Storia e dintorni
Il debito pubblico italiano, fardello antico !
Tra nuove tasse, Vecchia corruzione e i rischi alla sovranità nazionale
mercoledì 28 marzo 2012
17.19
[…] "Herr Doktor R. mi informava, in poche parole, che gli italiani stavano per dichiarare bancarotta, sommersi da una valanga di debiti, ammenochè qualcuno non li tirasse fuori, ancora una volta, con altri miliardi di dollari. La Germania – cioè le banche tedesche – avevan già tre volte effettuato tale salvataggio, per solidarietà europeistica. Ma non potevano intervenire una quarta volta. L'Italia stava andando in fallimento[…].
[…] poi, l'uno dopo l'altro, quei banchieri furbacchioni cominciarono a porsi la stessa semplicissima domanda: "Come faranno gli italiani a pagare tutti questi debiti?" […]
[…] Sull'Italia mi ero fatto una mia personale metafora. Si pensi a un uomo legato a una ruota idraulica. Gira e gira, a un certo punto finisce sott'acqua. Niente paura. Basta trattenere il fiato per un po', e rieccolo salire, su, su , in alto. Fino alla prossima immersione. Così l'economia italiana, dal dopoguerra in avanti. Una vertiginosa illusione di ricchezza, poi, pluf, a capofitto. Quindi, ancora una volta, bastava far guadagnare all'Italia del tempo" […]
Queste frasi sono tratte dal libro di "fantafinanza" e "fantageopolitica", Il Crack del '79 (Rizzoli) scritto nel 1976 dal banchiere americano Paul Erdman.
La trama: un banchiere americano viene chiamato dal Governo dell'Arabia Saudita per far fruttare al meglio i petrodollari in una situazione di grave crisi dell'economia mondiale: così obbliga le banche che hanno i depositi bancari sauditi ad aumentare i tassi d'interesse se vogliono che i sauditi continuino ad investire; l'Italia è in crisi drammatica per il debito pubblico; per salvare l'Italia dal fallimento i sauditi presteranno dollari all'Italia a condizione che l'Italia venda loro parte dell'ENI.
In questo contesto di crisi finanziaria, l'Iran, guidato dalla Scià di Persia, decide di costruire la bomba atomica. Poco tempo dopo, l'Iraq dichiara guerra all'Iran per il controllo del fiume Shatt Al Arab.
Tipo particolare Paul Erdman (1932 – 2007): americano nato in Canada, dottorato di economia a Basilea, fondatore e presidente di una banca in Svizzera, poi incriminato per frode e finito in prigione sempre in Svizzera, successivamente scrittore di successo di finanza negli Stati Uniti, secondo il ritratto che ne fa il Guardian (http://www.guardian.co.uk/news/2007/jun/08/guardianobituaries.booksobituaries).
Un uomo con una profondissima conoscenza dei meccanismi finanziari che regolano il mondo della finanza internazionale e della geopolitica: una capacità di analisi dei meccanismi della grande finanza internazionale e del loro modo di condizionare la politica interna degli Stati.
A leggere il libro più che un banchiere sembra ragionare come un analista di intelligence: non a caso nel libro, con straordinaria preveggenza, si prevede la Guerra Iran – Iraq del 1980 con un margine di errore di pochi mesi e una strategia di attacco delle forze armate irachene sullo Shatt El Arab molto simile a quella poi effettivamente attuata.
Ci sono due spunti di riflessione molto interessanti per noi italiani che emergono dalla lettura di questo libro: l'atavico problema del debito pubblico e la conseguente debolezza che ne deriva sul piano politico ed economico a livello mondiale, con i conseguenti rischi per la sicurezza del sistema paese Italia e della propria sovranità nazionale.
Il debito pubblico e la corruzione endemica del sistema politico italiano
Quando nel novembre dello scorso anno Berlusconi si è dimesso e Monti è diventato Premier, gli italiani hanno scoperto il concetto di debito pubblico: che lo Stato, proprio come un normale cittadino o azienda, poteva non essere in grado di onorare i propri debiti: si stava correndo il grave rischio che non ci fossero più soldi per pagare stipendi e pensioni: le casse erano vuote.
