Stilus Magistri
Necropoli di “Pietra Caduta” a Canosa
Scoperte le “tombe del carparo” nella dignità storica
giovedì 24 settembre 2015
20.43
Sulle vie storiche che ci conducono alle radici canosine della Daunia, tra Ipogei e tombe a grotticella, sotto il sole d'estate del 2015, il grembo roccioso della terra canosina ha svelato alla luce altre tombe daunie del IV e V sec. a.C., a seguito dello scavo già effettuato nell'estate del 2014 con le attività svolte e organizzate dalla Fondazione Archeologica Canosina, con la direzione della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia, nella persona della Dottoressa Marisa Corrente, cui porgiamo il nostro saluto. Come "viandanti" della storia di una città disseminata nel patrimonio archeologico, come "migranti" nei Musei nazionali d'Italia e d'Europa, ci rechiamo a visitare lo scavo, motivati dalla conoscenza e dall'appartenenza alle radici storiche, congiuntamente ad altri visitatori, con una rappresentanza della Fondazione Archeologica con il Presidente Sabino Silvestri, e con mons. Felice Bacco, cultore del territorio e con altri Sacerdoti, con cui rendiamo onore alle ossa umane dei nostri progenitori. Il culto antropologico e religioso dei defunti, ci richiama la pietas ed il rispetto delle ossa, riconoscendo che sono le ossa che fanno le tombe e che sono gli uomini che hanno fatto la storia anche dopo la morte, nell'eterno tra terra e cielo.
Dopo la cortese e competente presentazione dell'archeologa Dottoressa Maria Silvestri, nel silenzio dello spirito che ci riconduce nel tempo e nello spazio alle pietre sacre di 25 secoli scorsi, abbiamo offerto una preghiera con la guida di Don Felice Bacco, invocando il "riposo eterno" nella pace dell'Eterno e rendendo gloria agli uomini del passato. Si potrebbe ritenere superflua la preghiera già offerta nell'estate scorsa, ma le nuove ossa umane rinvenute richiedono la condivisione spirituale della preghiera, che, come il pane quotidiano, illumina ogni giorno il mistero della nascita e della morte e delle opere umane. Sono le opere che svelano la storia dal grembo di pietra degli antichi Sepolcri, che il poeta Foscolo scriverebbe nella "egregia corrispondenza di amorosi sensi", dove il livello di civiltà di un popolo si misura anche dalla cultura del culto dei morti e dove i secoli avanti Cristo della Daunia, come i secoli dell tombe, da noi presentate sulla vie dell'Ofanto del 3.500 avanti Cristo, non sono altro che "un battito di ciglia" di fronte all'eterno. Ma un battito di ciglia, lo colgo con emozione dalle parole di un giovane laureato, fra gli studenti dell'Università di Bari che scavano nella storia, da un mio ex alunno, Sabino L. che, collabora con l'archeologa, la quale ci parla di alcuni ritrovamenti di ossa di deposizioni in sarcofagi, interni alle tombe, di epoca successiva risalenti alla romanizzazione.
Si potrebbe dire che "et tamen saepe discipulus superat magistrum" in quelle lezioni di maestro di Storia degli anni '80 tra i banchi di Scuola Elementare, ma i testi classici modificano il verbo scrivendo "discipulus educat magistrum", quando il verbo latino "educere" è lo stesso scavo delle tombe che "educano" sulle vie diomedee e "portano fuori" i tesori e la bellezza della nostra terra natia. In questa terra natia raccolgo in dialetto canosino, da un anziano presente sul lavoro, la denominazione geomorfologica del luogo: "u càrpe", perché emerge il banco del carparo, che precede la roccia calcarenitica tufacea delle tufare che si stagliano in zona Costantinopoli. In una toponomastica le chiamerei le "tombe del carparo" di Canosa, che si affacciano da millenni sulla piana dell'Ofanto in maniera immutata: non sono state interrate dalla terra, ma si presentano, come osserva l'amico della Fondazione Franco D'Ambra, nella stessa maniera monumentale del V secolo avanti Cristo. In queste tombe, già trafugate in parte nel passato, accanto alle deposizioni funebri sono state riscoperte elementi di corredo quali un'olla geometrica, una fibula di bronzo, un guscio di tartaruga, una lucerna che ha illuminato la terra, le viscere ipogeiche tufacee, la tomba e l'oltretomba e oggi anche la nostra terra di "cives Canusii" dall'epoca ellenica a quella romana. "Siamo eredi…", ma putroppo non "custodi" di questo immenso patrimonio storico e archeologico della Città dei Principi ed Imperatori, dove forse solo i Vescovi hanno ritrovato il Museo dei Vescovi, mentre ci hanno portato via il Museo archeologico nazionale del Centenario dell'Unità d'Italia, tra i nostri supini silenzi. Auspichiamo che almeno si costruiscano numerosi viaggi virtuali nel sito web della Fondazione, dove poter visitare i tesori canosini emigrati in Italia e in Europa, dagli Ori di Canosa, alla Tavola dei Decurioni, ai vasi dei Musei d'Europa.
