Stilus Magistri
Jàlze, jàlze, za cummère...
Le uova in “camicia” della notte di Pasqua
domenica 1 aprile 2018
22.58
La Pasqua è Storia nell'evento, è Santa nella Fede, è cultura nelle tradizioni popolari, è gusto a tavola. Questo gusto a tavola lo abbiamo presentato come offerta formativa e augurio nelle Classi 1 A e 1 B del Liceo Statale "Enrico Fermi" di Canosa di Puglia(BT) ai ragazzi che gioiosamente hanno ascoltato la recitazione della filastrocca completa della notte di Pasqua, cantata bussando alle porte di amici e parenti in un valore di vita di relazione e di convivialità della festa.
Jàlze, jàlze, za cummère,
mitte d'òve jind'o panère,
la Quaréseme ò passète
e jò vògghie cammarà.
Jàlzete all'angammòse
dàmme d'ove ca m'à premmòse,
nan me ne vache, nan me move
e ce nan me dè d'ove,
nan me ne vache da stu pizze
se nan me dè la salezizze,
nan me ne vache da stu lète
se nan me dè la suppressète!
Alazati, alzati, zia commare,
metti le uova nel paniere,
la Quaresima è passata
e io voglio cammarare.
Alzati con la camicia da notte,
dammi le uova che mi hai promesso.
Non me ne vado, non mi muovo
se non mi dai le uova,
non me ne vado da questo punto
se non mi dai la salsiccia,
non me ne vado da questo lato
se non mi dai la soppressata.
Ma la filastrocca segue un filo conduttore nella Festa di Pasqua e si ritrova tavola nel giorno di Pasqua, nell'antipasto fatto con uova sode e soppressata e denominato "u Benedìtte". Tra lo stupore degli studenti Liceali, la Professoressa Fucci, Docente di Lettere, attesta: "è vero, a Barletta diciamo il Benedetto". Il capofamiglia con un messaggio benediva la tavola imbandita a festa e augurava "buon appetito!", in un'usanza della nostra terra benedetta dal Signore e dal lavoro dei campi. Mi raccomando a non esagerare con il verbo"cammarare" di origini napoletane, nel significato di "mangiare grasso" dopo il periodo di Quaresima, ma allora si faceva astinenza e digiuno e non c'erano le uova di cioccolato. Il dizionario napoletano dei Filopatridi del MDCCXXXIX riporta il lemma "cammarà" nel mangiare carne dopo il Venerdì, di Quaresima. Il lemma deriva dal greco καμάρα, ad indicare una camera da abitazione. E se "cammarare" significa "mangiare di grascio" , "scammarare" vuol dire "mangiare di magro".
Ma finiamo il pranzo con il dolce, con il dolce tradizionale di Pasqua, "la scarcella", di origine molfettese, ricoperta dalla glassa cruda del "cilèppe" aiutava, almeno nel nome a "scarcerare" dal peccato, benedetta in casa dal Sacerdote, come abbiamo raccontato dal 2015 nel libro di dialettologia "Sulle vie dei ciottoli", curato dalla mia persona. Ma diamo forma antropologica alle scarcelle nelle forme di latta, di cuore, di luna, di stella, di persona. Mi ricordo da bambino e torno al compito che mi assegnava la buonanima di mia madre, con una ciotola grande, con la forchetta in mano da frullatore manuale a sbattere l'albume d'uovo fino a montarlo per poi aggiungere lentamente lo zucchero e fare "u celéppe" e leccare col dito il residuo.
Gustosa Pasqua con "il Benedetto" dell'antipasto.
Dolce Pasqua con la "scarcella".
Buona Pasqua e Buona Pasquetta a tavola!
maestro Peppino Di Nunno
Nella riproduzione citare le fonti della ricerca.
Jàlze, jàlze, za cummère,
mitte d'òve jind'o panère,
la Quaréseme ò passète
e jò vògghie cammarà.
Jàlzete all'angammòse
dàmme d'ove ca m'à premmòse,
nan me ne vache, nan me move
e ce nan me dè d'ove,
nan me ne vache da stu pizze
se nan me dè la salezizze,
nan me ne vache da stu lète
se nan me dè la suppressète!
Alazati, alzati, zia commare,
metti le uova nel paniere,
la Quaresima è passata
e io voglio cammarare.
Alzati con la camicia da notte,
dammi le uova che mi hai promesso.
Non me ne vado, non mi muovo
se non mi dai le uova,
non me ne vado da questo punto
se non mi dai la salsiccia,
non me ne vado da questo lato
se non mi dai la soppressata.
Ma la filastrocca segue un filo conduttore nella Festa di Pasqua e si ritrova tavola nel giorno di Pasqua, nell'antipasto fatto con uova sode e soppressata e denominato "u Benedìtte". Tra lo stupore degli studenti Liceali, la Professoressa Fucci, Docente di Lettere, attesta: "è vero, a Barletta diciamo il Benedetto". Il capofamiglia con un messaggio benediva la tavola imbandita a festa e augurava "buon appetito!", in un'usanza della nostra terra benedetta dal Signore e dal lavoro dei campi. Mi raccomando a non esagerare con il verbo"cammarare" di origini napoletane, nel significato di "mangiare grasso" dopo il periodo di Quaresima, ma allora si faceva astinenza e digiuno e non c'erano le uova di cioccolato. Il dizionario napoletano dei Filopatridi del MDCCXXXIX riporta il lemma "cammarà" nel mangiare carne dopo il Venerdì, di Quaresima. Il lemma deriva dal greco καμάρα, ad indicare una camera da abitazione. E se "cammarare" significa "mangiare di grascio" , "scammarare" vuol dire "mangiare di magro".
Ma finiamo il pranzo con il dolce, con il dolce tradizionale di Pasqua, "la scarcella", di origine molfettese, ricoperta dalla glassa cruda del "cilèppe" aiutava, almeno nel nome a "scarcerare" dal peccato, benedetta in casa dal Sacerdote, come abbiamo raccontato dal 2015 nel libro di dialettologia "Sulle vie dei ciottoli", curato dalla mia persona. Ma diamo forma antropologica alle scarcelle nelle forme di latta, di cuore, di luna, di stella, di persona. Mi ricordo da bambino e torno al compito che mi assegnava la buonanima di mia madre, con una ciotola grande, con la forchetta in mano da frullatore manuale a sbattere l'albume d'uovo fino a montarlo per poi aggiungere lentamente lo zucchero e fare "u celéppe" e leccare col dito il residuo.
Gustosa Pasqua con "il Benedetto" dell'antipasto.
Dolce Pasqua con la "scarcella".
Buona Pasqua e Buona Pasquetta a tavola!
maestro Peppino Di Nunno
Nella riproduzione citare le fonti della ricerca.