Quando si è dimesso, Berlusconi ha detto che non aveva potuto fare molto di più perché purtroppo c'era il debito pubblico che altri gli avevano lasciato in eredità. Vero; però lui ha governato l'Italia per otto anni e mezzo dal 2001 al 2011 e durante il suo governo non ha mai parlato agli italiani del problema del debito pubblico perché non gli portava consenso, non gli portava voti e lo avrebbe costretto ad usare una parola bandita dal suo vocabolario: "sacrifici"; il debito pubblico però c'era e il problema andava affrontato; non averlo fatto, aver nascosto sotto il tappeto il problema per meri motivi elettorali si è rivelato deleterio per il sistema Paese Italia.
Per questo il governo Monti è stato costretto a fare una cura da cavallo: cura che adesso, nei prossimi giorni pagheremo molto cara sulla nostra pelle.
Il problema del debito pubblico italiano non è però un problema di oggi. Il problema del debito pubblico italiano è un male antico del nostro Paese. Lo era negli anni '70, negli anni della crisi economica, lo è stato nel 1992 quando l'Italia ha rischiato il collasso: fu in quell'anno che Giuliano Amato fece un'altra manovra dissanguante sino al prelievo del 6 per mille forzato sui conti correnti.
E oggi, ancora, il debito pubblico assorbe e prosciuga ingenti risorse da parte delle finanze dello Stato solo per ripagare gli interessi sul debito.
Ci sono molti motivi che hanno portato nel corso degli anni a questo debito monstre, il 120% del PIL: sicuramente un welfare generoso, un'alta evasione fiscale, ma a mio modesto parere il più grave di tutti è stato l'immane corruzione di gran parte della classe politica italiana e quindi - va necessariamente detto - della incapacità degli italiani di ribellarsi a questo andazzo.
Faccio un esempio: supponiamo che un ponte o un tratto di strada costino 10 milioni di Euro; per motivi che possiamo immaginare i costi in Italia lievitano fino a 15 – 20 milioni di Euro; può darsi che questo avvenga anche in altri paesi ma negli altri paesi alla fine il ponte o la strada si fanno nei tempi previsti; questo genera comunque un vantaggio e un benessere economico alla collettività; in Italia invece molte volte è accaduto che i soldi siano stati finanziati ma poi né il ponte né la strada siano stati realizzati. Questo è devastante per la collettività perché sono soldi pubblici che vengono sostanzialmente buttati, rubati a favore di pochi furbi, senza alcun vantaggio per la collettività, incapaci di generare crescita economica e quindi, allargando il debito pubblico dello Stato, distruggono le strutture statali dall'interno come i tarli del legno.
Non si può però demandare solo alla magistratura o alla forze dell'ordine il controllo della legalità se il cittadino italiano non riesce a reagire a queste vergogne: più che il controllo legale è il controllo sociale che decide del comportamento pubblico degli amministratori.
Il debito pubblico, la crisi economia e la vulnerabilità del sistema Paese
Un paese in fortissima crisi è molto più esposto a livello internazionale di un paese in condizione sane: nel libro di fantafinanza di Erdman ad esempio i sauditi, in contropartita al loro finanziamento per salvare l'Italia chiedono in cambio pezzi dell'ENI.
La globalizzazione espone oggi gli Stati a situazioni di crisi molto rapide; una crisi finanziaria è anche una crisi di solidità dello Stato; se negli anni '70 disponevano di surplus di capitali i paesi arabi ricchi di petrodollari, oggi si sono affacciati sullo scenario geopolitico nuovi paesi con forti surplus di capitali come la Cina e la Russia.
In che modo dal punto di vista geopolitico questi paesi possono influenzare l'evoluzione delle crisi economiche?
Affrontiamo ora un altro un altro punto molto delicato: per la stragrande maggioranza dei normali cittadini, l'Euro è una moneta che si usa per gli scambi di tutti i giorni.
Ma a livello più alto l'Euro è una questione di altissima e delicatissima geopolitica: l'Euro era nelle intenzioni dei padri fondatori Kohl e Mitterand il primo passo concreto verso l'Europa Unita, cioè un'Europa forte nello scenario globale.
Se si attacca l'Euro si attacca contemporaneamente una moneta ma anche un progetto politico sullo scenario internazionale di geopolitica: è possibile, boicottando l'Euro, distruggere il progetto politico dell'Europa Unita? Chi può avere interesse a che l'Euro crolli portando con sé le rovine del progetto di costruzione europea?
