Stilus Magistri
Il Ponte di Canosa: Monumento sulle palafitte
Frontiera di civiltà e monumento senza frontiere
giovedì 1 settembre 2016
22.50
La Città di Canosa di Puglia(BT) nella prestigiosa Enciclopedia Treccani, riportata nelle radici linguistiche in greco Κανύσιον e in latino Canusium, viene suggellata anche nelle pietre monumentali del Ponte Romano sul fiume Aufidus: "Un importantissimo monumento della Canusium romana è il grandioso ponte sull'Ofanto". Il prof. Giuseppe Morea nel libro "Arate e Monumenti a Canosa" del 1969 lo descrive come monumento dell'epoca imperiale, fatto costruire dall'Imperatore Traiano sulla Via Traiana nel II sec. d. C.. Il ponte è a schiena d'asino, a cinque arcate poggianti direttamente su solidi piloni concatenati con centine di bronzo. La lunghezza complessiva delle cinque luci è di metri 84,20. La parte superiore fu rifatta da Carlo III di Borbone in, seguito ad un crollo causato dal fortissimo terremoto del 1361, quando, a detta del Collenuccio «a Canosa rovinarono molti edifici e parte delle mura. Nei pressi del ponte si possono ancora notare resti di opere di sbarramento e di abitazioni dei doganieri, che attestano la via della Transumanza sul Regio Tratturo che portava alla locazione di Canosa, riportata nell'Archivio Storico Comunale, quando esisteva la Dogana della Mena delle pecore, attestata nell'Archivio di Stato di Foggia, che costituisce preziosa fonte di studio. Oltre la configurazione dei limiti di Provincia e di pertinenza comunale tra Canosa, Cerignola e San Ferdinando, il Ponte Romano sull'Ofanto costituisce un sito di frontiera ed una cerniera tra Est ed Ovest, tra il territorio del Tavoliere e le colline della Murgia, ma anche tra Sud e Nord, dal Vulture all'Adriatico. Ma nella storia di 19 secoli il ponte romano è intessuto della storia di Canosa, che si affaccia come una sentinella dalla Rocca medievale sui piloni a cuneo che conoscono i flussi torrentizi tumultuosi che inondano i campi coltivati , dai versi oraziani del fiume alla voce dei nostri nonni, nella memoria della "chiàne de l'Óffete".
L'inondazione del 1985 fu rovinosa fino a far collassare il ponte nuovo di epoca fascista e a subire nel rifacimento del ponte nuovo lo stravolgimento dell'alveo del fiume con la formazione di arbusti che hanno depauperato il luogo, mentre le piante selvatiche del fico invadevano da decenni le pietre dei piloni. "Il ponte di Canosa" è una denominazione che ritroviamo nell'opera "Della Via Appia" del 1741 di Francesco Maria Pratilli, che ha visitato Canosa, come citiamo nella mia recente opera "Sulle vie dei ciottoli del dialetto canosino". Nel Libro IV, capo XIII, l'archeologo e storico canonico Pratilli descrive la Via Trajana da Canosa a Ruvo: "Passava, com'è detto, questa via per lo superbissimo ponte, che di Canosa viene chiamato: essendo egli quasi rimpetto ad essa città, situata sopra una collinetta. Fu questo ponte eretto sul fiume Ofanto, il qual nasce ne' monti della provincia degl'Irpini di là di Bisaccio verso mezzogiorno". L'architettura del Ponte è frutto di una ingegneria antica che ammaestra le genti. Il pieghevole da me elaborato e stampato nel marzo del 2008 riporta con Lega Ambiente alcuni dati che qui riscriviamo. I piloni, costruiti con blocchi squadrati di pietra calcarea, nel lato Sud nella direzione della corrente del fiume, terminano a cuspide per infrangere la corrente e resistere alla piena del fiume. La trama del basolato in pietra, sotto le arcate laterali ad Est e ad Ovest, ha un andamento a raggiera per facilitare il deflusso delle acque. Le basole in pietra risultano spesso agganciate da grosse grappe metalliche di piombo.
Le palafitte del ponte
La platèa del ponte (piano di fondazione) è costituita da un sistema di palafitte che ha evitato nei millenni smottamenti e corrosione dell'alveo del fiume. É un sistema di tronchi di quercia, disposti in senso orizzontale su una orditura di pali verticali appuntiti abilmente conficcati con macchine battipalo fino alle argille sterili sottostanti. Tra questi pali, in posizione mediana, è conficcata verticalmente una seconda serie di paletti (quarti di tronco) a inchiodare il terreno di fondazione. Questa struttura lignea delle fondamenta è coperta da una piattaforma di calcestruzzo, formata da una malta dura di epoca romana con grossi inerti di fiume. Tale struttura di pali di fondazione si ritrova nella stessa epoca romana del I° e II° secolo d. C. negli argini del Reno, sulle sponde delle rive del Tamigi a Londra e nell'alveo del fiume Dora a Ivrea. La tecnica delle fondazioni palificate dei ponti romani viene descritta nell'opera De Architectura del celebre Vitruvio, architetto e scrittore del I sec. a. C., al libro V, capitolo XII, 3.
