DIRITTO & DIRITTI con l'Avvocato Coppola
Le infezioni: il diritto per difendersi
Le modalità del risarcimento del danno
venerdì 6 marzo 2020
22.06
E' alla ribalta l'infezione diffusa dal famigerato coronavirus e il suo pernicioso contagio. Sappiamo ormai tutto sulle cautele da adottare per evitarlo nella speranza che l'infezione non si diffonda in maniera devastante come in Cina, ma in pochi, solo gli operatori del settore e i giuristi, conoscono i diritti del cittadino in caso contragga un'infezione a causa di deficienze e negligenze delle strutture sanitarie e del personale medico e infermieristico preposto. In questa prima parte parlerò delle infezioni ospedaliere, tecnicamente dette "nosocomiali o infezioni correlate all'assistenza (i.c.a.)", per poi, nella seconda parte, trattare delle infezioni da emoderivati e da Hiv. Le i.c.a. vengono contratte dal paziente durante la sua degenza nella struttura sanitaria, sia pubblica che privata, e possono dipendere da vari fattori di contaminazione, ma che hanno tutte una matrice comune: la prolungata presenza del paziente in un ambiente chiuso non sterile, generalmente in precarie condizioni di salute. Per definizione sono quelle infezioni che non sono presenti nel paziente prima del suo ingresso nella struttura sanitaria e che comportano l'insorgenza dei primi sintomi di infezione successivamente al terzo giorno di permanenza nella struttura, per distinguerle da quelle già presenti nella persona nei due giorni precedenti e nei due giorni successivi al ricovero. Solo nel primo caso si tratterà di i.c.a. che danno diritto al risarcimento danni per malasanità.
Il fenomeno ha assunto particolare importanza a causa dell'elevato numero di casi non solo in Italia ma in tutto il continente europeo e si è aggravato a seguito della resistenza degli agenti patogeni agli antibiotici, frutto di un loro uso non appropriato. Esse rappresentano pertanto quelle maggiormente diffuse e importanti per il sistema sanitario anche in termini di importo di spesa. E'di basilare importanza, per contrastare il fenomeno, l'igiene e la disinfezione degli ambienti e della strumentazione medico-sanitaria, ma non sempre sufficiente, poiché è dimostrata la contaminazione del soggetto ricoverato attraverso i contatti con il personale sanitario o con soggetti provenienti dall'esterno della struttura (si pensi alle visite dei parenti o di altri soggetti), i contatti tra gli stessi pazienti, gli impianti di areazione e condizionamento. Una incidenza a sé hanno poi le infezioni c. d. del "sito chirurgico", cioè quelle postoperatorie che si verificano in genere dopo 48 ore dall'intervento ed entro 30 giorni e fino ad un anno in caso di impianto permanente di dispositivo medico (protesi, pacemaker, ecc); è stato calcolato che esse rappresentano 1/4 di tutte le infezioni in ambito ospedaliero con un notevole tasso di morbosità e mortalità, rappresentando una delle principali fonti di responsabilità medica.
E' ormai certo che le infezioni da i.c.a. sono prevenibili solo in parte, non essendo possibile ridurre a zero il rischio di infezioni all'interno della struttura pur adottando tutte le cautele del caso. Inoltre, le dette infezioni, possono manifestarsi a distanza di giorni o mesi, dopo le dimissioni del paziente per effetto del periodo di incubazione e dei tempi in cui si manifestano i primi sintomi e delle condizioni del singolo soggetto.