Quali forze, differenti ma convergenti, potrebbero avere interesse alla fine della costruzione europea?
Fino a quando l'Euro era forte, la speculazione finanziaria è rimasta sulle sue per paura di bruciarsi; quando l'Euro ha mostrato crepe prima in Grecia e poi soprattutto Italia la speculazione è partita all'attacco; ma oltre agli speculatori classici del sistema finanziario, siamo sicuri che queste brecce non siano state abilmente usate da chi aveva un interesse geopolitico a colpire l'Euro?
Che le questioni economiche finanziarie siano questioni di intelligence lo dimostra anche la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza del 2011, cioè la relazione che i Servizi di Intelligence, per il tramite del Governo, fanno al Parlamento Italiano (http://www.sicurezzanazionale.gov.it/web.nsf/pagine/relazione_al_parlamento).
Non è un caso che un capitolo sia intitolato: La crisi economica e la vulnerabilità del sistema Paese; ne segue un'analisi di intelligence sugli effetti della crisi sul sistema Italia, sullo spionaggio industriale, su come la crisi incida sulla presenza straniera in settori strategici come la sicurezza energetica e le fonti di approvvigionamento.
E' solo negli ultimi anni che i nostri servizi di Intelligence hanno dedicato una sempre più crescente attenzione all'intelligence economica; gli altri stati (USA, Gran Bretagna, Francia, Cina) li hanno da sempre perseguiti (la grandissima tradizione dei servizi segreti britannici è dovuta proprio al fatto di essere stato un impero commerciale, e perciò l'intelligence economica costituiva una base essenziale dei propri Servizi; non a caso la Repubblica di Venezia, realtà marinara e commerciale aveva uno dei più raffinati sistema di intelligence del '500).
Come si vede, ci sono molti motivi per i quali il problema del debito pubblico deve essere combattuto; ma è necessario che oltre alla politica alta, anche la sensibilità dei cittadini e degli elettori sia più elevata; che si richieda un'etica politica superiore perché il benessere di pochi "dritti" significa un carico pesante sulle spalle dei "diritti" degli altri cittadini.
L'amministrazione del bene pubblico rappresenta una grande responsabilità, per chi amministra ma anche per chi è amministrato; lo è a livello politico nazionale, lo è a livello politico locale.
Francesco Morra
[…] poi, l'uno dopo l'altro, quei banchieri furbacchioni cominciarono a porsi la stessa semplicissima domanda: "Come faranno gli italiani a pagare tutti questi debiti?" […]
[…] Sull'Italia mi ero fatto una mia personale metafora. Si pensi a un uomo legato a una ruota idraulica. Gira e gira, a un certo punto finisce sott'acqua. Niente paura. Basta trattenere il fiato per un po', e rieccolo salire, su, su , in alto. Fino alla prossima immersione. Così l'economia italiana, dal dopoguerra in avanti. Una vertiginosa illusione di ricchezza, poi, pluf, a capofitto. Quindi, ancora una volta, bastava far guadagnare all'Italia del tempo" […]
Queste frasi sono tratte dal libro di "fantafinanza" e "fantageopolitica", Il Crack del '79 (Rizzoli) scritto nel 1976 dal banchiere americano Paul Erdman.
La trama: un banchiere americano viene chiamato dal Governo dell'Arabia Saudita per far fruttare al meglio i petrodollari in una situazione di grave crisi dell'economia mondiale: così obbliga le banche che hanno i depositi bancari sauditi ad aumentare i tassi d'interesse se vogliono che i sauditi continuino ad investire; l'Italia è in crisi drammatica per il debito pubblico; per salvare l'Italia dal fallimento i sauditi presteranno dollari all'Italia a condizione che l'Italia venda loro parte dell'ENI.
In questo contesto di crisi finanziaria, l'Iran, guidato dalla Scià di Persia, decide di costruire la bomba atomica. Poco tempo dopo, l'Iraq dichiara guerra all'Iran per il controllo del fiume Shatt Al Arab.