Deinde tunc in eo loco, qui definitus erit, arcae stipitibus robusteis et catenis inclusae in aquam demittendae destinandaeque firmiter; deinde inter ea ex trastilis inferior pars sub aqua exaequanda et purganda, et caementis ex mortario materia mixta, quemadmodum supra scriptum est, ibi congerendum, donique conpleatur structurae spatium, quod fuerit inter arcas. Hoc autem munus naturale habent ea loca, quae supra scripta sunt.
Quindi occorrerà calare in acqua, nella zona prestabilita, dei cassoni senza fondo che verranno saldamente serrati con pali di quercia e ancorati per mezzo di catene, poi si procederà a livellare e a ripulire la parte di fondale tra loro compresa, provvedendo a fare una gettata di malta e calcestruzzo come s'è detto sopra, fino a che la struttura muraria non avrà completamente riempito il vuoto dei cassoni. Ma questa difesa naturale la presentano i luoghi che abbiamo sopra descritto.
"La malta viene realizzata con due parti di pozzolana ed una parte di calce mescolaste con acqua e pietrame". Questa tecnica di fondazione di pali lignei risale agli Etruschi, fra i quali era sacra l'arte di costruire ponti, per cui nasce il termine "pontifex", cioè "costruttore di ponti", da cui il termine "Pontefice" della Chiesa Cattolica. Presso gli Etruschi i costruttori di ponti erano considerati sapienti e legati al culto divino e alla casta sacerdotale dei Pontefici. In epoca romana dal mastro costruttore di ponti deriva il Pontifex Maximus, "Pontefice Massimo", massima carica sacerdotale da cui deriva il "Sommo Pontefice". La tecnica degli impianti di pali è riportata con apprezzata competenza nel libro "I Ponti Romani" di Vittorio Galliazzo, Docente di Archeologia e Storia dell'arte Greca e Romana presso l'Università di Venezia con la presentazione nel Convegno del 2004 a Tarragona in Spagna. L'archeologo descrive l'opera di "defigere" (conficcare) i pali appuntiti per mezzo di macchine (cum machinationibus) e infine di "defigere", cioè di infiggere i pali in profondità a colpi di battipalo (festucis), per erigere i pontes sublicii, i ponti su palate, come il Ponte di Aquileia e il ponte sul Reno a Magonza. Le festucae, macchine battipalo, come ho seguito in televisione, erano una sorta di argano presentate da Alberto Angela. La stessa tecnica di fondazione di impianti di pali di pino e di quercia viene usata per le fondazioni dei Palazzi di Venezia. Potremmo dire: il Ponte Romano di Canosa come le fondazioni di Venezia! Il Ponte Romano di Canosa di Puglia, frontiera di civiltà e monumento senza frontiere "è da salvare" con la meritoria opera dell'Associazione che si è costituita e con le diverse iniziative culturali. Lo stesso Vescovo San Sabino, il cui monogramma è stato rinvenuto in un graffito dei piloni del ponte, porta sulle sue spalle, sul manto di argento del busto del 1985, scolpito dall'artista Antonio Lomuscio, il profilo del Ponte Romano di Canosa. Nel sacro sigillo sabiniano siano i Governanti della Regione, dei Ministeri, di tutti gli Enti competenti, a restaurare il Ponte e a risanare l'alveo del fiume. Dal "Passaggio a Nord Ovest", il Ponte Romano di Canosa attesta e merita il Passaggio della Via Traiana, delle Vie della Transumanza, del territorio tra Murge e Tavoliere, dei visitatori e degli emigranti che portano nel cuore la cartolina storica del Ponte con i "Saluti da Canosa di Puglia".
Onore a te, Ponte Romano di Canosa!
maestro Giuseppe Di Nunno
L'inondazione del 1985 fu rovinosa fino a far collassare il ponte nuovo di epoca fascista e a subire nel rifacimento del ponte nuovo lo stravolgimento dell'alveo del fiume con la formazione di arbusti che hanno depauperato il luogo, mentre le piante selvatiche del fico invadevano da decenni le pietre dei piloni. "Il ponte di Canosa" è una denominazione che ritroviamo nell'opera "Della Via Appia" del 1741 di Francesco Maria Pratilli, che ha visitato Canosa, come citiamo nella mia recente opera "Sulle vie dei ciottoli del dialetto canosino". Nel Libro IV, capo XIII, l'archeologo e storico canonico Pratilli descrive la Via Trajana da Canosa a Ruvo: "Passava, com'è detto, questa via per lo superbissimo ponte, che di Canosa viene chiamato: essendo egli quasi rimpetto ad essa città, situata sopra una collinetta. Fu questo ponte eretto sul fiume Ofanto, il qual nasce ne' monti della provincia degl'Irpini di là di Bisaccio verso mezzogiorno". L'architettura del Ponte è frutto di una ingegneria antica che ammaestra le genti. Il pieghevole da me elaborato e stampato nel marzo del 2008 riporta con Lega Ambiente alcuni dati che qui riscriviamo. I piloni, costruiti con blocchi squadrati di pietra calcarea, nel lato Sud nella direzione della corrente del fiume, terminano a cuspide per infrangere la corrente e resistere alla piena del fiume. La trama del basolato in pietra, sotto le arcate laterali ad Est e ad Ovest, ha un andamento a raggiera per facilitare il deflusso delle acque. Le basole in pietra risultano spesso agganciate da grosse grappe metalliche di piombo.
