DIRITTO & DIRITTI con l'Avvocato Coppola
Le infezioni da trasfusione ed emoderivati infetti
Il diritto per difendersi
domenica 19 aprile 2020
15.58
Prima di affrontare l'argomento voglio rendere omaggio e inchinarmi nei confronti di tutto il personale medico-sanitario italiano che sino all'estremo sacrificio della propria vita sta lottando contro il pernicioso virus che sta affliggendo il mondo intero, nonché della sua abnegazione nel prestare il proprio lavoro e l'assistenza ai malati pur senza quegli strumenti di protezione di cui vergognosamente, nel momento in cui scrivo, è ancora in parte privo e che avrebbero consentito di tutelare una gran parte di quei medici e infermieri che sono deceduti. Spero che la vicenda, purtroppo ancora in itinere, insegni a portare rispetto nei confronti di queste due categorie troppe volte, negli ultimi tempi, bistrattate, insultate e peggio ancora malmenate.
Fatta tale doverosa premessa, dopo aver affrontato nella prima parte l'argomento delle infezioni ospedaliere, in questa seconda parte tratterò delle infezioni da trasfusione ed emoderivati infetti, premettendo che l'argomento ha originato una giurisprudenza durata circa un ventennio. Per danno da vaccinazione ed emoderivati infetti si intende il danno alla persona causato dal contagio di virus come l'HIV (Aids), o l'HCV (Epatite C), o l'HBV (Epatite B) a seguito di emotrasfusioni o vaccinazioni infette. Si tratta di patologie che hanno un lungo periodo di incubazione e i cui sintomi si manifestano a distanza di tempo, anche di molti anni, dal contagio e per tale motivo si parla di "danno lungolatente". Per lungo tempo la responsabilità medico sanitaria non è stata regolamentata da norme specifiche, anche per la mancanza di adeguate conoscenze scientifiche che potessero accertare con sufficiente certezza il nesso causale tra la malattia e la vaccinazione o trasfusione. Tuttavia sin dalla fine degli anni sessanta il Ministero della Salute era a conoscenza del rischio di contagio derivante da emotrasfusioni, ma pur adottando provvedimenti normativi per evitare le conseguenze di trasfusioni ed uso di emoderivati infetti, non provvide ad esercitare la vigilanza e il controllo sulle case farmaceutiche e su altri soggetti che operavano la commercializzazione e distribuzione, pur avendo una competenza esclusiva in materia.
Col progresso della scienza medica la giurisprudenza ha riconosciuto l'insorgenza di patologie derivanti dalle infezioni dei virus suddetti, a causa di emotrasfusioni e vaccinazioni infette, come un unico evento lesivo dell'integrità psicofisica della persona, stabilendo una "presunzione di responsabilità" del Ministero della Salute per tutte le dette infezioni dal 1979 al 1989, stante la scoperta scientifica della prevedibilità delle infezioni solo dal 1978 e poichè solo con il D.M. 21/07/1990 lo stesso impose l'obbligo di effettuare lo screening sul sangue prelevato al fine della ricerca indiretta degli anticorpi; ma è solo con la Legge 25/02/1992 n. 210 (indennizzo ai soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati) che si è giunti al riconoscimento di un indennizzo per le persone contagiate. Trattandosi di danno lungolatente, oltre che per la sua stessa natura in cui i sintomi della malattia possono manifestarsi a distanza di anni, in presenza di soggetti che per diverse patologie hanno necessità di procedere periodicamente ad emotrasfusioni, anche in diverse strutture sanitarie, sarà estremamente difficile, se non impossibile, individuare l'evento lesivo (il contagio a seguito di una specifica trasfusione) e la struttura che hanno causato il danno alla persona e il dato temporale (il giorno o il periodo di tempo) in cui il contagio si è verificato. Cosa diversa invece qualora la trasfusione sia somministrata in occasione di singole necessità, come per esempio un infortunio o un'operazione chirurgica. Le conseguenze giuridiche nelle due fattispecie sono notevolmente diverse.