Il Ministero della Salute ha emanato in materia la circolare n. 52 del 1985 istitutiva del C.I.O. (Comitato Infezioni Ospedaliere) quale "organismo multidisciplinare responsabile dei programmi e delle strategie di lotta contro le infezioni ospedaliere" e, recentemente, è stata emanata la Legge 8/03/2017 n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco) che, tra l'altro, si occupa della responsabilità medica nei casi di i.c.a. Partendo dal presupposto che è estremamente difficile, se non impossibile, individuare con precisione i singoli operatori sanitari ai quali imputare la responsabilità relativa, la legge e la giurisprudenza riconoscono la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ai sensi degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1228 (responsabilità per fatto degli ausiliari) cod. civ. nei cui confronti potrà essere rivolta la richiesta di risarcimento danni, con una responsabilità solo residuale del personale medico – infermieristico. La responsabilità della struttura nasce dalla mancata osservanza delle linee guida, delle procedure operative di prevenzione, sia interne che regolate dalle disposizioni di legge e infine delle buone pratiche clinico-assistenziali (art. 5 Legge n. 24/2017). In presenza di tale corpus regolamentare sarà estremamente difficile per la struttura sanitaria in cui si è prodotta un'infezione dimostrare il rispetto di tutte le procedure di prevenzione volte ad evitare il rischio di contagio e la relativa responsabilità medica. Infatti la giurisprudenza è concorde nel riconoscere la detta responsabilità contrattuale, che comporta l'inversione dell'onere della prova nel senso che l'onere probatorio non cade in capo al paziente secondo i criteri generali, per i quali chi lamenta un danno deve dare la dimostrazione del nesso causale (c.d. eziologico) tra l'evento dannoso e la condotta che lo ha causato (colposa o dolosa), bensi' in capo alla struttura che, per evitare la condanna, dovrà fornire la prova, anche per testimoni, di aver adottato tutte le cautele previste dalle linee guida e dalla normativa, per finire alle buone pratiche clinico-assistenziali, con un termine ordinario di prescrizione di dieci anni del diritto al risarcimento (art. 2946 cod.civ.). Viceversa, qualora sia identificabile, il professionista sanitario dipendente o no della struttura nella quale ha prestato la propria attività professionale, anche intramoenia, risponderà solidalmente con la struttura, con le modifiche introdotte dalla legge n. 24/2017, di responsabilità medica extracontrattuale secondo il principio generale dell'art. 2043 cod.civ. (risarcimento del danno da fatto illecito) che, diversamente da quella contrattuale della struttura, comporta che l'onere della prova ricadrà sul paziente secondo i principi generali, con un termine di prescrizione ridotto a cinque anni (art. 2947 cod. civ.); termine di prescrizione che, in ogni caso, decorre non dal tempo in cui è sorta l'infezione, ma dal momento in cui il paziente ha contezza con l'ordinaria diligenza del danno ricevuto.
Il risarcimento del danno avviene secondo le tabelle uniche nazionali previste dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private di cui al D.Lgs. n. 209 del 2005 (art. 7 della L. n. 24/2017); il Giudice nel determinare il danno tiene conto della condotta del professionista sanitario e del nuovo art. 590 sexies del cod. pen. (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) introdotto dalla detta L. n. 24/2017.
L'art. 8 della L. n. 24/2017 (Tentativo obbligatorio di conciliazione) prevede che chi intende esercitare un'azione civile per il risarcimento del danno per responsabilità medico-sanitaria è tenuto a proporre preliminarmente il ricorso previsto dall'art. 696 bis c.p.c. (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) dinanzi al Giudice competente. In alternativa si potrà esperire il procedimento di mediazione di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010. Entrambi i procedimenti sono condizione di procedibilità della domanda giudiziale (nel senso che non si può agire in giudizio senza prima esperire i procedimenti suddetti,anche se aventi esito negativo).
L'art. 9 della detta Legge prevede il diritto di rivalsa della struttura sanitaria, in caso di risarcimento del danno, entro un anno dal pagamento a pena di decadenza, nei confronti del professionista sanitario, ma solo in caso di suo dolo o colpa grave.
Infine l'art. 10 della L. n. 24/2017 prevede l'obbligo per le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d'opera, anche per danni cagionati dal personale operante a qualunque titolo presso le strutture.