Le palafitte del ponte
La platèa del ponte (piano di fondazione) è costituita da un sistema di palafitte che ha evitato nei millenni smottamenti e corrosione dell'alveo del fiume. É un sistema di tronchi di quercia, disposti in senso orizzontale su una orditura di pali verticali appuntiti abilmente conficcati con macchine battipalo fino alle argille sterili sottostanti. Tra questi pali, in posizione mediana, è conficcata verticalmente una seconda serie di paletti (quarti di tronco) a inchiodare il terreno di fondazione. Questa struttura lignea delle fondamenta è coperta da una piattaforma di calcestruzzo, formata da una malta dura di epoca romana con grossi inerti di fiume. Tale struttura di pali di fondazione si ritrova nella stessa epoca romana del I° e II° secolo d. C. negli argini del Reno, sulle sponde delle rive del Tamigi a Londra e nell'alveo del fiume Dora a Ivrea. La tecnica delle fondazioni palificate dei ponti romani viene descritta nell'opera De Architectura del celebre Vitruvio, architetto e scrittore del I sec. a. C., al libro V, capitolo XII, 3.
Deinde tunc in eo loco, qui definitus erit, arcae stipitibus robusteis et catenis inclusae in aquam demittendae destinandaeque firmiter; deinde inter ea ex trastilis inferior pars sub aqua exaequanda et purganda, et caementis ex mortario materia mixta, quemadmodum supra scriptum est, ibi congerendum, donique conpleatur structurae spatium, quod fuerit inter arcas. Hoc autem munus naturale habent ea loca, quae supra scripta sunt.
Quindi occorrerà calare in acqua, nella zona prestabilita, dei cassoni senza fondo che verranno saldamente serrati con pali di quercia e ancorati per mezzo di catene, poi si procederà a livellare e a ripulire la parte di fondale tra loro compresa, provvedendo a fare una gettata di malta e calcestruzzo come s'è detto sopra, fino a che la struttura muraria non avrà completamente riempito il vuoto dei cassoni. Ma questa difesa naturale la presentano i luoghi che abbiamo sopra descritto.
"La malta viene realizzata con due parti di pozzolana ed una parte di calce mescolaste con acqua e pietrame". Questa tecnica di fondazione di pali lignei risale agli Etruschi, fra i quali era sacra l'arte di costruire ponti, per cui nasce il termine "pontifex", cioè "costruttore di ponti", da cui il termine "Pontefice" della Chiesa Cattolica. Presso gli Etruschi i costruttori di ponti erano considerati sapienti e legati al culto divino e alla casta sacerdotale dei Pontefici. In epoca romana dal mastro costruttore di ponti deriva il Pontifex Maximus, "Pontefice Massimo", massima carica sacerdotale da cui deriva il "Sommo Pontefice". La tecnica degli impianti di pali è riportata con apprezzata competenza nel libro "I Ponti Romani" di Vittorio Galliazzo, Docente di Archeologia e Storia dell'arte Greca e Romana presso l'Università di Venezia con la presentazione nel Convegno del 2004 a Tarragona in Spagna. L'archeologo descrive l'opera di "defigere" (conficcare) i pali appuntiti per mezzo di macchine (cum machinationibus) e infine di "defigere", cioè di infiggere i pali in profondità a colpi di battipalo (festucis), per erigere i pontes sublicii, i ponti su palate, come il Ponte di Aquileia e il ponte sul Reno a Magonza. Le festucae, macchine battipalo, come ho seguito in televisione, erano una sorta di argano presentate da Alberto Angela. La stessa tecnica di fondazione di impianti di pali di pino e di quercia viene usata per le fondazioni dei Palazzi di Venezia. Potremmo dire: il Ponte Romano di Canosa come le fondazioni di Venezia! Il Ponte Romano di Canosa di Puglia, frontiera di civiltà e monumento senza frontiere "è da salvare" con la meritoria opera dell'Associazione che si è costituita e con le diverse iniziative culturali. Lo stesso Vescovo San Sabino, il cui monogramma è stato rinvenuto in un graffito dei piloni del ponte, porta sulle sue spalle, sul manto di argento del busto del 1985, scolpito dall'artista Antonio Lomuscio, il profilo del Ponte Romano di Canosa. Nel sacro sigillo sabiniano siano i Governanti della Regione, dei Ministeri, di tutti gli Enti competenti, a restaurare il Ponte e a risanare l'alveo del fiume. Dal "Passaggio a Nord Ovest", il Ponte Romano di Canosa attesta e merita il Passaggio della Via Traiana, delle Vie della Transumanza, del territorio tra Murge e Tavoliere, dei visitatori e degli emigranti che portano nel cuore la cartolina storica del Ponte con i "Saluti da Canosa di Puglia".
Onore a te, Ponte Romano di Canosa!
maestro Giuseppe Di Nunno