Territorio
In aumento l’export di formaggi 'Made in Italy'
A Bari la preparazione in diretta della famosa burrata pugliese
Puglia - domenica 17 ottobre 2021
14.18
E' record storico per gli acquisti di formaggi Made in Italy nel mondo con un balzo del 7,5% delle esportazioni trainate anche dalla riapertura dei ristoranti al livello internazionale. E' quanto emerge dall'analisi della Coldiretti Puglia, presentata a Bari al grande mercato regionale di Campagna Amica in Piazza del Ferrarese, dove è stata allestita l'esposizione dei formaggi pugliesi, dalle mozzarelle ai caciocavalli, dai formaggi erborinati, caprini e di fossa, fino ai pecorini dagli imbriachi agli affinati, con la preparazione in diretta della famosa burrata pugliese e i percorsi guidati di assaggio con l'affinatore di formaggi di Campagna Amica.
Circa i 2/3 delle esportazioni sono dirette all'interno dell'Unione Europea dove si è verificato un aumento dell'8,8% mentre gli Stati Uniti sono il principale mercato di sbocco fuori dai confini comunitari con un balzo del 12%.
A pesare sui mercati internazionali è anche il cosiddetto "italian sounding" di prodotti senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. A taroccare il cibo italiano – evidenzia la Coldiretti regionale – sono soprattutto i Paesi emergenti o i più ricchi dalla Cina all'Australia, dal Sud America agli Stati Uniti. Negli USA il 99% dei formaggi di tipo italiano sono "tarocchi" nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese, dalla mozzarella alla ricotta, dal Provolone al pecorino.
Fra le brutte copie dei prodotti caseari nazionali nel mondo, in cima alla classifica c'è la mozzarella, seguita dal provolone, dalla ricotta e dal pecorino realizzato però senza latte di pecora. La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi è – continua la Coldiretti – inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori ed una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori.
A pesare nelle stalle tra l'altro – sottolinea la Coldiretti Puglia - sono gli effetti di fenomeni estremi come la siccità e l'afa con il forte aumento dei costi di produzione a partire da quelli energetici e per l'alimentazione degli animali nelle stalle con il mais che registra +50%, la soia +80% e le farine di soia +35% rispetto allo scorso anno. Con 3 DOP (canestrato pugliese, mozzarella di Gioia del Colle e mozzarella di bufala) e 17 formaggi riconosciuti tradizionali dal MIPAAF (burrata, cacio, caciocavallo, caciocavallo podolico dauno, cacioricotta, cacioricotta caprino orsarese, caprino, giuncata, manteca, mozzarella o fior di latte, pallone di Gravina, pecorino, pecorino di Maglie, pecorino foggiano, scamorza, scamorza di pecora, vaccino) – aggiunge Coldiretti Puglia – il settore lattiero–caseario garantisce primati a livello nazionale e Sigilli della biodiversità dal valore indiscutibile.
Occorre intervenire urgentemente per salvare la "Fattoria Puglia", dove sono riuscite a sopravvivere con grande difficoltà in Puglia – conclude Coldiretti Puglia – appena 1.400 stalle per la produzione di latte, decisivo presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall'attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali a causa principalmente del prezzo del latte spesso non remunerativo, dovuto non solo alla crisi, ma anche e soprattutto alle evidenti anomalie di mercato con i prezzi alla stalla che subiscono inaccettabili 'fluttuazioni' e agli alti costi di gestione degli allevamenti.
Circa i 2/3 delle esportazioni sono dirette all'interno dell'Unione Europea dove si è verificato un aumento dell'8,8% mentre gli Stati Uniti sono il principale mercato di sbocco fuori dai confini comunitari con un balzo del 12%.
A pesare sui mercati internazionali è anche il cosiddetto "italian sounding" di prodotti senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. A taroccare il cibo italiano – evidenzia la Coldiretti regionale – sono soprattutto i Paesi emergenti o i più ricchi dalla Cina all'Australia, dal Sud America agli Stati Uniti. Negli USA il 99% dei formaggi di tipo italiano sono "tarocchi" nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese, dalla mozzarella alla ricotta, dal Provolone al pecorino.
Fra le brutte copie dei prodotti caseari nazionali nel mondo, in cima alla classifica c'è la mozzarella, seguita dal provolone, dalla ricotta e dal pecorino realizzato però senza latte di pecora. La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi è – continua la Coldiretti – inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori ed una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori.
A pesare nelle stalle tra l'altro – sottolinea la Coldiretti Puglia - sono gli effetti di fenomeni estremi come la siccità e l'afa con il forte aumento dei costi di produzione a partire da quelli energetici e per l'alimentazione degli animali nelle stalle con il mais che registra +50%, la soia +80% e le farine di soia +35% rispetto allo scorso anno. Con 3 DOP (canestrato pugliese, mozzarella di Gioia del Colle e mozzarella di bufala) e 17 formaggi riconosciuti tradizionali dal MIPAAF (burrata, cacio, caciocavallo, caciocavallo podolico dauno, cacioricotta, cacioricotta caprino orsarese, caprino, giuncata, manteca, mozzarella o fior di latte, pallone di Gravina, pecorino, pecorino di Maglie, pecorino foggiano, scamorza, scamorza di pecora, vaccino) – aggiunge Coldiretti Puglia – il settore lattiero–caseario garantisce primati a livello nazionale e Sigilli della biodiversità dal valore indiscutibile.
Occorre intervenire urgentemente per salvare la "Fattoria Puglia", dove sono riuscite a sopravvivere con grande difficoltà in Puglia – conclude Coldiretti Puglia – appena 1.400 stalle per la produzione di latte, decisivo presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall'attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali a causa principalmente del prezzo del latte spesso non remunerativo, dovuto non solo alla crisi, ma anche e soprattutto alle evidenti anomalie di mercato con i prezzi alla stalla che subiscono inaccettabili 'fluttuazioni' e agli alti costi di gestione degli allevamenti.