Nel primo caso il danneggiato, per ottenere un risarcimento, non potrà che rivolgersi nei confronti del Ministero della Salute, responsabile come detto del dovere di direttiva, vigilanza e controllo di tutti i prodotti emoderivati prima della loro raccolta, distribuzione e utilizzo. Non sembra invece che un dovere di direttiva, vigilanza e controllo sussista in capo alle Regioni e alle ASL. La responsabilità del Ministero è dunque "omissiva" e viene classificata come "colposa" dall'art. 43 codice penale, mentre per il codice civile è di natura "extracontrattuale" e trova il suo fondamento nell'art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito) e nel principio generale del neminem laedere (non recare danno ad alcuno) che impone il risarcimento a chi ha prodotto un danno ingiusto ad altri. Nel secondo caso, invece, il soggetto danneggiato sarà più propenso a chiamare in causa la struttura sanitaria e/o il personale medico sanitario ritenuto responsabile e facilmente individuabile, in virtù di una responsabilità di tipo "contrattuale da contatto sociale qualificato" che grava sulla struttura e il personale medico sanitario ivi operante.
Nelle due diverse casistiche ha rilievo, in particolare, il termine di prescrizione che, nel caso della responsabilità del Ministero, attribuibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., è di cinque anni (art. 2947 c.c.), mentre per la responsabilità contrattuale della struttura e/o del personale medico sanitario, il termine è quello ordinario di dieci anni (art. 2946 c.c.). Ma quale è il "dies a quo" (il giorno dal quale) inizia a decorrere la prescrizione? Secondo l'art. 2935 c.c. è "il giorno in cui il diritto può essere fatto valere". La Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul punto finendo per stabilire che il dies a quo non è quello del verificarsi dell'evento lesivo (contagio), né quello della percezione oggettiva e soggettiva del danno (verificarsi della malattia), bensi' il momento in cui il danneggiato, usando l'ordinaria diligenza, acquisisce o può acquisire la piena consapevolezza dell'evento lesivo e della sua ingiustizia e quindi del danno subito o a subirsi. Sarà da tale giorno che il diritto potrà farsi valere e pertanto inizierà a decorrere la prescrizione.
Altro tipo di responsabilità è poi quella delle case farmaceutiche per i vaccini o emoderivati da loro prodotti o distribuiti. Tali attività vengono considerate dall'ordinamento come "pericolose"e pertanto ne consegue una responsabilità che viene disciplinata dall'art. 2050 c.c. (responsabilità per l'esercizio di attività pericolose). In caso di infezione o altro danno all'integrità psicofisica della persona derivante da vaccino o emoderivati, secondo la norma, sussiste una presunzione di responsabilità per il danno prodotto che obbliga al risarcimento "se non si prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno". La casa farmaceutica dovrà fornire una prova positiva e rigorosa per evitare la responsabilità. Per la Cassazione infatti: "non basta dare la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre fornire quella positiva, di aver impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l'evento dannoso".
Tornando alla legge n. 210/1992, la stessa prevede l'erogazione di un indennizzo a carico dello Stato consistente in un assegno reversibile per 15 anni, determinato nella misura indicata dalla tabella B allegata alla Legge 29/04/1976 n. 177, rivalutato ogni anno in ragione del tasso di inflazione programmato, nonché di una somma a titolo di indennità integrativa speciale prevista dalla Legge 27/05/1959 n. 324, per coloro che, a seguito della trasfusione o vaccinazione, abbiano subito una lesione dell'integrità psicofisica. Qualora dal contagio ne derivi la morte, gli eredi possono scegliere tra l'assegno periodico suddetto ed una somma "una tantum", all'epoca di £ire 150.000.000. L'indennizzo si compone quindi di due quote, di cui l'ultima integra la prima che costituisce l'indennizzo in senso stretto. Tale indennizzo ha natura assistenziale e solidaristica in ossequio agli artt. 2, 32 e 38 della Costituzione. Secondo la Cassazione non ha quindi natura risarcitoria ed è cumulabile con una richiesta risarcitoria avanzata nei confronti del Ministero, soltanto che l'eventuale somma già percepita a titolo di indennizzo dovrà essere scomputata da quella attribuita a titolo di risarcimento, "poiché altrimenti si determinerebbe un ingiustificato arricchimento del soggetto danneggiato a discapito del Ministero della Salute che non può essere tenuto a due diverse prestazioni patrimoniali in relazione al medesimo evento lesivo". Nessun ostacolo invece per il risarcimento richiesto nei confronti della struttura sanitaria o del personale medico sanitario che sarà cumulabile. Le domande risarcitorie sono aumentate notevolmente nell'ultimo ventennio, ma non hanno trovato ancora equa e piena soddisfazione a causa dell'inadempimento del Ministero che ha disatteso più volte le sentenze di condanna a lui inflitte, circostanza che ha generato un ampio ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo. Il nostro Stato è stato condannato più volte dalla Corte di Strasburgo a risarcire i danneggiati dalle infezioni contratte da trasfusioni. Per questo motivo il Ministero ha avviato dal 2014 procedure transattive per definire le controversie pendenti e per assicurare a tutti i danneggiati un equo risarcimento.