Tipo particolare Paul Erdman (1932 – 2007): americano nato in Canada, dottorato di economia a Basilea, fondatore e presidente di una banca in Svizzera, poi incriminato per frode e finito in prigione sempre in Svizzera, successivamente scrittore di successo di finanza negli Stati Uniti, secondo il ritratto che ne fa il Guardian (http://www.guardian.co.uk/news/2007/jun/08/guardianobituaries.booksobituaries).
Un uomo con una profondissima conoscenza dei meccanismi finanziari che regolano il mondo della finanza internazionale e della geopolitica: una capacità di analisi dei meccanismi della grande finanza internazionale e del loro modo di condizionare la politica interna degli Stati.
A leggere il libro più che un banchiere sembra ragionare come un analista di intelligence: non a caso nel libro, con straordinaria preveggenza, si prevede la Guerra Iran – Iraq del 1980 con un margine di errore di pochi mesi e una strategia di attacco delle forze armate irachene sullo Shatt El Arab molto simile a quella poi effettivamente attuata.
Ci sono due spunti di riflessione molto interessanti per noi italiani che emergono dalla lettura di questo libro: l'atavico problema del debito pubblico e la conseguente debolezza che ne deriva sul piano politico ed economico a livello mondiale, con i conseguenti rischi per la sicurezza del sistema paese Italia e della propria sovranità nazionale.
Il debito pubblico e la corruzione endemica del sistema politico italiano
Quando nel novembre dello scorso anno Berlusconi si è dimesso e Monti è diventato Premier, gli italiani hanno scoperto il concetto di debito pubblico: che lo Stato, proprio come un normale cittadino o azienda, poteva non essere in grado di onorare i propri debiti: si stava correndo il grave rischio che non ci fossero più soldi per pagare stipendi e pensioni: le casse erano vuote.
Quando si è dimesso, Berlusconi ha detto che non aveva potuto fare molto di più perché purtroppo c'era il debito pubblico che altri gli avevano lasciato in eredità. Vero; però lui ha governato l'Italia per otto anni e mezzo dal 2001 al 2011 e durante il suo governo non ha mai parlato agli italiani del problema del debito pubblico perché non gli portava consenso, non gli portava voti e lo avrebbe costretto ad usare una parola bandita dal suo vocabolario: "sacrifici"; il debito pubblico però c'era e il problema andava affrontato; non averlo fatto, aver nascosto sotto il tappeto il problema per meri motivi elettorali si è rivelato deleterio per il sistema Paese Italia.
Per questo il governo Monti è stato costretto a fare una cura da cavallo: cura che adesso, nei prossimi giorni pagheremo molto cara sulla nostra pelle.
Il problema del debito pubblico italiano non è però un problema di oggi. Il problema del debito pubblico italiano è un male antico del nostro Paese. Lo era negli anni '70, negli anni della crisi economica, lo è stato nel 1992 quando l'Italia ha rischiato il collasso: fu in quell'anno che Giuliano Amato fece un'altra manovra dissanguante sino al prelievo del 6 per mille forzato sui conti correnti.
E oggi, ancora, il debito pubblico assorbe e prosciuga ingenti risorse da parte delle finanze dello Stato solo per ripagare gli interessi sul debito.
Ci sono molti motivi che hanno portato nel corso degli anni a questo debito monstre, il 120% del PIL: sicuramente un welfare generoso, un'alta evasione fiscale, ma a mio modesto parere il più grave di tutti è stato l'immane corruzione di gran parte della classe politica italiana e quindi - va necessariamente detto - della incapacità degli italiani di ribellarsi a questo andazzo.
Faccio un esempio: supponiamo che un ponte o un tratto di strada costino 10 milioni di Euro; per motivi che possiamo immaginare i costi in Italia lievitano fino a 15 – 20 milioni di Euro; può darsi che questo avvenga anche in altri paesi ma negli altri paesi alla fine il ponte o la strada si fanno nei tempi previsti; questo genera comunque un vantaggio e un benessere economico alla collettività; in Italia invece molte volte è accaduto che i soldi siano stati finanziati ma poi né il ponte né la strada siano stati realizzati. Questo è devastante per la collettività perché sono soldi pubblici che vengono sostanzialmente buttati, rubati a favore di pochi furbi, senza alcun vantaggio per la collettività, incapaci di generare crescita economica e quindi, allargando il debito pubblico dello Stato, distruggono le strutture statali dall'interno come i tarli del legno.
