Stilus Magistri

Centenario della Grande Guerra , memorie da Canosa di Puglia

Cinque milioni chiamati alle armi, con più di 650.000 morti italiani e tanti invalidi


Non è solo una ricorrenza o un ricordo, ma, a distanza di cento anni, è la comune radice dei popoli europei in pace, la prima grande esperienza collettiva dopo l'Unità d'Italia, come ha detto il Presidente della Repubblica, Napolitano. Cinque milioni chiamati alle armi, con più di 650.000 morti italiani e tanti invalidi.
Partirono dai campi del Sud, unendo i dialetti delle Regioni d'Italia: non era una poesia da recitare in dialetto, ma l'amore della patria dei nostri nonni soldati.
Così scrive Vittorio Schiraldi, raccontando le "Famiglie" di Canosa. "A quell'epoca, due anni prima che scoppiasse la Grande Guerra, il paese aveva poco più di cinquemila abitanti e cinque o sei famiglie proprietari che amministravano la rassegnazione degli altri. Le strade (del "Castello") erano corridoi senza sole, con le pietre levigate dall'acqua che si prendeva dai pozzi".
Si partiva in guerra, "ò scéute a la guérre", e come, mi raccontava mia nonna Rosinella nata nel 1900, in ogni casa un figlio era lontano in guerra, a volte due figli o padre e figlio. A Canosa, scrive Schiraldi, "se gli uomini non riuscivano a trovare coraggio, erano le femmine ad amministrare la paura, mentre il banditore municipale, mastro Ferdinando, ammoniva in dialetto, urlando in cima ad ogni angolo: fémene stàteve attènde, u sàcce ca tenòte despiaciàre de li figghje ca vànne a la guèrre, ma quésse jà la vòte!"

Mio nonno materno Peppino, Giuseppe Mastrapasqua, nato il 1898, raffigurato in un dipinto nell'Ufficio dello Stato Civile del Comune, mi raccontava la Grande Guerra, mostrandomi la cartolina postale che fece scrivere alla fidanzata, "Cara Nella". E lei, la nonnina Rosinella ricevette e nascondeva fra i mobili, la lettera amorosa. Il nonno mi mostrava l'infiammazione cronica ad un occhio, causa dai due anni di guerra, che ho riletto oggi, recuperando il foglio matricolare del soldato "contadino", artigliere di campagna, che alla fine ebbe la "concessa dichiarazione di buona condotta e di un servizio con fedeltà e amore".
Il 5 giugno del 1970, gli fu conferita, come ad altri, l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto: ero accanto a lui, nella Sala Dell'Olio.
Poi nel 2000 ricercai la fonte storica del Monfenera, dove fu vittima a 24 anni il Tenente Medico Francesco Iacobone, nella lapide in corso Gramsci, facendo nascere un progetto educativo con la Scuola ed il Comune di Pederobba, cui siamo legati da un Patto di Amicizia, firmato dal Presidente Napolitano, con un atto del Quirinale curato dal Consigliere, dott. Pasquale Cascella.
Il Comune di Pederobba, custodisce le trincee, come luogo di storia e di sacra memoria, ai piedi del Sacrario militare del Monte Grappa, visitato dai nostri alunni.
Non dimenticate, dopo essere stati per due anni in festa al Quirinale, questo legame di storia, di Guerra, di morte, di Unità d'Italia, di fratellanza, di Pace. Alla loro accoglienza, non abbiamo ancora oggi, inviato il nostro messaggio ed invito, ma quella lapide canosina, diventa maestra di vita, pietra di condivisione, da non eclissare nelle vie diomedee.

Invio personalmente un pensiero, che raccolse i bambini nel 2003 e che oggi porta la Puglia sul Monte Grappa, dove le Croci della Grande Guerra, parlano di eroi, di italiani, di figli di Dio.
L'altra lapide della Grande Guerra evoca un altro eroe canosino, Michele Patruno, morto a Bosco Cappuccio, sull'Isonzo, "l'alma donando ai fati d'Italia". Lo stesso poeta del 900, Ungaretti, nel pieno della guerra, evoca Bosco Cappuccio, nella poesia "c'era una volta".

