelta di andare negli istituti professionali e poi, con la moglie, di fondare la Penny Wirton, uno spazio didattico pomeridiano dove si insegna l'italiano ad immigrati da tutto il mondo. Alla Wirton non si paga, al massimo un fiore o una mela dati con un grazie negli occhi. La Penny è uno spazio di crescita e di rivelazione per tutti. Affinati ha raccontato di un ragazzo di un istituto alberghiero andato lì per uno stage e che lui aveva messo ad insegnare, con successo, l'italiano ad un nigeriano di 44 anni. «La sua prof diceva che era destinato alla bocciatura», ricorda, «eppure lì vedeva che "funzionava"». Anche i Dsa, alla Wirton, "funzionano", come dimostrano quei ragazzi disabili di Catania che, a distanza, insegnano l'italiano ad un gruppo di arabi di Torino. «Io lavoro sullo "scarto"», ha detto, «e mi occupo molto di chi sbaglia. Ho lavorato molto sulla mia imperfezione e oggi voglio lavorare su quella degli altri, perché siamo tutti legati fra noi da fili invisibili».
Scrittori ed insegnanti non potevano non parlare di linguaggio. Per la Tamaro quello attuale è un mondo di chiacchiera continua; invece «bisogna trovare la parola che ci collega ad un sentimento di verità della persona». I problemi, a suo parere, sono cominciati con il Sessantotto che, eliminando il concetto di autorità, ha finito «per rendere impossibile la ribellione e senza ribellione non si cresce». Prima del Sessantotto, alla domanda se la vita avesse un senso erano possibili tre risposte: "si", "no", "non so". «Oggi ne sono rimaste solo due: "no" e "non so"», ha detto sconfortata, «e in mezzo c'è tutto lo spazio della disperazione. Invece, oggi, i ragazzi hanno una grande richiesta di senso ed è ora di dire loro che la vita un senso ce l'ha. L'educazione richiede forza e crede che l'altro sia portatore di un bene». Secondo la Tamaro, la nostra società, eliminando il padre, ha svuotato il Cielo, alterando il rapporto femminile-maschile. «E senza il maschile, il femminile produce la "nave dei folli"».
Affinati ha parlato della didattica a distanza che ha messo in moto energie vitali e ha raccontato come un pool di quattro persone, a distanza, sia riuscito ad insegnare l'italiano ad un iracheno sordomuto. Nell'educazione, secondo lui, il problema è la credibilità dell'educatore legittimata dall'esperienza. «I ragazzi scansano la politica perché percepiscono parole non suffragate dalla vita», ha detto, «e non si può parlare se non hai una vita dietro, una vita fatta di scelte. Invece oggi molti adulti restano adolescenti, in balia di desideri fra i quali non scelgono».
Susanna Tamaro si è congedata sottolineando la necessità per un educatore, e per tutti, di correggersi continuamente, altrimenti ci si fossilizza. «Se ti metti in gioco contro la routine quotidiana, il ragazzo che hai davanti diventa attento». Esposito ha concluso affermando che viviamo in un'epoca di nichilismo, «nella quale c'è disorientamento sul motivo per cui si è al mondo. Quel che fa la differenza è una persona che mette in gioco se stessa e si accorge che il mistero, la realtà ci guarda e bussa al nostro "io", chiedendo di essere riconosciuta. E questo desta la domanda. Il mistero ci sta aspettando e possiamo dire "eccomi"». A salutare la platea è intervenuto Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting. Scholz ha detto che il Meeting dell'anno prossimo cadrà nel centesimo anniversario della nascita di don Giussani «che ha dato la sua vita perché potessimo essere liberi». Il presidente ha ricordato quanto don Giussani disse al Meeting del 1985: «Il cristianesimo non è nato per fondare una religione, è nato come passione per l'uomo. L'amore all'uomo, la venerazione per l'uomo, la tenerezza per l'uomo, la passione per l'uomo, la stima assoluta per l'uomo. L'uomo è grande perché in rapporto con l'infinito. Passione per l'uomo è passione per la sua libertà». "Una passione per l'uomo" è il titolo della prossima edizione.