Stilus Magistri
Grazie Canosini di Torino!
Il "nostro amato dialetto" ci accomuna come memoria e identità
lunedì 25 febbraio 2019
22.02
Amici Canosini di Torino,
nella domenica del 24 febbraio apprendo con sorpresa, quasi in diretta, vedo con emozione la targa di riconoscimento dell'Associazione IL PONTE dei Canosini di Torino indirizzata alla mia persona quale "cultore e custode del nostro amato dialetto canosino". Esprimo gratitudine alla condivisione della mia opera di Dialettologia, "Sulle vie dei ciottoli", già divulgata fra i Canosini di Torino. Sulla soglia dei settanta anni mi soffermo su queste parole di condivisione di essere "cultore e custode" del dialetto canosino che tramandiamo ai nostri figli, ai nipoti, ai giovani, ai bambini di Scuola come ho fatto nella vigilia di San Sabino con la poesia in dialetto di "San Zavòne poverìdde", così amato ogni anno nel febbraio di Torino alla presenza di Autorità civili, religiose e Associazioni culturali. La targa riporta il "nostro amato dialetto", definendolo "nostro" perché ci accomuna come memoria e identità, stimandolo "amato", perché il dialetto non è solo una lingua e un sistema linguistico, ma è la voce dei nostri bisnonni, li tatarànne ( i tàta grandi) dell'800, dei nostri padri e delle nostre madri del '900; e la voce di coloro che ci hanno generato è da ... amare. Non a caso diciamo in dialetto a quanti un tempo ostentavano un italiano impreciso: "pàrle cùme t'ò fàtte màmme!", "parla come ti ha fatto la tua mamma!".
Saluto le due fasce sindacali del Tricolore di Torino e di Canosa, il sigillo del Canonico Don Felice Bacco e sono lieto che a ricevere l'attestato, su mio impedimento fisico, sia stato sempre un Peppino, mio cognato Di Biase, Dirigente alle Finanze del Comune con l'Assessore Delli Santi. Un Peppino di Famiglia, che per anni con benevolenza ha accolto la novantenne mia madre Rosetta, ascoltando e imparando con mia sorella, come me, la cultura proverbiale di una madre novantenne. Ringrazio e sono fiero di essermi seduto sulle sedie che accoglievano i presenti in sala, avendo curato l'Associazione IL PONTE con il Presidente Pasquale Valente la divulgazione della pagina di studio inedita di cultura popolare dei Folletti che hanno fatto anche l'Unità d'Italia. Il Moncacello, u Munecacìdde canosino era il mio Ambasciatore incontratosi anche con il suo collega folletto, il Sarvàn o Sarvanòt piemontese, nei racconti popolari delle Alpi, scritti nella stamperia reale di Torino nel 1826. Si sono dati la mano in dialetto i due folletti di Canosa e di Torino, pugliese e piemontese e oggi ci diamo anche noi la mano, da vicino, da lontano, nelle nostre radici culturali dialettali, nell'attimo fuggente irripetibile dell'oggi, nella proiezione del futuro del domani: "crè jà n'àute jùrne, se Gèse Crìste vòle", "domani è un altro giorno, se Gesù Cristo vuole" .... e se lo vuole anche San Sabino! Grazie e un caro abbraccio!
Maestro Peppino Di Nunno
Foto a cura di Tommaso Chiarella
nella domenica del 24 febbraio apprendo con sorpresa, quasi in diretta, vedo con emozione la targa di riconoscimento dell'Associazione IL PONTE dei Canosini di Torino indirizzata alla mia persona quale "cultore e custode del nostro amato dialetto canosino". Esprimo gratitudine alla condivisione della mia opera di Dialettologia, "Sulle vie dei ciottoli", già divulgata fra i Canosini di Torino. Sulla soglia dei settanta anni mi soffermo su queste parole di condivisione di essere "cultore e custode" del dialetto canosino che tramandiamo ai nostri figli, ai nipoti, ai giovani, ai bambini di Scuola come ho fatto nella vigilia di San Sabino con la poesia in dialetto di "San Zavòne poverìdde", così amato ogni anno nel febbraio di Torino alla presenza di Autorità civili, religiose e Associazioni culturali. La targa riporta il "nostro amato dialetto", definendolo "nostro" perché ci accomuna come memoria e identità, stimandolo "amato", perché il dialetto non è solo una lingua e un sistema linguistico, ma è la voce dei nostri bisnonni, li tatarànne ( i tàta grandi) dell'800, dei nostri padri e delle nostre madri del '900; e la voce di coloro che ci hanno generato è da ... amare. Non a caso diciamo in dialetto a quanti un tempo ostentavano un italiano impreciso: "pàrle cùme t'ò fàtte màmme!", "parla come ti ha fatto la tua mamma!".
Saluto le due fasce sindacali del Tricolore di Torino e di Canosa, il sigillo del Canonico Don Felice Bacco e sono lieto che a ricevere l'attestato, su mio impedimento fisico, sia stato sempre un Peppino, mio cognato Di Biase, Dirigente alle Finanze del Comune con l'Assessore Delli Santi. Un Peppino di Famiglia, che per anni con benevolenza ha accolto la novantenne mia madre Rosetta, ascoltando e imparando con mia sorella, come me, la cultura proverbiale di una madre novantenne. Ringrazio e sono fiero di essermi seduto sulle sedie che accoglievano i presenti in sala, avendo curato l'Associazione IL PONTE con il Presidente Pasquale Valente la divulgazione della pagina di studio inedita di cultura popolare dei Folletti che hanno fatto anche l'Unità d'Italia. Il Moncacello, u Munecacìdde canosino era il mio Ambasciatore incontratosi anche con il suo collega folletto, il Sarvàn o Sarvanòt piemontese, nei racconti popolari delle Alpi, scritti nella stamperia reale di Torino nel 1826. Si sono dati la mano in dialetto i due folletti di Canosa e di Torino, pugliese e piemontese e oggi ci diamo anche noi la mano, da vicino, da lontano, nelle nostre radici culturali dialettali, nell'attimo fuggente irripetibile dell'oggi, nella proiezione del futuro del domani: "crè jà n'àute jùrne, se Gèse Crìste vòle", "domani è un altro giorno, se Gesù Cristo vuole" .... e se lo vuole anche San Sabino! Grazie e un caro abbraccio!
Maestro Peppino Di Nunno
Foto a cura di Tommaso Chiarella