Alla fine della Grande Guerra, un'altra grande Guerra mondiale, l'epidemia virale della Spagnola, riportata alla memoria dimenticata di Canosa nel progetto della mia persona nel novembre del 1996, annienterà più vittime della stessa Guerra: "Tetùcce, Catalano Nicola, racconta mia nonna Rosinella, non era partito in Guerra, ma a venti anni, morì alla Spagnola, risparmiato alle fosse comuni della "carnèle" , su cui oggi è piantata un Croce, con un fiore e una preghiera.
Nelle mani giunte del cuore e nelle pagine scritte di storia, viviamo questo Centenario della Grande Guerra, dove anche quella Canosa di cinquemila abitanti si fece Italia.
21 Luglio 1914 – 2014, "oggi è un giorno di lutto!", ha detto Papa Francesco. Ricordiamo, studiamo, pensiamo, incontriamo, preghiamo: la Guerra fa soffrire Dio e il Popolo, la Pace fa bene al cuore di Dio e del Popolo.

Fratelli d'Italia

Non aveva ancora diciotto anni
nonno Peppino nei suoi affanni
e già fu chiamato al fronte sul Piave
chiudendo il cuore di casa a chiave.
Non c'era telefonino
per nonno Peppino
e alla sua promessa sposa
scrisse dal Piave a Canosa.
Partì dai campi di Puglia, analfabeta,
aveva la guerra come sua unica meta,
ad un amico dettò di scrivere, "Cara Nella…"
per dire "ti amo" alla sua bella Rosinella.
Tornò dal fronte, perciò sono nato
e fu testimone di ciò che ho studiato.

Quegli elmi di ferro parlavano in dialetto,
per farmi scrivere una poesia in italiano,
mio nonno ritornò dal Piave ai campi ,
ritornò all'aratro, solcando col ferro,
e poi consacrato dalla Croce di ferro,
ritornò contadino col suo cavallo,
poi di Vittorio Veneto, fu Cavaliere.

Ma un altro giovane partì dalla nostra terra
per sacrificare la vita nelle trincee di guerra.
É scritto sulla pietra della casa nativa
dove un tempo la sua voce era viva:
"Tenente medico Francesco Iacobone"
morto in trincea sotto i colpi di cannone.
Soccorreva i feriti in nome della libertà,
sostenendo per l'Italia la nostra Unità.

"Nel fiore degli anni si votò al sacrificio"
erano i solchi tra le pietre, il suo panificio,
era la notte del 19 novembre 1917
e la sua anima volò sulle verdi gelide vette,
il suo sangue bagnò la terra del Monfenera
scrivendo sui libri d'Italia una storia vera.

Grazie! Eroi italiani per noi Caduti,
Grazie! Anche a quelli, a noi Sconosciuti,
i vostri sacrifici non saranno mai perduti.

Oggi rinascono nobili sentimenti
fra i sentieri dei bombardamenti,
fra una scuola del Sud e una del Nord
con la storia d'Italia, mio Amarcord.

Il fango delle trincee intriso di sangue rosso
è diventato nel luogo, terra di "pietra rossa",
è il nome di Pederobba, custode degli ossari,
monumenti poveri di lontani giorni amari.

Terra del Monfenera
che conservi le pietre del bombardamento
accogli dal Sud il mio sentimento,
fra tanti eroi, son cresciuti uliveti e vigneti,
tra i vostri caduti son cresciuti i castagneti.

Terra del Monfenera
che delle bombe conservi nel museo l'eco
porta a Dio le parole del sogno che prego,
il tempo di un conflitto oggi tace
perché crediamo più alla Pace.


Terra del Monfenera,
sento l'eco di un 'ta-pum!'
ti scrivo in questo Centenario,
dall'Ofanto della Puglia,
al bel Piave del Veneto,
e come i nostri fiumi si uniscono in mare
siamo Fratelli d'Italia nel dire e nel fare,
in questa nostra madre terra da amare,
"magna parens frugrum, magna virum",[1]
gran madre di messi, gran madre di eroi.


maestro Peppino Di Nunno da Canosa di Puglia, nel legane decennale con Pederobba, nella memoria della Grande Guerra (1914-2014)..

[1] Virgilio, Georgiche, Libro II, vv.173-174.


Ob amorem patriae
maestro Peppino Di Nunno
Canosa di Puglia, 21 luglio 2014
Giuseppe Mastrapasqualapide IacoboneLapide Bosco Cappuccio
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