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Politica

La riforma costituzionale ha effetti anche sulla salute

Interviene il Comitato “Canosa per il Sì”

La riforma costituzionale non parla di massimi sistemi ma di problemi quotidiani che riguardano ogni singolo cittadino, ad esempio: il diritto alla salute. Il quesito su cui sono chiamati a pronunciarsi gli italiani modifica l'articolo 117 che sancisce il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, affidando al primo la competenza esclusiva sulla tutela della salute e politiche sociali, alle seconde l'organizzazione dei servizi. Secondo la Costituzione vigente, la sanità rientra tra le cosiddette "materie concorrenti". La concorrenza legislativa fra Stato e Regioni ha prodotto moltissima confusione e un'infinità di contenziosi fra le due parti, che hanno dato luogo ad altrettanti ricorsi alla Corte Costituzionale per ristabilire di volta in volta il rispettivo perimetro legislativo. L'effetto di questa confusione? L'ingolfamento della Corte Costituzionale, per esempio, le cui sentenze ora riguardano per il 45% i rapporti Stato/Regioni, mentre nel 2000 (l'anno prima della riforma che ha dato vita a questa confusione) si attestavano al 5%; l'altro grave problema è che oggi l'Italia è divisa in 20 sistemi sanitari diversi, e quindi non c'è un vero, unico, diritto alla salute: nascere in Puglia piuttosto che in Lombardia può fare la differenza rispetto alla qualità del sistema sanitario. Quali sono quindi alcune delle disparità regionali che questa riforma vuole risolvere a livello sanitario? In Italia, per quanto riguarda i vaccini, non vi è un sistema di copertura omogeneo. Quindi accade che per malattie come il Papilloma virus (HPV) si passa dal 75% di copertura in Toscana al 30% in Sicilia. E solamente cinque regioni su 20 includono anche i maschi nei programmi anti-HPV. Non solo la copertura ma anche i tempi di distribuzione dei farmaci cambiano di regione in regione. I tempi per l'inserimento nei prontuari regionali di un farmaco oncologico, ad esempio, possono variare anche di tre anni e mezzo da una Regione all'altra.

Anche in materia di prevenzione, i dati non sono affatto rassicuranti. Solo la metà delle regioni rispetta il livello essenziale di assistenza previsto dal Ministero in maniera di prevenzione. Le Regioni del Centro e del Sud sono tutte inadempienti, esclusa la Basilicata. Il tasso adesione allo screening per tumore del colon retto: Nord 53%, Centro 39%, Sud 31%. Un altro esempio specifico di disuguaglianza è quello dello screening mammografico. In Italia 7 donne su 10, tra i 50 e i 69 anni, si sottopongono allo screening a scopo preventivo, ma se si guarda ai dati regionali in Veneto è 83% di queste il 63 % su invito Asl, in Campania il 47,6 di cui il 20% su invito Asl. A queste disparità se ne aggiungono moltissime:ticket sanitari con costi diversi, tempi di reperimento di farmaci profondamente squilibrati e funzionamento generale inadeguato. Il nuovo articolo 117 della riforma costituzionale vuole porre fine a tutto ciò: stabilisce che lo Stato si occuperà delle disposizioni "comuni e generali" in materia di sanità: le Regioni continueranno quindi a essere responsabili e autonome per l'organizzazione sanitaria, ma il diritto alla salute verrà uniformato: ovvero, con la legislazione nazionale (e le risorse nazionali) potranno essere più facilmente uniformati i tempi, i costi delle prestazioni e dei farmaci, i piani di vaccinazione e di prevenzione. Queste considerazioni sono peraltro supportate da Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, ha affermato che la sanità italiana "è a pezzi, ovvero divisa in tanti sistemi sanitari diversi. Bisogna trovare il modo di ricucire. L'obiettivo della prima riforma che ha modificato il titolo V, nel 2001, era avvicinare i servizi ai cittadini, ma il modello ha riprodotto e moltiplicato nelle varie realtà i difetti del precedente sistema. La nuova riforma va nella direzione di una maggiore responsabilità, a fronte dello scaricabarile sul mancato rispetto dei Livelli essenziali di assistenza a cui assistiamo oggi tra Regione e Governo".

A queste si aggiungono quelle di Walter Ricciardi, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità e dell'Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni ha sottolineato che "Prima del 2001 l'aspettativa di vita in Italia era abbastanza omogenea, oggi nascere in Campania o Sicilia significa avere un'aspettativa di vita di 4 anni di meno: praticamente in 15 anni hanno perso tutto il guadagno maturato dal secondo dopoguerra. Così i cittadini del Sud – prosegue – sono beffati tre volte: pagano di più, hanno meno servizi e sono costretti a emigrare per curarsi". La riforma costituzionale potrebbe servire a correggere questo quadro: "Riportando la competenza della salute allo Stato – spiega – quest'ultimo può intervenire non sulle realtà che funzionano, ma in quelle regioni dove vivono 34 milioni di italiani privi di servizi, come gli screening oncologici, l'assistenza domiciliare, la terapia del dolore". Il 4 dicembre basta un sì per un'Italia più equa, per un diritto alla salute finalmente uguale per tutti.
Il Comitato "Canosa per il SI"
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