Amministrazioni ed Enti
Pietro Piccioni, vice presidente della Camera di Commercio di Bari
“E’ un riconoscimento al grande peso dell’agricoltura sull’economia della Puglia", la prima dichiarazione rilasciata
Puglia - venerdì 29 aprile 2022
22.20
Nel corso della prima riunione della nuova giunta della Camera di Commercio di Bari la vicepresidenza è andata all'agricoltura con Pietro Piccioni, direttore regionale di Coldiretti, nominato vicepresidente camerale. "E' un riconoscimento al grande peso dell'agricoltura sull'economia della Puglia, settore che dopo l'emergenza Covid si ritrova a vivere in uno scenario di incertezza e criticità per le difficoltà della ripartenza e a causa degli effetti del conflitto in Ucraina", afferma Pietro Piccioni, direttore di Coldiretti Puglia. Classe 1965, marchigiano di Ascoli Piceno, Pietro Piccioni ha una esperienza professionale interamente targata Coldiretti, maturata in Veneto, Toscana, Marche, Umbria e Puglia.
Più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell'attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell'aumento dei costi, secondo l'analisi Coldiretti su dati Crea. "È il risultato di uno tsunami che si è abbattuto a valanga sulle aziende agricole con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci delle aziende agricole. Per questo vanno individuati – aggiunge il direttore Piccioni - strumenti di sostegno, anche attraverso la Camera di Commercio di Bari che è la casa delle imprese – quando nelle campagne si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio". Ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti sono proprio le coltivazioni di cereali, dal grano al mais, che servono al Paese a causa dell'esplosione della spesa di gasolio, concimi e sementi e l'incertezza sui prezzi di vendita con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato. In difficoltà serre e vivai per la produzione di piante, fiori, ma anche verdura e ortaggi seguiti dalle stalle da latte. L'incremento dei costi rischia, di aumentare la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti agroalimentari con l'Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare che con i raccolti nazionali di mais e soia, fondamentali per l'alimentazione degli animali, si copre rispettivamente appena il 53% e il 27% del fabbisogno italiano secondo l'analisi del Centro Studi Divulga.
Più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell'attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell'aumento dei costi, secondo l'analisi Coldiretti su dati Crea. "È il risultato di uno tsunami che si è abbattuto a valanga sulle aziende agricole con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci delle aziende agricole. Per questo vanno individuati – aggiunge il direttore Piccioni - strumenti di sostegno, anche attraverso la Camera di Commercio di Bari che è la casa delle imprese – quando nelle campagne si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio". Ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti sono proprio le coltivazioni di cereali, dal grano al mais, che servono al Paese a causa dell'esplosione della spesa di gasolio, concimi e sementi e l'incertezza sui prezzi di vendita con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato. In difficoltà serre e vivai per la produzione di piante, fiori, ma anche verdura e ortaggi seguiti dalle stalle da latte. L'incremento dei costi rischia, di aumentare la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti agroalimentari con l'Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare che con i raccolti nazionali di mais e soia, fondamentali per l'alimentazione degli animali, si copre rispettivamente appena il 53% e il 27% del fabbisogno italiano secondo l'analisi del Centro Studi Divulga.