Eventi e cultura
Sud, lavoro e Piano del lavoro
Il Consiglio regionale ricorda Peppino Di Vittorio
Puglia - lunedì 4 novembre 2019
21.19
Giuseppe Di Vittorio, "un grande pugliese, un grande italiano". Nel segno di "Peppino" e per proiettare nel presente "una sua grande intuizione politica e sociale, il Piano del lavoro proposto nel 1949," il Consiglio regionale della Puglia ha promosso un convegno nel settantesimo anniversario del Piano e il giorno dopo il 62° anniversario della scomparsa del sindacalista di Cerignola. "Fondatore della Cgil, padre costituente, un simbolo per il mondo del lavoro, tanto da essere considerato un 'santo laico' o, per dirla con Vittore Fiore, un filosofo proletario'", ha ricordato il presidente dell'Assemblea pugliese, Mario Loizzo, in un intervento introduttivo affidato al vicepresidente Giuseppe Longo. "Il Piano del Lavoro, Di Vittorio e il Mezzogiorno": il convegno si inserisce in un progetto più ampio sul ruolo di Di Vittorio nella storia italiana del 1900. È stato preceduto e sarà seguito dal ciclo di lezioni sul suo pensiero e operato, sempre a cura della Biblioteca del Consiglio Regionale della Puglia, dell'Ipsaic (Istituto storico pugliese), dell'Ufficio Scolastico Regionale, dell'Istituto Nazionale Ferruccio Parri, dell'Associazione "Casa Di Vittorio" di Cerignola e della Fondazione "Giuseppe Di Vittorio" di Roma. Il vicepresidente Longo si è soffermato sul significato di incontri che si aggiungono a quelli nel ricordo di Aldo Moro, Tommaso Fiore, Gaetano Salvemini, nel quadro delle iniziative del Consiglio regionale tese a recuperare e valorizzare la memoria storica della Puglia, attraverso gli eventi e le grandi personalità che hanno onorato la storia politica e culturale di questa regione. Come quei pugliesi, Di Vittorio, ha detto Longo, "è radice della nostra gente, della nostra terra, rappresenta la forza e la determinazione, l'impegno sociale e la buona politica. Da bracciante è diventato un leader sindacale di levatura mondiale, si è affrancato dall'analfabetismo ed è stato capace di scrivere da ottimo giornalista. La grandezza di Peppino Di Vittorio è anche la sua capacità di crescere, di raggiungere traguardi".
Il Piano del Lavoro, proposto nel Congresso di Genova dell'ottobre 1949, si misurava con un Paese alle prese con la ricostruzione postbellica, penalizzato da oltre due milioni di disoccupati, soprattutto al Sud, ferito da disuguaglianze sociali acute, bassa scolarizzazione, emigrazione, fame.
Il Piano del lavoro, per il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso, tra i relatori del convegno, è stato una sua "sfida keynesiana, non ideologica. Era un eretico, del resto, un uomo di truppa, non di stato maggiore. Era un uomo del Sud ed è stato capace di assumere il ruolo di leader riconosciuto del mondo contadino del Mezzogiorno e del mondo operaio del Nord". Il suo "tasso di ereticità resta proverbiale", ha fatto notare De Tomaso. Si differenziò dalla linea del Pci sull'accordo Molotov-Ribbentrop, che aprì alla doppia occupazione della Polonia nel settembre 1939. Dopo l'invasione dell'Ungheria nel 1956 prese le difese degli insorti, a costo di sfidare la nomenklatura sovietica e il suo partito.
Resta attuale il leader, l'uomo libero, capace di guardare avanti. Il prof. Guglielmo Forges Davanzati, docente associato di economia politica dell'Università del Salento, ha ricordato le sue battaglie, le vittorie "essenziali per la modernizzazione produttiva, economica e sociale del Paese. Ma quello che resta fondamentalmente sono le idee di Di Vittorio", il Piano del lavoro sembra un progetto di oggi e servirebbe. Dai suoi tempi l'Italia è passata attraverso crisi economiche e industriali, austerità, cadute del pil. "Si sono ridotti anche i diritti dei lavoratori" e quello di cui abbiamo bisogno "è una ripresa dall'interno attraverso maggiori investimenti e maggiore regolamentazione del mercato del lavoro".