Quanto detto potrà applicarsi a qualsiasi tipo di infezione contratta nella struttura sanitaria e quindi anche all'infezione da coronavirus. Non solo, ma qualora si riuscisse a dimostrare, anche per mezzo di testimoni o prova video-fotografica o altro genere di prova processualmente rilevante, di essere stati contagiati da una o più persone, (si pensi ad esempio alla persona che non rispetti il divieto imposto di non entrare/uscire dalla c.d. "zona rossa", o consapevole di essere portatore dei sintomi dell'infezione non si rivolga alle strutture sanitarie per le cure del caso continuando a circolare e intrattenere rapporti interpersonali), si potrà agire per il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2043 c.c. sopra citato e del principio generale del neminem laedere (non arrecare danno ad alcuno) e del danno ingiusto da questi posto e presentare querela ai sensi dell'art. 582 cod. pen. (lesioni personali) nei suoi/loro confronti per la condotta illecita.
- Parte prima -
Roberto Felice Coppola - Avvocato (civile-tributario)
Il fenomeno ha assunto particolare importanza a causa dell'elevato numero di casi non solo in Italia ma in tutto il continente europeo e si è aggravato a seguito della resistenza degli agenti patogeni agli antibiotici, frutto di un loro uso non appropriato. Esse rappresentano pertanto quelle maggiormente diffuse e importanti per il sistema sanitario anche in termini di importo di spesa. E'di basilare importanza, per contrastare il fenomeno, l'igiene e la disinfezione degli ambienti e della strumentazione medico-sanitaria, ma non sempre sufficiente, poiché è dimostrata la contaminazione del soggetto ricoverato attraverso i contatti con il personale sanitario o con soggetti provenienti dall'esterno della struttura (si pensi alle visite dei parenti o di altri soggetti), i contatti tra gli stessi pazienti, gli impianti di areazione e condizionamento. Una incidenza a sé hanno poi le infezioni c. d. del "sito chirurgico", cioè quelle postoperatorie che si verificano in genere dopo 48 ore dall'intervento ed entro 30 giorni e fino ad un anno in caso di impianto permanente di dispositivo medico (protesi, pacemaker, ecc); è stato calcolato che esse rappresentano 1/4 di tutte le infezioni in ambito ospedaliero con un notevole tasso di morbosità e mortalità, rappresentando una delle principali fonti di responsabilità medica.
E' ormai certo che le infezioni da i.c.a. sono prevenibili solo in parte, non essendo possibile ridurre a zero il rischio di infezioni all'interno della struttura pur adottando tutte le cautele del caso. Inoltre, le dette infezioni, possono manifestarsi a distanza di giorni o mesi, dopo le dimissioni del paziente per effetto del periodo di incubazione e dei tempi in cui si manifestano i primi sintomi e delle condizioni del singolo soggetto.
Il Ministero della Salute ha emanato in materia la circolare n. 52 del 1985 istitutiva del C.I.O. (Comitato Infezioni Ospedaliere) quale "organismo multidisciplinare responsabile dei programmi e delle strategie di lotta contro le infezioni ospedaliere" e, recentemente, è stata emanata la Legge 8/03/2017 n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco) che, tra l'altro, si occupa della responsabilità medica nei casi di i.c.a. Partendo dal presupposto che è estremamente difficile, se non impossibile, individuare con precisione i singoli operatori sanitari ai quali imputare la responsabilità relativa, la legge e la giurisprudenza riconoscono la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ai sensi degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1228 (responsabilità per fatto degli ausiliari) cod. civ. nei cui confronti potrà essere rivolta la richiesta di risarcimento danni, con una responsabilità solo residuale del personale medico – infermieristico. La responsabilità della struttura nasce dalla mancata osservanza delle linee guida, delle procedure operative di prevenzione, sia interne che regolate dalle disposizioni di legge e infine delle buone pratiche clinico-assistenziali (art. 5 Legge n. 24/2017). In presenza di tale corpus regolamentare sarà estremamente difficile per la struttura sanitaria in cui si è prodotta un'infezione dimostrare il rispetto di tutte le procedure di prevenzione