Non si può però demandare solo alla magistratura o alla forze dell'ordine il controllo della legalità se il cittadino italiano non riesce a reagire a queste vergogne: più che il controllo legale è il controllo sociale che decide del comportamento pubblico degli amministratori.
Il debito pubblico, la crisi economia e la vulnerabilità del sistema Paese
Un paese in fortissima crisi è molto più esposto a livello internazionale di un paese in condizione sane: nel libro di fantafinanza di Erdman ad esempio i sauditi, in contropartita al loro finanziamento per salvare l'Italia chiedono in cambio pezzi dell'ENI.
La globalizzazione espone oggi gli Stati a situazioni di crisi molto rapide; una crisi finanziaria è anche una crisi di solidità dello Stato; se negli anni '70 disponevano di surplus di capitali i paesi arabi ricchi di petrodollari, oggi si sono affacciati sullo scenario geopolitico nuovi paesi con forti surplus di capitali come la Cina e la Russia.
In che modo dal punto di vista geopolitico questi paesi possono influenzare l'evoluzione delle crisi economiche?
Affrontiamo ora un altro un altro punto molto delicato: per la stragrande maggioranza dei normali cittadini, l'Euro è una moneta che si usa per gli scambi di tutti i giorni.
Ma a livello più alto l'Euro è una questione di altissima e delicatissima geopolitica: l'Euro era nelle intenzioni dei padri fondatori Kohl e Mitterand il primo passo concreto verso l'Europa Unita, cioè un'Europa forte nello scenario globale.
Se si attacca l'Euro si attacca contemporaneamente una moneta ma anche un progetto politico sullo scenario internazionale di geopolitica: è possibile, boicottando l'Euro, distruggere il progetto politico dell'Europa Unita? Chi può avere interesse a che l'Euro crolli portando con sé le rovine del progetto di costruzione europea?
Quali forze, differenti ma convergenti, potrebbero avere interesse alla fine della costruzione europea?
Fino a quando l'Euro era forte, la speculazione finanziaria è rimasta sulle sue per paura di bruciarsi; quando l'Euro ha mostrato crepe prima in Grecia e poi soprattutto Italia la speculazione è partita all'attacco; ma oltre agli speculatori classici del sistema finanziario, siamo sicuri che queste brecce non siano state abilmente usate da chi aveva un interesse geopolitico a colpire l'Euro?
Che le questioni economiche finanziarie siano questioni di intelligence lo dimostra anche la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza del 2011, cioè la relazione che i Servizi di Intelligence, per il tramite del Governo, fanno al Parlamento Italiano (http://www.sicurezzanazionale.gov.it/web.nsf/pagine/relazione_al_parlamento).
Non è un caso che un capitolo sia intitolato: La crisi economica e la vulnerabilità del sistema Paese; ne segue un'analisi di intelligence sugli effetti della crisi sul sistema Italia, sullo spionaggio industriale, su come la crisi incida sulla presenza straniera in settori strategici come la sicurezza energetica e le fonti di approvvigionamento.
E' solo negli ultimi anni che i nostri servizi di Intelligence hanno dedicato una sempre più crescente attenzione all'intelligence economica; gli altri stati (USA, Gran Bretagna, Francia, Cina) li hanno da sempre perseguiti (la grandissima tradizione dei servizi segreti britannici è dovuta proprio al fatto di essere stato un impero commerciale, e perciò l'intelligence economica costituiva una base essenziale dei propri Servizi; non a caso la Repubblica di Venezia, realtà marinara e commerciale aveva uno dei più raffinati sistema di intelligence del '500).
Come si vede, ci sono molti motivi per i quali il problema del debito pubblico deve essere combattuto; ma è necessario che oltre alla politica alta, anche la sensibilità dei cittadini e degli elettori sia più elevata; che si richieda un'etica politica superiore perché il benessere di pochi "dritti" significa un carico pesante sulle spalle dei "diritti" degli altri cittadini.
L'amministrazione del bene pubblico rappresenta una grande responsabilità, per chi amministra ma anche per chi è amministrato; lo è a livello politico nazionale, lo è a livello politico locale.
Francesco Morra