Stilus Magistri
Tra tradizione e dialetto: "U tavelìre" di Canosa
Lo strumento di operosità della massaia in casa
sabato 30 aprile 2022
22.35
Il 1° Maggio evoca la figura di un artigiano santo, San Giuseppe lavoratore, artigiano del legno in Palestina. Dalle mani degli artigiani del legno facciamo lettura di un manufatto di legno, che diventava strumento di operosità della massaia in casa: "il tavoliere", noto in dialetto "u tavelìre". Su un tavolo di lavoro di legno le mani della massaia dal Medioevo ad oggi hanno impastato con le mani e col matterello la farina per fare pane, focaccia e dolci tradizionali.
Nella civiltà contadina dell'800 e del '900 le nostre madri si svegliavano di notte per impastare il pane di una settimana, mentre il padre provvedeva a "governare" il cavallo per preparare il carretto e partire col lume a petrolio per i campi. Ricordo le mani infarinate di mia madre Rosetta con il grembiule e il fazzoletto bianco sul capo per raccogliere i capelli, detto in dialetto "u taccatòne", una sorta di bandana bianca della massaia, che veniva "attaccata" a legare i capelli per igiene nella lavorazione della pasta. Ne conservo una foto riportata sul libro di Dialettologia "Sulle vie dei ciottoli" del 2015, mentre era intenta a fare le orecchiette sul tavoliere, come opera ancora oggi mia moglie Elena intenta sul tavoliere ad "arrenghè", a mettere "li cuppetìdde" ben allineati. Ma l'ho incontrato per strada di fronte alla Scuola in via Santa Lucia, nelle mani di una signora intenta a "scuzzelè" le mandorle, a smallare le mandorle, eliminando il mallo dopo la raccolta dai nostri campi.
Il tavoliere, l'antico strumento di lavoro della massaia fa parte delle tecnologie alimentari di legno. Questa spianatoia di legno nel nostro territorio di Canosa di Puglia viene chiamato in vernacolo "u tavelìre", "il tavoliere", che richiama la tavola e forse anche la piana del Tavoliere delle Puglie da Canosa a Foggia, terra di campi di grano. Questa "spianatoia" di legno che serviva per "spianare" la pasta col matterello, detta "u tavelìre" canosino della massaia in Campania lo chiamano "tumpàgno", mentre a Venosa lo chiamano "scannatrìdde" e si poggiava nel lavoro su due sedie.
Come ci confermano le donne anziane viventi il "tavoliere" faceva parte del corredo della dote della sposa con la tavola di legno lunga che usavano anche i fornai. Lo ritroviamo nei documenti notarili del corredo della sposa: "una madia, un tavoliere, dodici sedie...". Lo ritroviamo in immagine in una miniatura del XV secolo, custodita nella Biblioteca Nazionale d'Austria a Vienna, dove il ripiano è posato su quattro colonnine a terra con la massaia intenta alla lavorazione della pasta fresca: "mùnne jève e mùnne jà" sulla linea del tempo.
Il tavoliere viene evocato in una bella poesia a Lucera in vernacolo dello scrittore Enrico Venditti (1900-1994) A DUMÈNECHE
Mamme, assettate 'nnante u tavelire,
arrènghe i cicatille a vune a vune,
i cecatille de farina nèreve
ca so saprite c'a recotta toste.
La Domenica
La madre, seduta davanti alla spianatoia,
allinea le orecchiette una a una,
orecchiette di farina di grano arso
che sono saporite con la ricotta dura.
Ed è proprio all'Istituto I.S.S. "L. Einaudi"- Enogastronomia ed Ospitalità Alberghiera - diretto dalla Professoressa Brigida Caporale dove sono approdati due "tavolieri" di legno nell'iniziativa formativa degli Studenti per la "scarcella" di Pasqua nel giorno 8 aprile 2022. Qui fra gli studenti dell'Alberghiero sono approdati due "tavolieri", uno antico donato dalla gentilissima nonna Grazia Acquaviva e l'altro fatto mano da Gino Caravella in memoria del padre Giuseppe Caravella, ebanista, che abbiamo conosciuto e apprezzato nelle doti umane e nel talento artigianale. Lo vedo a casa mia nelle mani operose, ma portiamolo a Scuola, tra le mani dei bambini e degli studenti, riscoprendo la manualità oggi impoverita dal digitale e giochiamo con la pasta fresca e facciamo i sapori da portare a tavola e da gustare. Buon tavoliere!