volte ad evitare il rischio di contagio e la relativa responsabilità medica. Infatti la giurisprudenza è concorde nel riconoscere la detta responsabilità contrattuale, che comporta l'inversione dell'onere della prova nel senso che l'onere probatorio non cade in capo al paziente secondo i criteri generali, per i quali chi lamenta un danno deve dare la dimostrazione del nesso causale (c.d. eziologico) tra l'evento dannoso e la condotta che lo ha causato (colposa o dolosa), bensi' in capo alla struttura che, per evitare la condanna, dovrà fornire la prova, anche per testimoni, di aver adottato tutte le cautele previste dalle linee guida e dalla normativa, per finire alle buone pratiche clinico-assistenziali, con un termine ordinario di prescrizione di dieci anni del diritto al risarcimento (art. 2946 cod.civ.). Viceversa, qualora sia identificabile, il professionista sanitario dipendente o no della struttura nella quale ha prestato la propria attività professionale, anche intramoenia, risponderà solidalmente con la struttura, con le modifiche introdotte dalla legge n. 24/2017, di responsabilità medica extracontrattuale secondo il principio generale dell'art. 2043 cod.civ. (risarcimento del danno da fatto illecito) che, diversamente da quella contrattuale della struttura, comporta che l'onere della prova ricadrà sul paziente secondo i principi generali, con un termine di prescrizione ridotto a cinque anni (art. 2947 cod. civ.); termine di prescrizione che, in ogni caso, decorre non dal tempo in cui è sorta l'infezione, ma dal momento in cui il paziente ha contezza con l'ordinaria diligenza del danno ricevuto.
Il risarcimento del danno avviene secondo le tabelle uniche nazionali previste dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private di cui al D.Lgs. n. 209 del 2005 (art. 7 della L. n. 24/2017); il Giudice nel determinare il danno tiene conto della condotta del professionista sanitario e del nuovo art. 590 sexies del cod. pen. (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) introdotto dalla detta L. n. 24/2017.
L'art. 8 della L. n. 24/2017 (Tentativo obbligatorio di conciliazione) prevede che chi intende esercitare un'azione civile per il risarcimento del danno per responsabilità medico-sanitaria è tenuto a proporre preliminarmente il ricorso previsto dall'art. 696 bis c.p.c. (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) dinanzi al Giudice competente. In alternativa si potrà esperire il procedimento di mediazione di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010. Entrambi i procedimenti sono condizione di procedibilità della domanda giudiziale (nel senso che non si può agire in giudizio senza prima esperire i procedimenti suddetti,anche se aventi esito negativo).
L'art. 9 della detta Legge prevede il diritto di rivalsa della struttura sanitaria, in caso di risarcimento del danno, entro un anno dal pagamento a pena di decadenza, nei confronti del professionista sanitario, ma solo in caso di suo dolo o colpa grave.
Infine l'art. 10 della L. n. 24/2017 prevede l'obbligo per le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d'opera, anche per danni cagionati dal personale operante a qualunque titolo presso le strutture.
Quanto detto potrà applicarsi a qualsiasi tipo di infezione contratta nella struttura sanitaria e quindi anche all'infezione da coronavirus. Non solo, ma qualora si riuscisse a dimostrare, anche per mezzo di testimoni o prova video-fotografica o altro genere di prova processualmente rilevante, di essere stati contagiati da una o più persone, (si pensi ad esempio alla persona che non rispetti il divieto imposto di non entrare/uscire dalla c.d. "zona rossa", o consapevole di essere portatore dei sintomi dell'infezione non si rivolga alle strutture sanitarie per le cure del caso continuando a circolare e intrattenere rapporti interpersonali), si potrà agire per il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2043 c.c. sopra citato e del principio generale del neminem laedere (non arrecare danno ad alcuno) e del danno ingiusto da questi posto e presentare querela ai sensi dell'art. 582 cod. pen. (lesioni personali) nei suoi/loro confronti per la condotta illecita.
- Parte prima -
Roberto Felice Coppola - Avvocato (civile-tributario)