Stilus Magistri
La fine di una capra d’agosto
Il vino de “La pédde de la crèpe”
mercoledì 22 agosto 2018
16.01
Nel vissuto del '900 di una mia poesia dialettale, "abbàsce a la gròtte", giù nelle cantine tufacee sotterrane di Canosa di Puglia(BT), ricordo le parole di mio nonno Peppino: "pròme de la guèrre s'ascennève le mìre che la pédde de la crèpe e ce capévene do quartère", "prima della Guerra si faceva scendere il vino con la pelle di capra e ci entravano due quartare". Scrivendo il libro di Dialettologia "Sulle vie dei ciottoli", nello stabilimento vinicolo e oleario Caputo - Di Nunno in via Carlo Alberto incontriamo la vegliarda Savina Di Nunno, con uno staio del 1956 e la dicitura "10 Rotoli". Ci racconta la vita, come diceva mio nonno: "che con la pèdde de la crèpe" si portava il vino giù in cantina. Nella ricerca nel territorio sulle vie del "nero di Troia", nelle cave sotterranee di Sabino Leone, il vegliardo padre Saverio Leone ci riporta il nome dell'otre caprino, detto "la mandégne": "si portava sulle spalle, con le zampe incrociate sul davanti". Il vocabolo "mandégne", si trova anche nel foggiano, nella poesia di Nicola Laratro: "mandégne sàpe a' spalle", riferito all'acquaiolo, con l'uso del sacco caprino di trasportare acqua o vino.
L'abbiamo ritrovata a Canosa nella fattoria del Professor Michele Di Giacomo, che custodisce un originale canosino della pelle di capra ad otre. L'etimologia latina del termine, rimanda, congiuntamente all'oggetto, al latino medievale "mantica", sacco (dicitur enim pera pastoralis) e al latino classico "mantica" (bisaccia). Il termine lo ritroviamo anche nel dizionario piemontese (bisaccia, mantica, pera bulga). La verifica dell'uso dell'otre di pelle di capra, di capacità di "due quartare" (20 litri), la ritrovo nel giugno del 2014, nel libro offertomi dal padre di Lucia Lenoci, scritto da Vittorio Schiraldi nel 1980: "Famiglie" di una storia canosina di Antonio Schiraldi, "u salatàure". A pag. 53 della suddetta opera, l'autore racconta un aspetto della prima metà del '900: "i bambini vedevano le pelli stese a seccare accanto agli usci, mentre i vecchi raccontavano una favola triste che portava l'inizio dell'autunno. Così la pecora cantava la sua sorte".
Dice la pecora alla frasca:
non vorrei venisse mai il mese di agosto
chè della carne mia ne fanno un pasto,
e con la pelle mia cárrano il mosto.
Abbiamo voluto riportare in dialetto canosino la nota favola.
Dòce la péchere a la fràsche,
nan vulésse c'arruésse mè u màse d'agùste,
ca da la carna màje fanne da mangè,
e che la pélla màje carràscene le mùste.
"Infatti le pelli si sarebbero mutate in otri di vino, gonfiandosi di nuovo sangue", come avveniva nell'antica Grecia e come ritroviamo nel viaggio di Ulisse, nell'Odissea scritta in greco nell'VI sec. a.C. dal poeta Omero. Il Libro IX dell'Odissea, da noi ritrovato nel testo, racconta l'approdo di Ulisse nell'isola dei Ciclopi, nella spelonca di Polifemo, citando al v. 196-197 la figura di Ulisse, che porta con sè un otre di pelle di capra pieno di vino nero e dolce, che gli aveva dato Marone, sacerdote di Apollo.
Dopo complesse ricerche troviamo il testo in greco, con la traduzione offertami da mio fratello, Professor Pasquale Di Nunno, da Vittorio Veneto: βῆν· ἀτὰρ αἴγεον ἀσκὸν ἔχον μέλανος οἴνοιο, ἡδέος, ὅν μοι δῶκε Μάρων, (mi avviai intanto portando un otre caprino di vino nero piacevole, che mi diede Marone). Pronunciamo il testo nella traslitterazione in italiano: bèn, atàr àigheon askòn échon mélanos òinoio, edéos, òn moi dòke Màron. Nel testo greco riscopriamo l'otre, l'askos caprino, "αἴγεον ἀσκὸν" (accusativo), pieno di vino, "οἴνοιο" (da oίnos, vino), nero, scuro (gr. μέλανος, 'mélanos' da cui deriva 'melanina') e piacevole (gr. ἡδέος, 'edéos', che deriva da edùs, dolce, piacevole). Anche nella Bibbia nel libro della Genesi (21, 14) "Abramo prese il pane e un otre di acqua". Insomma mio nonno Peppino, i nostri nonni dell'inizio '900, portavano l'otre caprino di vino nero come Ulisse nel VI sec. a. C.!
Naturalmente la pelle veniva scuoiata, gonfiandola per distaccarla intera dall'animale e poi veniva essiccata e conciata: era il tempo a Canosa in cui era diffuso il mestiere del pellaio, "u peddère", come lo zio di mia moglie, Pasquale Mammucci, emigrato a Bologna e come "Savόne u peddère" (Sabino Cannone). Anche in Piemonte troviamo l'otre caprino, esposto al Museo Etnografico di Mocchie, Frazione di Condove (Torino), in Val di Susa. La dottoressa Paola Tirone, nella ricerca di Dialettologia, cita l'otre, la cui foto ci viene gentilmente concessa dal Comune e dal Presidente della Pro Loco, in un legame di diverse Regioni d'Italia.
