DIRITTO & DIRITTI con l'Avvocato Coppola
Il diritto di recesso nei contratti del consumatore
Un negozio giuridico unilaterale
sabato 21 aprile 2018
17.44
A molti di noi è capitato di acquistare beni o servizi che, per i più svariati motivi, non ci hanno soddisfatto dopo averli utilizzati, ma avendo concluso un contratto (es. l'acquisto di un elettrodomestico o altra cosa mobile o un servizio di telefonia) ci chiediamo se sia possibile sciogliersi da quel vincolo contrattuale restituendo la cosa o dismettendo il servizio e, in caso affermativo, con quali conseguenze. La materia è disciplinata compiutamente sia dal codice civile che dal più recente codice del consumo, ma con effetti diversi; esaminiamo quindi le due normative precisando che la normativa del codice civile è generale, applicabile in linea di massima a qualunque tipo di contratto, mentre la normativa del codice del consumo è specifica dei contratti in cui è parte un "consumatore" persona fisica, e può considerarsi speciale rispetto alla prima. Ora l'atto con cui una delle parti può sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale in deroga al principio dell'art. 1372 del codice civile secondo cui: "il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso (cioè per volontà di entrambe le parti) o per cause ammesse dalla legge (es. risoluzione per inadempimento – art. 1453)", si chiama "recesso". Pertanto il recesso dal contratto non è una facoltà normale per i contraenti, ma costituisce un'eccezione e presuppone che essa sia attribuita per legge o clausola contrattuale, configurandosi così un recesso "legale" (previsto per tutta una serie di contratti quali ad es: affitto, vendita, appalto, trasporto, ecc.) che si produce al verificarsi di determinate circostanze oggettive o soggettive qualificate dalla legge, o "volontario o convenzionale", quando la facoltà di recedere unilateralmente è attribuita da una clausola contrattuale che le parti possono liberamente apporre a favore di una o di entrambe. Quello di cui parleremo è il recesso "volontario o convenzionale"; pertanto il recesso consiste in un negozio giuridico unilaterale avente "natura recettizia" che produce effetti estintivi di un precedente rapporto contrattuale dal momento in cui la dichiarazione del recedente perviene a conoscenza dell'altra parte, essa è irrevocabile, inoltre non è possibile un recesso parziale. Non è richiesta una particolare forma della dichiarazione, tuttavia questa è relativa al contratto cui si riferisce (nel senso che se è richiesta una forma scritta o solenne per il contratto, tale dovrà anche essere per il recesso). L'art. 1373 c.c. (recesso unilaterale) al primo comma così dispone: "Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finchè il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione". Il disposto si riferisce ai contratti ad esecuzione immediata e fa riferimento all'attività successiva alla conclusione (nella vendita si pensi ad un acconto del prezzo versato contestualmente alla conclusione, rispetto ai successivi versamenti che costituiscono esecuzione del contratto). Il secondo comma dell'articolo invece dispone: "Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione." (si pensi al contratto di locazione o di somministrazione dove non si restituiscono i canoni versati o quanto fino al momento del recesso somministrato) .
Il terzo comma dell'articolo recita: "Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita". Le parti possono, nella loro autonomia negoziale, convenire che chi voglia recedere dal contratto lo possa fare versando un corrispettivo alla controparte. E' questo l'istituto della "multa penitenziale" che assolve la funzione di indennizzare l'altra parte dell'esercizio della facoltà di recesso esercitata da uno dei contraenti, da non confondere con la "caparra penitenziale" prevista dall'art. 1386 c.c. dove il corrispettivo del recesso viene consegnato preventivamente e la parte che intende recedere perde la caparra versata o deve restituire il doppio di quella ricevuta. Infine l'ultimo comma stabilisce che: "E' salvo in ogni caso il patto contrario". Il disposto riconosce alle parti la facoltà di convenire in senso diverso alle prescrizioni suddette in virtù di quell'autonomia negoziale prevista dall'ordinamento giuridico come principio generale, riconoscendo che in ambito contrattuale la volontà concorde delle parti è "sovrana". Da precisare ancora che la giurisprudenza ritiene che il recesso non possa non avere "un termine preciso o quanto meno determinabile" (cioè una data o periodo di tempo entro il quale può essere esercitato) data la sua natura di eccezione al principio generale dell'irrevocabilità degli obblighi contrattuali, poiché in assenza di un termine l'efficacia del contratto resterebbe subordinata all'arbitrio della parte titolare del diritto di recesso, con pregiudizio delle finalità perseguite con il contratto. Da ultimo il recesso non ha effetto retroattivo ma ha efficacia ex nunc (da ora). Di regola quindi la dichiarazione di recesso produce i suoi effetti limitatamente ai rapporti in essere non investendo i rapporti già conclusi ed eseguiti, ma anche in questo caso la volontà delle parti è sovrana, nulla vieta che le parti possano convenire di estendere tale facoltà anche a tali rapporti. Nel prossimo intervento sarà esaminata la normativa del codice del consumo.
Roberto Felice Coppola - avvocato civilista
Il terzo comma dell'articolo recita: "Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita". Le parti possono, nella loro autonomia negoziale, convenire che chi voglia recedere dal contratto lo possa fare versando un corrispettivo alla controparte. E' questo l'istituto della "multa penitenziale" che assolve la funzione di indennizzare l'altra parte dell'esercizio della facoltà di recesso esercitata da uno dei contraenti, da non confondere con la "caparra penitenziale" prevista dall'art. 1386 c.c. dove il corrispettivo del recesso viene consegnato preventivamente e la parte che intende recedere perde la caparra versata o deve restituire il doppio di quella ricevuta. Infine l'ultimo comma stabilisce che: "E' salvo in ogni caso il patto contrario". Il disposto riconosce alle parti la facoltà di convenire in senso diverso alle prescrizioni suddette in virtù di quell'autonomia negoziale prevista dall'ordinamento giuridico come principio generale, riconoscendo che in ambito contrattuale la volontà concorde delle parti è "sovrana". Da precisare ancora che la giurisprudenza ritiene che il recesso non possa non avere "un termine preciso o quanto meno determinabile" (cioè una data o periodo di tempo entro il quale può essere esercitato) data la sua natura di eccezione al principio generale dell'irrevocabilità degli obblighi contrattuali, poiché in assenza di un termine l'efficacia del contratto resterebbe subordinata all'arbitrio della parte titolare del diritto di recesso, con pregiudizio delle finalità perseguite con il contratto. Da ultimo il recesso non ha effetto retroattivo ma ha efficacia ex nunc (da ora). Di regola quindi la dichiarazione di recesso produce i suoi effetti limitatamente ai rapporti in essere non investendo i rapporti già conclusi ed eseguiti, ma anche in questo caso la volontà delle parti è sovrana, nulla vieta che le parti possano convenire di estendere tale facoltà anche a tali rapporti. Nel prossimo intervento sarà esaminata la normativa del codice del consumo.
Roberto Felice Coppola - avvocato civilista