Roberto Felice Coppola - avvocato (civile-tributario)
Fatta tale doverosa premessa, dopo aver affrontato nella prima parte l'argomento delle infezioni ospedaliere, in questa seconda parte tratterò delle infezioni da trasfusione ed emoderivati infetti, premettendo che l'argomento ha originato una giurisprudenza durata circa un ventennio. Per danno da vaccinazione ed emoderivati infetti si intende il danno alla persona causato dal contagio di virus come l'HIV (Aids), o l'HCV (Epatite C), o l'HBV (Epatite B) a seguito di emotrasfusioni o vaccinazioni infette. Si tratta di patologie che hanno un lungo periodo di incubazione e i cui sintomi si manifestano a distanza di tempo, anche di molti anni, dal contagio e per tale motivo si parla di "danno lungolatente". Per lungo tempo la responsabilità medico sanitaria non è stata regolamentata da norme specifiche, anche per la mancanza di adeguate conoscenze scientifiche che potessero accertare con sufficiente certezza il nesso causale tra la malattia e la vaccinazione o trasfusione. Tuttavia sin dalla fine degli anni sessanta il Ministero della Salute era a conoscenza del rischio di contagio derivante da emotrasfusioni, ma pur adottando provvedimenti normativi per evitare le conseguenze di trasfusioni ed uso di emoderivati infetti, non provvide ad esercitare la vigilanza e il controllo sulle case farmaceutiche e su altri soggetti che operavano la commercializzazione e distribuzione, pur avendo una competenza esclusiva in materia.
Col progresso della scienza medica la giurisprudenza ha riconosciuto l'insorgenza di patologie derivanti dalle infezioni dei virus suddetti, a causa di emotrasfusioni e vaccinazioni infette, come un unico evento lesivo dell'integrità psicofisica della persona, stabilendo una "presunzione di responsabilità" del Ministero della Salute per tutte le dette infezioni dal 1979 al 1989, stante la scoperta scientifica della prevedibilità delle infezioni solo dal 1978 e poichè solo con il D.M. 21/07/1990 lo stesso impose l'obbligo di effettuare lo screening sul sangue prelevato al fine della ricerca indiretta degli anticorpi; ma è solo con la Legge 25/02/1992 n. 210 (indennizzo ai soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati) che si è giunti al riconoscimento di un indennizzo per le persone contagiate. Trattandosi di danno lungolatente, oltre che per la sua stessa natura in cui i sintomi della malattia possono manifestarsi a distanza di anni, in presenza di soggetti che per diverse patologie hanno necessità di procedere periodicamente ad emotrasfusioni, anche in diverse strutture sanitarie, sarà estremamente difficile, se non impossibile, individuare l'evento lesivo (il contagio a seguito di una specifica trasfusione) e la struttura che hanno causato il danno alla persona e il dato temporale (il giorno o il periodo di tempo) in cui il contagio si è verificato. Cosa diversa invece qualora la trasfusione sia somministrata in occasione di singole necessità, come per esempio un infortunio o un'operazione chirurgica. Le conseguenze giuridiche nelle due fattispecie sono notevolmente diverse.
Nel primo caso il danneggiato, per ottenere un risarcimento, non potrà che rivolgersi nei confronti del Ministero della Salute, responsabile come detto del dovere di direttiva, vigilanza e controllo di tutti i prodotti emoderivati prima della loro raccolta, distribuzione e utilizzo. Non sembra invece che un dovere di direttiva, vigilanza e controllo sussista in capo alle Regioni e alle ASL. La responsabilità del Ministero è dunque "omissiva" e viene classificata come "colposa" dall'art. 43 codice penale, mentre per il codice civile è di natura "extracontrattuale" e trova il suo fondamento nell'art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito) e nel principio generale del neminem laedere (non recare danno ad alcuno) che impone il risarcimento a chi ha prodotto un danno ingiusto ad altri. Nel secondo caso, invece, il soggetto danneggiato sarà più propenso a chiamare in causa la struttura sanitaria e/o il personale medico sanitario ritenuto responsabile e facilmente individuabile, in virtù di una responsabilità di tipo "contrattuale da contatto sociale qualificato" che grava sulla struttura e il personale medico sanitario ivi operante.
