Stilus Magistri
Nel Giorno della Memoria gli internati italiani dimenticati
Dalla guerra si passò ai lager per 600.000 militari italiani
venerdì 16 gennaio 2009
11.31
Leggendo il portale di Canosaweb nelle note della SHOAH e del giorno della memoria, esprimo il mio apprezzamento alle insegnanti del 3° Circolo Didattico "M. Carella" per la rappresentazione del giorno della memoria. Non è solo un archivio storico del 900, ma un valore attuale di storia e di convivenza democratica dei popoli. Apprezzo che si citano ad integrazione le note dell'uccisione dei Vigili di Barletta e del bombardamento di Canosa, ma è una avvilente lacuna storica che da più parti nelle commemorazioni non si citino "i Soldati di Badoglio". Eppure una bibliografia dagli anni 90 in poi ha dato dignità a questi dimenticati dallo Stato e dalla storia.
Una storia che riguarda 600.000 militari italiani deportati in Germania come prigionieri di guerra. E' una storia che io scrivo e racconto dalle mani di mio padre, Giovanni Di Nunno, nato l'11 giugno del 1920, che ai figli insieme a mia madre Rosetta, vivente, ha riferito dell'odissea da cui è sopravvissuto. Mio padre parlava un po' di greco avendo fatto parte della Campagna di Grecia dello stato italiano durante il regime fascista. Il 3 settembre 1943 con il crollo del regime fascista, il nuovo capo di governo Pietro Badoglio ( da piccoli si usava questo nome inconsapevolmente in dialetto "stù Badoglie!"), firma la resa incondizionata agli Alleati, all'insaputa dei Tedeschi. "L'esercito italiano viene lasciato senza ordini in Italia e all'estero e trova accanto il forte esercito tedesco divenuto improvvisamente nemico".
Dalla guerra si passò ai lager e 600.000 militari italiani, (fra i quali mio padre e altri canosini nella campagna di Grecia), furono deportati in Germania, nei campi di prigionia militare e di lavoro coatto: 40.000 furono uccisi e 20.000 risultarono dispersi. Per ordine di Hitler i prigionieri di guerra, tutelati dalle Convenzioni di Ginevra, furono dichiarati Internati Militari Italiani (I.M.I.), che non beneficiarono nel periodo della prigionia degli aiuti della Croce Rossa Internazionale, con una mortalità di fame, di freddo e di malattia superiore di quattro volte alla mortalità dei prigionieri di guerra francesi. Venivano destinati anche al lavoro coatto di campagna e mio padre mi raccontava di essere stato internato nel campo di prigionia di Luckenwalde a sud e a 65 km da Berlino: era un Dulag, un campo di smistamento dei militari italiani.
I familiari di Canosa non ricevettero più notizie e la madre di mio padre, Angela Del Vento, non ricevendo più notizie dell'unico suo figlio maschio si vestì di nero per il lutto familiare. Poi come nel film di Benigni "La Vita è bella" con la Liberazione, mio padre da Berlino fece ritorno ai campi di Canosa… ed io sono nato! Quei militari italiani furono abbandonati dallo Stato e per i reduci non c'è mai stato alcun riconoscimento; anzi nel foglio matricolare di mio padre, richiesto per indagini storiche, c'è un buco nero, cioè una parte vuota lacunosa, in bianco che fa riscontro allo stato di abbandono dei militari catturati ed internati. Sarebbe giusto ancora oggi, raccogliere presso il Ministero, da me già contattato, presso le fonti dei campi di prigionia, questa memoria dei nostri padri!
Nel giorno della memoria dello sterminio degli Ebrei, della Shoah, si ricordino anche questi militari italiani, questi soldati morti e questi reduci canosini.
Da soldato mio padre, Giovanni Di Nunno, aveva imparato il greco, da internato aveva imparato il tedesco: ed io ricordo le sue parole in greco ed in tedesco come segno della Guerra e del Nazismo per apprezzare ancor più il valore della libertà dei popoli e della democrazia nella convivenza pacifica.
maestro Peppino Di Nunno
Una storia che riguarda 600.000 militari italiani deportati in Germania come prigionieri di guerra. E' una storia che io scrivo e racconto dalle mani di mio padre, Giovanni Di Nunno, nato l'11 giugno del 1920, che ai figli insieme a mia madre Rosetta, vivente, ha riferito dell'odissea da cui è sopravvissuto. Mio padre parlava un po' di greco avendo fatto parte della Campagna di Grecia dello stato italiano durante il regime fascista. Il 3 settembre 1943 con il crollo del regime fascista, il nuovo capo di governo Pietro Badoglio ( da piccoli si usava questo nome inconsapevolmente in dialetto "stù Badoglie!"), firma la resa incondizionata agli Alleati, all'insaputa dei Tedeschi. "L'esercito italiano viene lasciato senza ordini in Italia e all'estero e trova accanto il forte esercito tedesco divenuto improvvisamente nemico".
Dalla guerra si passò ai lager e 600.000 militari italiani, (fra i quali mio padre e altri canosini nella campagna di Grecia), furono deportati in Germania, nei campi di prigionia militare e di lavoro coatto: 40.000 furono uccisi e 20.000 risultarono dispersi. Per ordine di Hitler i prigionieri di guerra, tutelati dalle Convenzioni di Ginevra, furono dichiarati Internati Militari Italiani (I.M.I.), che non beneficiarono nel periodo della prigionia degli aiuti della Croce Rossa Internazionale, con una mortalità di fame, di freddo e di malattia superiore di quattro volte alla mortalità dei prigionieri di guerra francesi. Venivano destinati anche al lavoro coatto di campagna e mio padre mi raccontava di essere stato internato nel campo di prigionia di Luckenwalde a sud e a 65 km da Berlino: era un Dulag, un campo di smistamento dei militari italiani.
I familiari di Canosa non ricevettero più notizie e la madre di mio padre, Angela Del Vento, non ricevendo più notizie dell'unico suo figlio maschio si vestì di nero per il lutto familiare. Poi come nel film di Benigni "La Vita è bella" con la Liberazione, mio padre da Berlino fece ritorno ai campi di Canosa… ed io sono nato! Quei militari italiani furono abbandonati dallo Stato e per i reduci non c'è mai stato alcun riconoscimento; anzi nel foglio matricolare di mio padre, richiesto per indagini storiche, c'è un buco nero, cioè una parte vuota lacunosa, in bianco che fa riscontro allo stato di abbandono dei militari catturati ed internati. Sarebbe giusto ancora oggi, raccogliere presso il Ministero, da me già contattato, presso le fonti dei campi di prigionia, questa memoria dei nostri padri!
Nel giorno della memoria dello sterminio degli Ebrei, della Shoah, si ricordino anche questi militari italiani, questi soldati morti e questi reduci canosini.
Da soldato mio padre, Giovanni Di Nunno, aveva imparato il greco, da internato aveva imparato il tedesco: ed io ricordo le sue parole in greco ed in tedesco come segno della Guerra e del Nazismo per apprezzare ancor più il valore della libertà dei popoli e della democrazia nella convivenza pacifica.
maestro Peppino Di Nunno