Conclusioni affidate a Ivana Galli, della segreteria confederale nazionale Cgil. "Di Vittorio e il Piano del lavoro sono attualissimi, perché le proposte avanzate allora sono ancora nella piattaforma Cgil-Cisl-Uil illustrata al governo, in cui si chiede una riforma fiscale, di far pagare le tasse a chi non le ha mai pagate e soprattutto si parla di investimenti pubblici, di far ripartire il Mezzogiorno e di mettere al centro il lavoro". Di Vittorio sosteneva che il Paese si salva solo se c'è il lavoro: "è da quello che occorre ripartire, creandolo di qualità non uno purchessia e tenendo fermo il rispetto dei contratti e dei diritti dei lavoratori", perché nei dati recenti c'è una crescita esponenziale del part time involontario, per cui cresce l'occupazione ma crollano le ore lavorate. Giuseppe Di Vittorio, ha aggiunto Ivana Galli, "ci consegna un'eredità difficile, perché se i valori saltano perché le persone sono costrette ad accontentarsi, a partire dalle alte professionalità e dai giovani laureati, quello che preoccupa è che questo genera sfiducia nelle istituzioni". Ritorna quindi esemplare la lezione di Di Vittorio, che dando al piano "un'ispirazione fondamentalmente keynesiana - ha osservato il presidente Loizzo - puntò sull'unità degli italiani e non propose un mutamento dei rapporti di classe, ma una svolta economica profonda per riequilibrare l'economia".
Il Piano del Lavoro, proposto nel Congresso di Genova dell'ottobre 1949, si misurava con un Paese alle prese con la ricostruzione postbellica, penalizzato da oltre due milioni di disoccupati, soprattutto al Sud, ferito da disuguaglianze sociali acute, bassa scolarizzazione, emigrazione, fame.
Il Piano del lavoro, per il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso, tra i relatori del convegno, è stato una sua "sfida keynesiana, non ideologica. Era un eretico, del resto, un uomo di truppa, non di stato maggiore. Era un uomo del Sud ed è stato capace di assumere il ruolo di leader riconosciuto del mondo contadino del Mezzogiorno e del mondo operaio del Nord". Il suo "tasso di ereticità resta proverbiale", ha fatto notare De Tomaso. Si differenziò dalla linea del Pci sull'accordo Molotov-Ribbentrop, che aprì alla doppia occupazione della Polonia nel settembre 1939. Dopo l'invasione dell'Ungheria nel 1956 prese le difese degli insorti, a costo di sfidare la nomenklatura sovietica e il suo partito.
Resta attuale il leader, l'uomo libero, capace di guardare avanti. Il prof. Guglielmo Forges Davanzati, docente associato di economia politica dell'Università del Salento, ha ricordato le sue battaglie, le vittorie "essenziali per la modernizzazione produttiva, economica e sociale del Paese. Ma quello che resta fondamentalmente sono le idee di Di Vittorio", il Piano del lavoro sembra un progetto di oggi e servirebbe. Dai suoi tempi l'Italia è passata attraverso crisi economiche e industriali, austerità, cadute del pil. "Si sono ridotti anche i diritti dei lavoratori" e quello di cui abbiamo bisogno "è una ripresa dall'interno attraverso maggiori investimenti e maggiore regolamentazione del mercato del lavoro".
Conclusioni affidate a Ivana Galli, della segreteria confederale nazionale Cgil. "Di Vittorio e il Piano del lavoro sono attualissimi, perché le proposte avanzate allora sono ancora nella piattaforma Cgil-Cisl-Uil illustrata al governo, in cui si chiede una riforma fiscale, di far pagare le tasse a chi non le ha mai pagate e soprattutto si parla di investimenti pubblici, di far ripartire il Mezzogiorno e di mettere al centro il lavoro". Di Vittorio sosteneva che il Paese si salva solo se c'è il lavoro: "è da quello che occorre ripartire, creandolo di qualità non uno purchessia e tenendo fermo il rispetto dei contratti e dei diritti dei lavoratori", perché nei dati recenti c'è una crescita esponenziale del part time involontario, per cui cresce l'occupazione ma crollano le ore lavorate. Giuseppe Di Vittorio, ha aggiunto Ivana Galli, "ci consegna un'eredità difficile, perché se i valori saltano perché le persone sono costrette ad accontentarsi, a partire dalle alte professionalità e dai giovani laureati, quello che preoccupa è che questo genera sfiducia nelle istituzioni". Ritorna quindi esemplare la lezione di Di Vittorio, che dando al piano "un'ispirazione fondamentalmente keynesiana - ha osservato il presidente Loizzo - puntò sull'unità degli italiani e non propose un mutamento dei rapporti di classe, ma una svolta economica profonda per riequilibrare l'economia".