Stilus Magistri
Il papavero rosso dei tre giochi.
A lezione degli “sceqquàquele” con i bambini
domenica 15 maggio 2016
22.17
Ritornando a Scuola in via Santa Lucia, abbiamo voluto fare visita ai bambini di Classe seconda A e B rette dalle insegnanti Piera Barbarossa, Angela Visconti e Cristina Brillante. Le classi si uniscono con la maestra Cristina e Angela, che oltre ad essere state colleghe in servizio, sono state madri di mie care alunne. Fra loro la stessa Dalila mi raggiunge in diretta al telefono, ma oggi parliamo ai bambini del 2016, fra le quali sorride riservatamente la piccola Antonia, di cui sono padrino, che evocava a due anni e mezzo il motto del MIUR del 2011, "Tutti a scuola", che ci portò al Quirinale. Lo presentiamo ai bambini di seconda, commentando che al tempo dei miei nonni, i bambini non potevano andare tutti a scuola per povertà: "siete fortunati voi bambini, che al mattino, svegliandovi, potete andare tutti a Scuola, maschietti e femmine". Ma oggi dal giardino spontaneo della Scuola portiamo un fiore rosso, il papavero selvatico, che in questo periodo di maggio colora il verde dei campi ai margini delle strade o nelle periferie incolte del paese.
La presentazione del fiore è nel suo nome: "Papavero o Rosolaccio o in dialetto sceqquàquele". Alla prima domanda "che significa papavero selvatico?", un bambino, Simone, interviene a spiegare il termine "selvatico" : "vuol dire che cresce spontaneamente". Lo sanno i bambini di Scuola di oggi, ma lo scriveva anche lo scrittore Plinio dell'Antica Roma nel I sec. d. C. nell'opera Naturalis Historia, al libro XX, LXXVII, 204: "Inter sativa et silvestria medium genus, quoniam in arvis sed sponte nasceretur, rhoeam vocavimus et erraticum" (Fra i (fiori) coltivati e i selvatici un tipo intermedio, poichè nasce nei campi, ma sponteamente, l'abbiamo chiamato rosolaccio ed erratico). È il nome latino e botanico del Rosolaccio, "Rhoea", questa Rosa dei campi che in noi evoca il latino appreso fra i banchi della Scuola Media con "Rosa, Rosae". Questo riferimento filologico lo dedichiamo agli studenti giovani, ai Liceali. La lezione con i bambini e le maestre presenta il fiore dei tre giochi, quando noi nonni eravamo bambini.
Il fischio del petalo
I petali rossi staccati dal fiore. soffiando con abilità fra le labbra, facevano una vibrazione e un fischio. Il giorno dopo alcuni bambini hanno provato e sono riusciti! Oggi diremmo: "è il fischio petaloso!".
La stellina del fiore
Il pistillo del fiore, che poi contiene i semi, si imprimeva sul dorso della mano o sulla fronte, lasciando l'impronta di una stellina. Lo facciamo in classe fra i bambini: "è vero!". E una bambina, Azzurra, conferma: "l'amico di mio padre dice che si faceva la stellina col fiore!"
La capsula che scoppia
La capsula del fiore prima di schiudersi, veniva usata producendo uno scoppio vegetale, da cui deriva il nome in dialetto "sceqquàquele" a Canosa, ma anche a Minervino e a Spinazzola, come riporta il libro "sulle vie dei ciottoli del dialetto canosino" del maestro Giuseppe Di Nunno.
Da questo gioco deriva il nome onomatopeico in dialetto, "sceqquàquele", o "sceccattabùtte" a Minervino o "sceccàtele" a Spinazzola, come mi riferì mia cognata Gina, da poco deceduta. Racconto una lezione in giardino a Scuola nell'ultimo anno di servizio del 2009 con le classi di quarta, ma oggi la partecipazione didattica si avvale della presenza dell'Educatrice Francesca Conca di Spinazzola e della maestra di sostegno Laura Roccotelli di Minervino, che conferma: "si faceva aprire la capsula dicendo: indovina di che colore è?". I bambini di oggi abili nel digitare, riscoprono così la manualità e la creatività del gioco, che rischiano di diventare secondarie riducendo una risorsa genetica del bambino nel suo sviluppo sensoriale e cognitivo e una risorsa artistica e culturale.
Il papavero rosso nell'arte
Così il papavero rosso diventa anche educazione all'arte se leggiamo il dipinto del pittore olandese Brueghel del 1605 che ritrae Cerere, la dea delle messi o della fertilità dei campi, con una ghirlanda di fiori sul capo con spighe di grano e papaveri. Infatti nella civiltà contadina ricordiamo campi verdi di grano con macchie rosse di papaveri, che non crescono più nel diserbare i terreni prima della semina. E ai bambini di scuola offriamo la stampa di un altro dipinto di papaveri, nella bellezza e nella semplicità delle impressioni e della poesia. È il dipinto autografo "campo di papaveri" del francese Claude Monet del 1873, in cui l'artista ritrae un campo di papaveri su una dolce collina con una donna e un bambino. Comparando il dipinto con un altro dello stesso artista, "La passeggiata", si possono identificare la donna con ombrellino parasole nella moglie Camille del pittore ed il bambino vestito alla marinara nel figlio Jean. L'olio su tela di Monet è custodito a Parigi nel Museo d'Orsay, ma noi possiamo viverlo nelle periferie dei nostri paesi e nei campi incolti, che andrebbero tutelati nell'equilibrio dell'ecosistema. E voi bambini di tutte le scuole potete giocare tra petali, stelline e capsule di papaveri rossi, per poi disegnarli, conservarli e raccontarli domani, da piccoli e da grandi. Lasciamo i bambini di scuola scoprendo in faccia i papaveri, i rosolacci, "li sceqquàquele" nel dialetto dei nonni. Chiamiamo presso la cattedra Aurora e Luca, che hanno le gote rosee per visualizzare la frase in dialetto dei nonni: "tène li sceqquàquele 'mbàcce!" (ha i rosolacci in faccia!")