Maestro Peppino Di Nunno
Nella civiltà contadina dell'800 e del '900 le nostre madri si svegliavano di notte per impastare il pane di una settimana, mentre il padre provvedeva a "governare" il cavallo per preparare il carretto e partire col lume a petrolio per i campi. Ricordo le mani infarinate di mia madre Rosetta con il grembiule e il fazzoletto bianco sul capo per raccogliere i capelli, detto in dialetto "u taccatòne", una sorta di bandana bianca della massaia, che veniva "attaccata" a legare i capelli per igiene nella lavorazione della pasta. Ne conservo una foto riportata sul libro di Dialettologia "Sulle vie dei ciottoli" del 2015, mentre era intenta a fare le orecchiette sul tavoliere, come opera ancora oggi mia moglie Elena intenta sul tavoliere ad "arrenghè", a mettere "li cuppetìdde" ben allineati. Ma l'ho incontrato per strada di fronte alla Scuola in via Santa Lucia, nelle mani di una signora intenta a "scuzzelè" le mandorle, a smallare le mandorle, eliminando il mallo dopo la raccolta dai nostri campi.
Il tavoliere, l'antico strumento di lavoro della massaia fa parte delle tecnologie alimentari di legno. Questa spianatoia di legno nel nostro territorio di Canosa di Puglia viene chiamato in vernacolo "u tavelìre", "il tavoliere", che richiama la tavola e forse anche la piana del Tavoliere delle Puglie da Canosa a Foggia, terra di campi di grano. Questa "spianatoia" di legno che serviva per "spianare" la pasta col matterello, detta "u tavelìre" canosino della massaia in Campania lo chiamano "tumpàgno", mentre a Venosa lo chiamano "scannatrìdde" e si poggiava nel lavoro su due sedie.
Come ci confermano le donne anziane viventi il "tavoliere" faceva parte del corredo della dote della sposa con la tavola di legno lunga che usavano anche i fornai. Lo ritroviamo nei documenti notarili del corredo della sposa: "una madia, un tavoliere, dodici sedie...". Lo ritroviamo in immagine in una miniatura del XV secolo, custodita nella Biblioteca Nazionale d'Austria a Vienna, dove il ripiano è posato su quattro colonnine a terra con la massaia intenta alla lavorazione della pasta fresca: "mùnne jève e mùnne jà" sulla linea del tempo.
Il tavoliere viene evocato in una bella poesia a Lucera in vernacolo dello scrittore Enrico Venditti (1900-1994) A DUMÈNECHE
Mamme, assettate 'nnante u tavelire,
arrènghe i cicatille a vune a vune,
i cecatille de farina nèreve
ca so saprite c'a recotta toste.
La Domenica
La madre, seduta davanti alla spianatoia,
allinea le orecchiette una a una,
orecchiette di farina di grano arso
che sono saporite con la ricotta dura.
Ed è proprio all'Istituto I.S.S. "L. Einaudi"- Enogastronomia ed Ospitalità Alberghiera - diretto dalla Professoressa Brigida Caporale dove sono approdati due "tavolieri" di legno nell'iniziativa formativa degli Studenti per la "scarcella" di Pasqua nel giorno 8 aprile 2022. Qui fra gli studenti dell'Alberghiero sono approdati due "tavolieri", uno antico donato dalla gentilissima nonna Grazia Acquaviva e l'altro fatto mano da Gino Caravella in memoria del padre Giuseppe Caravella, ebanista, che abbiamo conosciuto e apprezzato nelle doti umane e nel talento artigianale. Lo vedo a casa mia nelle mani operose, ma portiamolo a Scuola, tra le mani dei bambini e degli studenti, riscoprendo la manualità oggi impoverita dal digitale e giochiamo con la pasta fresca e facciamo i sapori da portare a tavola e da gustare. Buon tavoliere!
Maestro Peppino Di Nunno