Nelle due diverse casistiche ha rilievo, in particolare, il termine di prescrizione che, nel caso della responsabilità del Ministero, attribuibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., è di cinque anni (art. 2947 c.c.), mentre per la responsabilità contrattuale della struttura e/o del personale medico sanitario, il termine è quello ordinario di dieci anni (art. 2946 c.c.). Ma quale è il "dies a quo" (il giorno dal quale) inizia a decorrere la prescrizione? Secondo l'art. 2935 c.c. è "il giorno in cui il diritto può essere fatto valere". La Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul punto finendo per stabilire che il dies a quo non è quello del verificarsi dell'evento lesivo (contagio), né quello della percezione oggettiva e soggettiva del danno (verificarsi della malattia), bensi' il momento in cui il danneggiato, usando l'ordinaria diligenza, acquisisce o può acquisire la piena consapevolezza dell'evento lesivo e della sua ingiustizia e quindi del danno subito o a subirsi. Sarà da tale giorno che il diritto potrà farsi valere e pertanto inizierà a decorrere la prescrizione.
Altro tipo di responsabilità è poi quella delle case farmaceutiche per i vaccini o emoderivati da loro prodotti o distribuiti. Tali attività vengono considerate dall'ordinamento come "pericolose"e pertanto ne consegue una responsabilità che viene disciplinata dall'art. 2050 c.c. (responsabilità per l'esercizio di attività pericolose). In caso di infezione o altro danno all'integrità psicofisica della persona derivante da vaccino o emoderivati, secondo la norma, sussiste una presunzione di responsabilità per il danno prodotto che obbliga al risarcimento "se non si prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno". La casa farmaceutica dovrà fornire una prova positiva e rigorosa per evitare la responsabilità. Per la Cassazione infatti: "non basta dare la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre fornire quella positiva, di aver impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l'evento dannoso".
Tornando alla legge n. 210/1992, la stessa prevede l'erogazione di un indennizzo a carico dello Stato consistente in un assegno reversibile per 15 anni, determinato nella misura indicata dalla tabella B allegata alla Legge 29/04/1976 n. 177, rivalutato ogni anno in ragione del tasso di inflazione programmato, nonché di una somma a titolo di indennità integrativa speciale prevista dalla Legge 27/05/1959 n. 324, per coloro che, a seguito della trasfusione o vaccinazione, abbiano subito una lesione dell'integrità psicofisica. Qualora dal contagio ne derivi la morte, gli eredi possono scegliere tra l'assegno periodico suddetto ed una somma "una tantum", all'epoca di £ire 150.000.000. L'indennizzo si compone quindi di due quote, di cui l'ultima integra la prima che costituisce l'indennizzo in senso stretto. Tale indennizzo ha natura assistenziale e solidaristica in ossequio agli artt. 2, 32 e 38 della Costituzione. Secondo la Cassazione non ha quindi natura risarcitoria ed è cumulabile con una richiesta risarcitoria avanzata nei confronti del Ministero, soltanto che l'eventuale somma già percepita a titolo di indennizzo dovrà essere scomputata da quella attribuita a titolo di risarcimento, "poiché altrimenti si determinerebbe un ingiustificato arricchimento del soggetto danneggiato a discapito del Ministero della Salute che non può essere tenuto a due diverse prestazioni patrimoniali in relazione al medesimo evento lesivo". Nessun ostacolo invece per il risarcimento richiesto nei confronti della struttura sanitaria o del personale medico sanitario che sarà cumulabile. Le domande risarcitorie sono aumentate notevolmente nell'ultimo ventennio, ma non hanno trovato ancora equa e piena soddisfazione a causa dell'inadempimento del Ministero che ha disatteso più volte le sentenze di condanna a lui inflitte, circostanza che ha generato un ampio ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo. Il nostro Stato è stato condannato più volte dalla Corte di Strasburgo a risarcire i danneggiati dalle infezioni contratte da trasfusioni. Per questo motivo il Ministero ha avviato dal 2014 procedure transattive per definire le controversie pendenti e per assicurare a tutti i danneggiati un equo risarcimento.
Roberto Felice Coppola - avvocato (civile-tributario)