È l'immagine dell'energia vitale dei bambini.
Ciao bambini e .... Viva i papaveri rossi!
maestro Peppino Di Nunno
La presentazione del fiore è nel suo nome: "Papavero o Rosolaccio o in dialetto sceqquàquele". Alla prima domanda "che significa papavero selvatico?", un bambino, Simone, interviene a spiegare il termine "selvatico" : "vuol dire che cresce spontaneamente". Lo sanno i bambini di Scuola di oggi, ma lo scriveva anche lo scrittore Plinio dell'Antica Roma nel I sec. d. C. nell'opera Naturalis Historia, al libro XX, LXXVII, 204: "Inter sativa et silvestria medium genus, quoniam in arvis sed sponte nasceretur, rhoeam vocavimus et erraticum" (Fra i (fiori) coltivati e i selvatici un tipo intermedio, poichè nasce nei campi, ma sponteamente, l'abbiamo chiamato rosolaccio ed erratico). È il nome latino e botanico del Rosolaccio, "Rhoea", questa Rosa dei campi che in noi evoca il latino appreso fra i banchi della Scuola Media con "Rosa, Rosae". Questo riferimento filologico lo dedichiamo agli studenti giovani, ai Liceali. La lezione con i bambini e le maestre presenta il fiore dei tre giochi, quando noi nonni eravamo bambini.
Il fischio del petalo
I petali rossi staccati dal fiore. soffiando con abilità fra le labbra, facevano una vibrazione e un fischio. Il giorno dopo alcuni bambini hanno provato e sono riusciti! Oggi diremmo: "è il fischio petaloso!".
La stellina del fiore
Il pistillo del fiore, che poi contiene i semi, si imprimeva sul dorso della mano o sulla fronte, lasciando l'impronta di una stellina. Lo facciamo in classe fra i bambini: "è vero!". E una bambina, Azzurra, conferma: "l'amico di mio padre dice che si faceva la stellina col fiore!"
La capsula che scoppia
La capsula del fiore prima di schiudersi, veniva usata producendo uno scoppio vegetale, da cui deriva il nome in dialetto "sceqquàquele" a Canosa, ma anche a Minervino e a Spinazzola, come riporta il libro "sulle vie dei ciottoli del dialetto canosino" del maestro Giuseppe Di Nunno.
Da questo gioco deriva il nome onomatopeico in dialetto, "sceqquàquele", o "sceccattabùtte" a Minervino o "sceccàtele" a Spinazzola, come mi riferì mia cognata Gina, da poco deceduta. Racconto una lezione in giardino a Scuola nell'ultimo anno di servizio del 2009 con le classi di quarta, ma oggi la partecipazione didattica si avvale della presenza dell'Educatrice Francesca Conca di Spinazzola e della maestra di sostegno Laura Roccotelli di Minervino, che conferma: "si faceva aprire la capsula dicendo: indovina di che colore è?". I bambini di oggi abili nel digitare, riscoprono così la manualità e la creatività del gioco, che rischiano di diventare secondarie riducendo una risorsa genetica del bambino nel suo sviluppo sensoriale e cognitivo e una risorsa artistica e culturale.
Il papavero rosso nell'arte
Così il papavero rosso diventa anche educazione all'arte se leggiamo il dipinto del pittore olandese Brueghel del 1605 che ritrae Cerere, la dea delle messi o della fertilità dei campi, con una ghirlanda di fiori sul capo con spighe di grano e papaveri. Infatti nella civiltà contadina ricordiamo campi verdi di grano con macchie rosse di papaveri, che non crescono più nel diserbare i terreni prima della semina. E ai bambini di scuola offriamo la stampa di un altro dipinto di papaveri, nella bellezza e nella semplicità delle impressioni e della poesia. È il dipinto autografo "campo di papaveri" del francese Claude Monet del 1873, in cui l'artista ritrae un campo di papaveri su una dolce collina con una donna e un bambino. Comparando il dipinto con un altro dello stesso artista, "La passeggiata", si possono identificare la donna con ombrellino parasole nella moglie Camille del pittore ed il bambino vestito alla marinara nel figlio Jean. L'olio su tela di Monet è custodito a Parigi nel Museo d'Orsay, ma noi possiamo viverlo nelle periferie dei nostri paesi e nei campi incolti, che andrebbero tutelati nell'equilibrio dell'ecosistema. E voi bambini di tutte le scuole potete giocare tra petali, stelline e capsule di papaveri rossi, per poi disegnarli, conservarli e raccontarli domani, da piccoli e da grandi. Lasciamo i bambini di scuola scoprendo in faccia i papaveri, i rosolacci, "li sceqquàquele" nel dialetto dei nonni. Chiamiamo presso la cattedra Aurora e Luca, che hanno le gote rosee per visualizzare la frase in dialetto dei nonni: "tène li sceqquàquele 'mbàcce!" (ha i rosolacci in faccia!")
È l'immagine dell'energia vitale dei bambini.
Ciao bambini e .... Viva i papaveri rossi!
maestro Peppino Di Nunno