L'abbiamo ritrovata a Canosa nella fattoria del Professor Michele Di Giacomo, che custodisce un originale canosino della pelle di capra ad otre. L'etimologia latina del termine, rimanda, congiuntamente all'oggetto, al latino medievale "mantica", sacco (dicitur enim pera pastoralis) e al latino classico "mantica" (bisaccia). Il termine lo ritroviamo anche nel dizionario piemontese (bisaccia, mantica, pera bulga). La verifica dell'uso dell'otre di pelle di capra, di capacità di "due quartare" (20 litri), la ritrovo nel giugno del 2014, nel libro offertomi dal padre di Lucia Lenoci, scritto da Vittorio Schiraldi nel 1980: "Famiglie" di una storia canosina di Antonio Schiraldi, "u salatàure". A pag. 53 della suddetta opera, l'autore racconta un aspetto della prima metà del '900: "i bambini vedevano le pelli stese a seccare accanto agli usci, mentre i vecchi raccontavano una favola triste che portava l'inizio dell'autunno. Così la pecora cantava la sua sorte".
Dice la pecora alla frasca:
non vorrei venisse mai il mese di agosto
chè della carne mia ne fanno un pasto,
e con la pelle mia cárrano il mosto.
Abbiamo voluto riportare in dialetto canosino la nota favola.
Dòce la péchere a la fràsche,
nan vulésse c'arruésse mè u màse d'agùste,
ca da la carna màje fanne da mangè,
e che la pélla màje carràscene le mùste.
"Infatti le pelli si sarebbero mutate in otri di vino, gonfiandosi di nuovo sangue", come avveniva nell'antica Grecia e come ritroviamo nel viaggio di Ulisse, nell'Odissea scritta in greco nell'VI sec. a.C. dal poeta Omero. Il Libro IX dell'Odissea, da noi ritrovato nel testo, racconta l'approdo di Ulisse nell'isola dei Ciclopi, nella spelonca di Polifemo, citando al v. 196-197 la figura di Ulisse, che porta con sè un otre di pelle di capra pieno di vino nero e dolce, che gli aveva dato Marone, sacerdote di Apollo.
Dopo complesse ricerche troviamo il testo in greco, con la traduzione offertami da mio fratello, Professor Pasquale Di Nunno, da Vittorio Veneto: βῆν· ἀτὰρ αἴγεον ἀσκὸν ἔχον μέλανος οἴνοιο, ἡδέος, ὅν μοι δῶκε Μάρων, (mi avviai intanto portando un otre caprino di vino nero piacevole, che mi diede Marone). Pronunciamo il testo nella traslitterazione in italiano: bèn, atàr àigheon askòn échon mélanos òinoio, edéos, òn moi dòke Màron. Nel testo greco riscopriamo l'otre, l'askos caprino, "αἴγεον ἀσκὸν" (accusativo), pieno di vino, "οἴνοιο" (da oίnos, vino), nero, scuro (gr. μέλανος, 'mélanos' da cui deriva 'melanina') e piacevole (gr. ἡδέος, 'edéos', che deriva da edùs, dolce, piacevole). Anche nella Bibbia nel libro della Genesi (21, 14) "Abramo prese il pane e un otre di acqua". Insomma mio nonno Peppino, i nostri nonni dell'inizio '900, portavano l'otre caprino di vino nero come Ulisse nel VI sec. a. C.!
Naturalmente la pelle veniva scuoiata, gonfiandola per distaccarla intera dall'animale e poi veniva essiccata e conciata: era il tempo a Canosa in cui era diffuso il mestiere del pellaio, "u peddère", come lo zio di mia moglie, Pasquale Mammucci, emigrato a Bologna e come "Savόne u peddère" (Sabino Cannone). Anche in Piemonte troviamo l'otre caprino, esposto al Museo Etnografico di Mocchie, Frazione di Condove (Torino), in Val di Susa. La dottoressa Paola Tirone, nella ricerca di Dialettologia, cita l'otre, la cui foto ci viene gentilmente concessa dal Comune e dal Presidente della Pro Loco, in un legame di diverse Regioni d'Italia.
"Sulle vie dei ciottoli" siamo ritornati a Ferragosto con l'amico Sabino Mazzarella sulla via per eccellenza delle capre a Canosa, "o Crapellòtte" , corrispondente alla storica VIA ANFITEATRO, per evocare la storia della pelle di capra, "della pédde de la crèpe" dai tempi di Ulisse dell'Antica Grecia al '900 dei nostri nonni contadini, al tempo de le gruttàréule, che hanno scavato col piccone a mano le cavità tufacee di Canosa, adattate poi a cantine vinicole. Con le nostre pecore e capre, famose dalla storia di Roma dai tempi di Marziale, con il formaggio caprino "du salatàure", stillando un bicchiere di vino dall'otre caprino, facciamo festa tra tradizioni religiose e pagane romane delle Feriae Augusti, rinominate dalle Calende di Agosto nel 18 a. C. Feriae Augustales.
maestro Giuseppe Di Nunno
Il link del video "La pédde de la crèpe", a cura di Sabino Mazzarella : https://youtu.be/-7blCsvz24g
- Ricerca letteraria da citare nell'autore e nelle fonti-