A guardia di ogni tomba e dell'oltretomba da furti di tombaroli e dalla nostra negligenza, porrei il Cerbero che ben conosciamo dall'ipogeo del Liceo Enrico Fermi, per custodire le tombe, nella proficua collaborazione degli Enti preposti alla tutela e valorizzazione. Ci soffermiamo con don Felice, con l'amico Sabino Mazzarella, con i visitatori presenti ai piedi delle tombe di Pietra Caduta, all'ombra di un fico selvatico, che forse era presente nel tipo di pianta mediterranea millenaria ad adornare la necropoli, che oggi si consegna alla città dei viventi. Il giorno dopo assaggiamo i fichi, ma non vuole essere un "consòlo funerario", ma il riscoprire i sapori della terra antica, tra i tesori della nostra terra antica.
maestro Peppino Di Nunno
Dopo la cortese e competente presentazione dell'archeologa Dottoressa Maria Silvestri, nel silenzio dello spirito che ci riconduce nel tempo e nello spazio alle pietre sacre di 25 secoli scorsi, abbiamo offerto una preghiera con la guida di Don Felice Bacco, invocando il "riposo eterno" nella pace dell'Eterno e rendendo gloria agli uomini del passato. Si potrebbe ritenere superflua la preghiera già offerta nell'estate scorsa, ma le nuove ossa umane rinvenute richiedono la condivisione spirituale della preghiera, che, come il pane quotidiano, illumina ogni giorno il mistero della nascita e della morte e delle opere umane. Sono le opere che svelano la storia dal grembo di pietra degli antichi Sepolcri, che il poeta Foscolo scriverebbe nella "egregia corrispondenza di amorosi sensi", dove il livello di civiltà di un popolo si misura anche dalla cultura del culto dei morti e dove i secoli avanti Cristo della Daunia, come i secoli dell tombe, da noi presentate sulla vie dell'Ofanto del 3.500 avanti Cristo, non sono altro che "un battito di ciglia" di fronte all'eterno. Ma un battito di ciglia, lo colgo con emozione dalle parole di un giovane laureato, fra gli studenti dell'Università di Bari che scavano nella storia, da un mio ex alunno, Sabino L. che, collabora con l'archeologa, la quale ci parla di alcuni ritrovamenti di ossa di deposizioni in sarcofagi, interni alle tombe, di epoca successiva risalenti alla romanizzazione.
Si potrebbe dire che "et tamen saepe discipulus superat magistrum" in quelle lezioni di maestro di Storia degli anni '80 tra i banchi di Scuola Elementare, ma i testi classici modificano il verbo scrivendo "discipulus educat magistrum", quando il verbo latino "educere" è lo stesso scavo delle tombe che "educano" sulle vie diomedee e "portano fuori" i tesori e la bellezza della nostra terra natia. In questa terra natia raccolgo in dialetto canosino, da un anziano presente sul lavoro, la denominazione geomorfologica del luogo: "u càrpe", perché emerge il banco del carparo, che precede la roccia calcarenitica tufacea delle tufare che si stagliano in zona Costantinopoli. In una toponomastica le chiamerei le "tombe del carparo" di Canosa, che si affacciano da millenni sulla piana dell'Ofanto in maniera immutata: non sono state interrate dalla terra, ma si presentano, come osserva l'amico della Fondazione Franco D'Ambra, nella stessa maniera monumentale del V secolo avanti Cristo. In queste tombe, già trafugate in parte nel passato, accanto alle deposizioni funebri sono state riscoperte elementi di corredo quali un'olla geometrica, una fibula di bronzo, un guscio di tartaruga, una lucerna che ha illuminato la terra, le viscere ipogeiche tufacee, la tomba e l'oltretomba e oggi anche la nostra terra di "cives Canusii" dall'epoca ellenica a quella romana. "Siamo eredi…", ma putroppo non "custodi" di questo immenso patrimonio storico e archeologico della Città dei Principi ed Imperatori, dove forse solo i Vescovi hanno ritrovato il Museo dei Vescovi, mentre ci hanno portato via il Museo archeologico nazionale del Centenario dell'Unità d'Italia, tra i nostri supini silenzi. Auspichiamo che almeno si costruiscano numerosi viaggi virtuali nel sito web della Fondazione, dove poter visitare i tesori canosini emigrati in Italia e in Europa, dagli Ori di Canosa, alla Tavola dei Decurioni, ai vasi dei Musei d'Europa.
A guardia di ogni tomba e dell'oltretomba da furti di tombaroli e dalla nostra negligenza, porrei il Cerbero che ben conosciamo dall'ipogeo del Liceo Enrico Fermi, per custodire le tombe, nella proficua collaborazione degli Enti preposti alla tutela e valorizzazione. Ci soffermiamo con don Felice, con l'amico Sabino Mazzarella, con i visitatori presenti ai piedi delle tombe di Pietra Caduta, all'ombra di un fico selvatico, che forse era presente nel tipo di pianta mediterranea millenaria ad adornare la necropoli, che oggi si consegna alla città dei viventi. Il giorno dopo assaggiamo i fichi, ma non vuole essere un "consòlo funerario", ma il riscoprire i sapori della terra antica, tra i tesori della nostra terra antica.
maestro Peppino Di Nunno