Territorio
Puglia: Crolla la quotazione del grano duro
Coldiretti Puglia: "Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi"
Puglia - giovedì 1 settembre 2022
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Con la stangata dell'energia, del carburante e della materie prime si è scatenata una tempesta perfetta nel granaio d'Italia dove da giugno sono andati in fumo 80 euro a tonnellata di grano duro, in uno scenario di crisi per le aziende agricole che stanno vendendo a prezzi al di sotto dei costi di produzione, balzati alle stelle a causa delle speculazioni aggravate dalla guerra in Ucraina, con il crollo della produzione per la siccità e del clima di incertezza nazionale e internazionale. E' quanto afferma Coldiretti Puglia, in relazione alla quotazione del grano duro a 500 euro a tonnellata alle Borse Merci di Foggia e Bari, con una discesa verticale da giugno nonostante il mercato sia in fermento per la ripresa di attività e scambi, per cui vanno trovate soluzioni urgenti, ma anche a medio e lungo termine per la filiera del grano duro. Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali ma è necessario investire – aggiunge Coldiretti Puglia - per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma serve anche contrastare seriamente l'invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all'abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l'innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.
In Puglia, tra l'altro, la produzione è crollata del 35%-40% a causa della siccità, proprio quando coltivare grano è costato agli agricoltori pugliesi fino a 600 euro in più ad ettaro a causa dell'impennata dei costi di produzione causata dall'effetto a valanga della guerra in Ucraina dopo la crisi generata dalla pandemia Covid, che si riflette a cascata dalle sementi al gasolio fino ai fertilizzanti. Ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali di costi correnti sono state proprio le coltivazioni di cereali, dal grano all'avena, che servono al Paese a causa dell'esplosione della spesa di gasolio, concimi e sementi e l'incertezza sui prezzi di vendita con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato. La minor produzione pesa sulle aziende cerealicole che hanno dovuto affrontare rincari delle spese di produzione che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio con incrementi medi dei costi correnti del 68% secondo elaborazioni Coldiretti su dati del Crea. Il taglio dei raccolti causato dall'incremento dei costi e dalla grave e perdurante siccità in alcune aree delle province di Bari e Foggia rischia di aumentare ulteriormente la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti agroalimentari, con l'Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare che con i raccolti nazionali di mais e soia, fondamentali per l'alimentazione degli animali, si copre rispettivamente appena il 53% e il 27% del fabbisogno italiano secondo l'analisi del Centro Studi Divulga.
La Puglia è il principale produttore italiano di grano duro, con 360.000 ettari coltivati e 10milioni di quintali prodotti in media all'anno. La domanda di grano 100% Made in Italy si scontra con anni di disattenzione e di concorrenza sleale delle importazioni dall'estero, soprattutto da aree del pianeta che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale in vigore in Puglia ed in Italia, che nell'ultimo decennio hanno portato alla scomparsa di 1 campo su 5 con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati, con effetti dirompenti sull'economia, sull'occupazione e sull'ambiente. La speculazione in atto a causa del conflitto – conclude la Coldiretti – si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l'oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall'andamento reale della domanda e dell'offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati "future" uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori.
In Puglia, tra l'altro, la produzione è crollata del 35%-40% a causa della siccità, proprio quando coltivare grano è costato agli agricoltori pugliesi fino a 600 euro in più ad ettaro a causa dell'impennata dei costi di produzione causata dall'effetto a valanga della guerra in Ucraina dopo la crisi generata dalla pandemia Covid, che si riflette a cascata dalle sementi al gasolio fino ai fertilizzanti. Ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali di costi correnti sono state proprio le coltivazioni di cereali, dal grano all'avena, che servono al Paese a causa dell'esplosione della spesa di gasolio, concimi e sementi e l'incertezza sui prezzi di vendita con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato. La minor produzione pesa sulle aziende cerealicole che hanno dovuto affrontare rincari delle spese di produzione che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio con incrementi medi dei costi correnti del 68% secondo elaborazioni Coldiretti su dati del Crea. Il taglio dei raccolti causato dall'incremento dei costi e dalla grave e perdurante siccità in alcune aree delle province di Bari e Foggia rischia di aumentare ulteriormente la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti agroalimentari, con l'Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare che con i raccolti nazionali di mais e soia, fondamentali per l'alimentazione degli animali, si copre rispettivamente appena il 53% e il 27% del fabbisogno italiano secondo l'analisi del Centro Studi Divulga.
La Puglia è il principale produttore italiano di grano duro, con 360.000 ettari coltivati e 10milioni di quintali prodotti in media all'anno. La domanda di grano 100% Made in Italy si scontra con anni di disattenzione e di concorrenza sleale delle importazioni dall'estero, soprattutto da aree del pianeta che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale in vigore in Puglia ed in Italia, che nell'ultimo decennio hanno portato alla scomparsa di 1 campo su 5 con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati, con effetti dirompenti sull'economia, sull'occupazione e sull'ambiente. La speculazione in atto a causa del conflitto – conclude la Coldiretti – si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l'oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall'andamento reale della domanda e dell'offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati "future" uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori.