Stilus Magistri
Fra’ Celestino Di Muro, una voce poetica in dialetto canosino da non dimenticare
A cura del maestro Peppino Di Nunno
domenica 13 luglio 2014
10.05
Il giorno di Sant'Antonio del 13 giugno, partecipando alla festa dei 90 anni di una francescana, Rosa Caporale, presso l'Istituto Immacolata, un'altra cara nonna francescana, Rosa Tortiello, parlando della preghiera in dialetto recitata dalla novantenne, mi riportava alla mente la figura di fra' Celestino Di Muro, canosino e del suo libro di poesie in dialetto. Alla mia domanda, la nonna mi diceva: "oggi fra' Celestino è ospite a San Giovanni Rotondo".
Mi rendevo conto che Canosa, mentre rende omaggio a tanti poeti dialettali contemporanei, dimentica questa figura e che io stesso onestamente, avevo trascurato la sua memoria. Eppure nell'aprile del 2012, il vegliardo maestro novantenne, Tommaso Greco, in un incontro personale, mi mostrava la lettura di un libro di fra' Celestino, davanti ai suoi occhi, come rivedo nella foto nel libro aperto a pagina 5.
Carico di questa distrazione, recuperati negli anni scorsi da un articolo del Campanile, cerco fra' Celestino a San Giovanni Rotondo, riuscendo a contattarlo telefonicamente nella Casa dei Frati.
È stata un'esperienza intensa e commovente, mentre ascoltavo la sua voce sofferente, che segnava le fragilità dell'età: "ho 81 anni, ricordo le mie radici di canosino, scritte nel libro di poesie in dialetto negli anni settanta". Mi affida un saluto a Canosa, alla Chiesa del Carmine e, su mia richiesta del libro, mi indirizza a Sabino Rotondo, dipendente dell'Ospedale Civile di Canosa.
Lo saluto nella preghiera e lo contatto una seconda volta, rievocando nella sua memoria, l'amica della strada nativa, Faustina ed il cugino compianto, Carlo Di Muro.
Allo stesso caro amico scomparso Carlo Di Muro, faccio riferimento il giorno 30 giugno, salutando il pensionamento delle care mie colleghe di Scuola "De Muro Lomanto", Tonia Trisorio, Maria Princigalli ed Elisa Suriano, moglie di Carlo Di Muro.
Quel giorno, indirizzo un messaggio alle stimate istituzioni cittadine presenti, dicendo: " Canosa rende omaggio a ragione ai poeti dialettali e dimentica la voce di fra' Celestino", associandomi con la mia distrazione, ma recuperandola, con la citazione di fra' Celestino nel Saggio letterario, in ultimazione, sul dialetto canosino.
Ma proseguo nella ricerca e mi reco ad incontrare Sabino Rotondo, legato a fra' Celestino dalla conoscenza personale in atto a livello umano, culturale e spirituale, soprattutto dopo il 1996. Sabino Rotondo mi consegna una copia del libro, "Li sciùche de na vòlte" (I giochi di una volta), itinerario di un vissuto, che ha conosciuto il dialetto, la povertà della gente di un tempo, la fede cristiana nella Chiesa del Carmine, da sacrista a Fratello religioso dei Frati Minori Francescani, fino ad essere missionario nel CIAD, come mi ricorda ancora oggi padre Graziano a Foggia, missionario con lui in Africa. Forse in Africa avrà raccontato ai bambini del CIAD, i racconti del dialetto canosino!
Fra' Celestino riporta nel suo libro anche la vicinanza a Padre Pio nel 1960, nel Convento di San Giovanni Rotondo, come attesta la foto dello stesso libro.
La mia ricerca continua a fine giugno, recandomi con fatica nella strada nativa di Francesco Di Muro, nato il 1933, risalendo lo 'Scalone del Castello', visitando la seconda traversa a sinistra, detta via Amerigo Vespucci e cercano l'amica Faustina. Certo oggi l'identità canosina del borgo antico è cambiata e stravolta fra le pietre, ma tra molti disagi, un giovane mi suggerisce a cercare Faustina in una traversa del corso San Sabino.
Nello stesso pomeriggio mi reco, ignaro dell'abitazione, ma i disegni del cielo, mi fanno incontrare una nonna seduta davanti al sottano: "sono io Faustina, Faustina Barile". Alla mia domanda sull'età, lei mi risponde: "ho 83 anni". Io apprezzo la sua figura: "li portate bene!" e lei replica, "benedìtte u Segnòre!".
Così prosegue in dialetto evocando la figura di fra' Celestino: "m'arrecòrde, u figghie de la vezzòche", evocando la figura educativa della mamma, coordinatrice delle Carmelitane della Chiesa del quartiere". E Faustina ricorda la figura dell'educatore: " adunève li criatéure e dicève stòrie e preghìre".
Saluto con gratitudine Faustina, che mi affida un suo desiderio: "quànde vulève 'ngundrè a don Sabino Fioravande!". Le chiedo il motivo e lei evoca una vita di affetti di un tempo, che ha vissuto anche mio padre Giovanni: "jà fìgghie de làtte a màmme!", al tempo in cui c'erano anche i "figli di latte", nutriti dallo stesso seno.
Questa la ricerca culturale e la gioia umana canosina, che sfoglia le pagine del suo libro in dialetto canosino, scritto negli anni 70 e pubblicato nel 1999.
Ma mentre da altre parti si alza la mano di primogenitura a scrivere in dialetto, fra' Celestino lo scriveva fra le pietre antiche del Castello, mentre io trascrivevo cento proverbi in dialetto, dettati nel 1972 nella casa della via della Passione, di mia nonna Rosinella.
Lo stesso libro "I giochi di una volta" di Canosa, attesta la datazione della composizione degli anni Settanta, riportando il sigillo dei Frati Minori Cappuccini di FODIAE , con il "Nulla Osta per la stampa. Foggia, 12 maggio 1979. P. Crispino Di Flumeri, Ministro Provinciale".
Le sue poesie in dialetto non evocano solo stati d'animo, ma aspetti popolari di Canosa, figure della nostra gente della prima metà del 900, con una valenza storica attuale, che compensa la fragilità di salute del Fratello religioso cappuccino, evocato da Sabino Rotondo.
Come dice una sua stessa poesia, da ragazzo "sò fàtte u scarpère": "a li tìmbe mòje, fernéute la scòle / ognè uagnàune s'ambarève nu mestìre".
I Giochi di una volta vengono introdotti con i seguenti versi: "facémme tànda sciùche che le mène noste / ca se li vù mù, cissà quànde còste"; i giochi vengono poi evocati con una poesia con disegno dedicati a: "le chiànghe", "u mazzagàtte", "la cumète", "u cùrle".
Un bella poesia viene dedicata ai "mestieri di una volta", con l'ultimo verso che raccomanda. "ambère l'arte e mìttele da pàrte!".
Una poesia di ispirazione francescana ammira due alberi, il mandorlo e l'ulivo, come due innamorati, visti da lui, "quane jève uagnàune e scève a la vòje de fòre", nei campi della nostra terra.
I suoi passi si soffermano con la poesia "li scurtegghjéune" ( i rondinoni), al tempo in cui ci si abbronzava nel lavori dei campi e non al mare, evocando poi la tragedia dei bombardamenti su Canosa , alle ore 21,30 del 6 novembre del 1943, "quàne u Castìdde trumelè, ma nan cadòje".
Visita il Camposanto tra le tombe di "li mùrte rìcche e li poverìdde, ca dìnne gràzie a du passarìdde".Come scolaro evoca in dialetto "il primo giorno di scuola", poi cammina per strada fra i lampioni e poi piange la mamma che manca, quando parte con l'aereo, lontano da Canosa: "quàne me n'avvertìppe ca màmme nan ge stève, chiangìppe…".
Il cuore di fraticello canosino dipinge con i versi dedicati alla bellezza di "Canàusa màje": "père na fémene mézza sdrajète, ca dòrme sàupa a nu lète", dal Castello, giù al corso san Sabino, risalendo "Pezze Nùve", la via di Andria, in una geografia dei quartieri popolari di Canosa.
Il suo saluto sta nella poesia "u menìnne, penziunète", autobiografica, dalla nascita, all'asilo, al ragazzo ciabattino dopo la scuola, al bandista che suonava i piatti nella banda del "Villaggio del Fanciullo", alla vocazione religiosa, al poeta in dialetto della Canosa da lui vissuta e che "'nzìme a véue pòrte jìnd'o còre".
Ora, caro fra' Celestino, dopo questa memoria dimenticata, anche noi canosini, ti portiamo inisieme nel cuore!
Stàtte bùne, bùne! Ca la Madònne t'accumbàgne!"
maestro Peppino Di Nunno (stylus magistri).
Mi rendevo conto che Canosa, mentre rende omaggio a tanti poeti dialettali contemporanei, dimentica questa figura e che io stesso onestamente, avevo trascurato la sua memoria. Eppure nell'aprile del 2012, il vegliardo maestro novantenne, Tommaso Greco, in un incontro personale, mi mostrava la lettura di un libro di fra' Celestino, davanti ai suoi occhi, come rivedo nella foto nel libro aperto a pagina 5.
Carico di questa distrazione, recuperati negli anni scorsi da un articolo del Campanile, cerco fra' Celestino a San Giovanni Rotondo, riuscendo a contattarlo telefonicamente nella Casa dei Frati.
È stata un'esperienza intensa e commovente, mentre ascoltavo la sua voce sofferente, che segnava le fragilità dell'età: "ho 81 anni, ricordo le mie radici di canosino, scritte nel libro di poesie in dialetto negli anni settanta". Mi affida un saluto a Canosa, alla Chiesa del Carmine e, su mia richiesta del libro, mi indirizza a Sabino Rotondo, dipendente dell'Ospedale Civile di Canosa.
Lo saluto nella preghiera e lo contatto una seconda volta, rievocando nella sua memoria, l'amica della strada nativa, Faustina ed il cugino compianto, Carlo Di Muro.
Allo stesso caro amico scomparso Carlo Di Muro, faccio riferimento il giorno 30 giugno, salutando il pensionamento delle care mie colleghe di Scuola "De Muro Lomanto", Tonia Trisorio, Maria Princigalli ed Elisa Suriano, moglie di Carlo Di Muro.
Quel giorno, indirizzo un messaggio alle stimate istituzioni cittadine presenti, dicendo: " Canosa rende omaggio a ragione ai poeti dialettali e dimentica la voce di fra' Celestino", associandomi con la mia distrazione, ma recuperandola, con la citazione di fra' Celestino nel Saggio letterario, in ultimazione, sul dialetto canosino.
Ma proseguo nella ricerca e mi reco ad incontrare Sabino Rotondo, legato a fra' Celestino dalla conoscenza personale in atto a livello umano, culturale e spirituale, soprattutto dopo il 1996. Sabino Rotondo mi consegna una copia del libro, "Li sciùche de na vòlte" (I giochi di una volta), itinerario di un vissuto, che ha conosciuto il dialetto, la povertà della gente di un tempo, la fede cristiana nella Chiesa del Carmine, da sacrista a Fratello religioso dei Frati Minori Francescani, fino ad essere missionario nel CIAD, come mi ricorda ancora oggi padre Graziano a Foggia, missionario con lui in Africa. Forse in Africa avrà raccontato ai bambini del CIAD, i racconti del dialetto canosino!
Fra' Celestino riporta nel suo libro anche la vicinanza a Padre Pio nel 1960, nel Convento di San Giovanni Rotondo, come attesta la foto dello stesso libro.
La mia ricerca continua a fine giugno, recandomi con fatica nella strada nativa di Francesco Di Muro, nato il 1933, risalendo lo 'Scalone del Castello', visitando la seconda traversa a sinistra, detta via Amerigo Vespucci e cercano l'amica Faustina. Certo oggi l'identità canosina del borgo antico è cambiata e stravolta fra le pietre, ma tra molti disagi, un giovane mi suggerisce a cercare Faustina in una traversa del corso San Sabino.
Nello stesso pomeriggio mi reco, ignaro dell'abitazione, ma i disegni del cielo, mi fanno incontrare una nonna seduta davanti al sottano: "sono io Faustina, Faustina Barile". Alla mia domanda sull'età, lei mi risponde: "ho 83 anni". Io apprezzo la sua figura: "li portate bene!" e lei replica, "benedìtte u Segnòre!".
Così prosegue in dialetto evocando la figura di fra' Celestino: "m'arrecòrde, u figghie de la vezzòche", evocando la figura educativa della mamma, coordinatrice delle Carmelitane della Chiesa del quartiere". E Faustina ricorda la figura dell'educatore: " adunève li criatéure e dicève stòrie e preghìre".
Saluto con gratitudine Faustina, che mi affida un suo desiderio: "quànde vulève 'ngundrè a don Sabino Fioravande!". Le chiedo il motivo e lei evoca una vita di affetti di un tempo, che ha vissuto anche mio padre Giovanni: "jà fìgghie de làtte a màmme!", al tempo in cui c'erano anche i "figli di latte", nutriti dallo stesso seno.
Questa la ricerca culturale e la gioia umana canosina, che sfoglia le pagine del suo libro in dialetto canosino, scritto negli anni 70 e pubblicato nel 1999.
Ma mentre da altre parti si alza la mano di primogenitura a scrivere in dialetto, fra' Celestino lo scriveva fra le pietre antiche del Castello, mentre io trascrivevo cento proverbi in dialetto, dettati nel 1972 nella casa della via della Passione, di mia nonna Rosinella.
Lo stesso libro "I giochi di una volta" di Canosa, attesta la datazione della composizione degli anni Settanta, riportando il sigillo dei Frati Minori Cappuccini di FODIAE , con il "Nulla Osta per la stampa. Foggia, 12 maggio 1979. P. Crispino Di Flumeri, Ministro Provinciale".
Le sue poesie in dialetto non evocano solo stati d'animo, ma aspetti popolari di Canosa, figure della nostra gente della prima metà del 900, con una valenza storica attuale, che compensa la fragilità di salute del Fratello religioso cappuccino, evocato da Sabino Rotondo.
Come dice una sua stessa poesia, da ragazzo "sò fàtte u scarpère": "a li tìmbe mòje, fernéute la scòle / ognè uagnàune s'ambarève nu mestìre".
I Giochi di una volta vengono introdotti con i seguenti versi: "facémme tànda sciùche che le mène noste / ca se li vù mù, cissà quànde còste"; i giochi vengono poi evocati con una poesia con disegno dedicati a: "le chiànghe", "u mazzagàtte", "la cumète", "u cùrle".
Un bella poesia viene dedicata ai "mestieri di una volta", con l'ultimo verso che raccomanda. "ambère l'arte e mìttele da pàrte!".
Una poesia di ispirazione francescana ammira due alberi, il mandorlo e l'ulivo, come due innamorati, visti da lui, "quane jève uagnàune e scève a la vòje de fòre", nei campi della nostra terra.
I suoi passi si soffermano con la poesia "li scurtegghjéune" ( i rondinoni), al tempo in cui ci si abbronzava nel lavori dei campi e non al mare, evocando poi la tragedia dei bombardamenti su Canosa , alle ore 21,30 del 6 novembre del 1943, "quàne u Castìdde trumelè, ma nan cadòje".
Visita il Camposanto tra le tombe di "li mùrte rìcche e li poverìdde, ca dìnne gràzie a du passarìdde".Come scolaro evoca in dialetto "il primo giorno di scuola", poi cammina per strada fra i lampioni e poi piange la mamma che manca, quando parte con l'aereo, lontano da Canosa: "quàne me n'avvertìppe ca màmme nan ge stève, chiangìppe…".
Il cuore di fraticello canosino dipinge con i versi dedicati alla bellezza di "Canàusa màje": "père na fémene mézza sdrajète, ca dòrme sàupa a nu lète", dal Castello, giù al corso san Sabino, risalendo "Pezze Nùve", la via di Andria, in una geografia dei quartieri popolari di Canosa.
Il suo saluto sta nella poesia "u menìnne, penziunète", autobiografica, dalla nascita, all'asilo, al ragazzo ciabattino dopo la scuola, al bandista che suonava i piatti nella banda del "Villaggio del Fanciullo", alla vocazione religiosa, al poeta in dialetto della Canosa da lui vissuta e che "'nzìme a véue pòrte jìnd'o còre".
Ora, caro fra' Celestino, dopo questa memoria dimenticata, anche noi canosini, ti portiamo inisieme nel cuore!
Stàtte bùne, bùne! Ca la Madònne t'accumbàgne!"
maestro Peppino Di Nunno (stylus magistri).