Stilus Magistri

Un brindisi di vino dall’otre caprino

In dialetto “La pédde de la crèpe”

Mentre l'anno volge verso la fine, "Sulle vie dei ciottoli del dialetto canosino" abbiamo incontrato la gentilissima signora Franca Schiraldi, la nipote "di Salatàure". Con la sua lieta condivisione abbiamo sfogliato una pagina dell'opera di dialettologia tra pelli di capra ad essiccare al sole, tra formaggi da salare, tra greggi di pecore e capre, tra pastori del nostro paese, tra otri caprini da Ulisse ai padri del '900, che portano il vino "abbàsce a la gròtte" e da cui leviamo i calici al nuovo anno che si affaccia all'orizzonte. Intanto accogliamo i pastori sui ciottoli del Regio Tratturo del Ponte Romano
https://www.youtube.com/watch?v=kIWd1b7PDF4
Dalla ricerca di dialettologia del libro "Sulle vie dei ciottoli del dialetto canosino" a cura del maestro Giuseppe Di Nunno.
"La gròtte".
Esistevano circa 150 grotte tufacee a Canosa di Puglia, adibite dopo l'estrazione del tufo a cantine vinicole sotterranee. Le ho vissute da ragazzo con mio padre Giovanni e mio nonno Peppino con la lucernédde ad olio e le ho evocate nella poesia in dialetto "abbàsce a la gròtte". Le grotte acquisivano il nome del proprietario del tinale (Petroni, Sinesi, e altri).Nello stabilimento Caputo - Di Nunno incontriamo la vegliarda Di Nunno Savina, con uno staio del 1956 e la dicitura "10 Rotoli"; ci racconta la vita, come mi diceva mio nonno: "che la pèdde de la crèpe" si scendeva il vino giù in cantina. Sulle vie del "nero di Troia", nelle cave sotterranee di Sabino Leone, il vegliardo padre Saverio Leone ci riporta il nome dell'otre caprino, detto "la mandégne": "si portava sulle spalle, con le zampe incrociate sul davanti". Il vocabolo "mandégne", si trova anche nel foggiano, nella poesia di Nicola Laratro: "mandégne sope a' spalle", riferito all'acquaiolo, con l'uso del sacco caprino di trasportare acqua o vino. L'etimologia latina del termine, rimanda, congiuntamente all'oggetto, al latino medievale "mantica", sacco (dicitur enim pera pastoralis) e al latino classico "mantica" (bisaccia). Il termine lo ritroviamo anche nel dizionario piemontese (bisaccia, mantica, pera bulga).

La verifica dell'uso dell'otre di pelle di capra, di capacità di "due quartare" (20 litri), la ritrovo nel giugno del 2014, nel libro ritrovato dalle mani dell'ostetrica Caterina Cannone, "la vammère detta la pellère", in quanto figlia di un pellaio, conciatore di pelli e offertomi dalla figlia Lucia Lenoci, scritto da Vittorio Schiraldi nel 1980: "Famiglie" di una storia canosina di Antonio Schiraldi, "u Salatàure" (salatore di formaggi). A pag. 53 della suddetta opera, l'autore racconta un aspetto della prima metà del '900: "i bambini vedevano le pelli stese a seccare accanto agli usci, mentre i vecchi raccontavano una favola triste che raccontava l'inizio dell'autunno. Così la pecora cantava la sua sorte".

Dice la pecora alla frasca:
non vorrei venisse mai il mese di agosto
chè della carne mia ne fanno un pasto,
e con la pelle mia carrano il mosto.

Abbiamo riportato in dialetto canosino la nota favola.
Dòce la péchere a la fràsche,
nan vulésse c'arruésse mè
u màse d'agùste,
ca da la carna màje
fanne da mangè,
e che la pélla màje
carràscene le mùste.

"Infatti le pelli si sarebbero mutate in otri di vino, gonfiandosi di nuovo sangue", come avveniva nell'antica Grecia e come ritroviamo nel viaggio di Ulisse, nell'odissea scritta in greco nell'VI sec. a.C. dal poeta Omero.Il Libro IX racconta l'approdo di Ulisse nell'isola dei Ciclopi, nella spelonca di Polifemo, citando al v. 196-197 la figura di Ulisse, che porta con sè un otre di pelle di capra pieno di vino nero e dolce, che gli aveva dato Marone, sacerdote di Apollo. Dopo complessa ricerca troviamo il testo in greco, con la traduzione offertami da mio fratello, prof. Pasquale Di Nunno, da Vittorio Veneto: βῆν· ἀτὰρ αἴγεον ἀσκὸν ἔχον μέλανος οἴνοιο, ἡδέος, ὅν μοι δῶκε Μάρων, (mi avviai intanto portando un otre caprino di vino nero piacevole, che mi diede Marone).

Pronunciamo il testo: bèn, atàr àigheon askòn échon mélanos òinoio, edéos, òn moi dòke Màron.Nel testo greco riscopriamo l'otre, l'askos caprino, "αἴγεον ἀσκὸν" (accusativo), pieno di vino, "οἴνοιο" (da oίnos, vino), nero, scuro (gr. μέλανος, 'mélanos' da cui deriva 'melanina') e piacevole (gr. ἡδέος, 'edéos', che deriva da edùs, dolce, piacevole).
Anche nel libro della Genesi (21, 14) "Abramo prese il pane e un otre di acqua". Insomma mio nonno nel '900, portava l'otre caprino di vino nero come Ulisse nel VI sec. a.C.! Naturalmente la pelle veniva scuoiata, gonfiandola per distaccarla intera dall'animale e poi veniva conciata: era il tempo a Canosa in cui era diffuso il mestiere del pellaio, "u peddère", come lo zio di mia moglie, Pasquale Mammucci, emigrato a Bologna e come "Savόne u peddère" (Sabino Cannone). Anche in Piemonte troviamo l'otre caprino, esposto al Museo Etnografico di Mocchie, Frazione di Condove (Torino), in Val di Susa. La dott.ssa Paola Tirone, nella ricerca di Dialettologia, cita l'otre, la cui foto ci viene gentilmente concessa dal Comune e dal Presidente della Pro Loco. Ili 13 dicembre scorso, provvidenzialmente, abbiamo incontrato in un negozio su Via Corsica la vegliarda gentildonna Filomena Sinesi e la signora Franca Schiraldi, la nipote "du Salatàure": la ricerca si è compiuta nella sua testimonianza vivente. Saluti o Salatàure con un brindisi di vino dall'otre caprino!
Maestro Peppino Di Nunno
Otre Caprino Museo Etnografico di MocchiePeppino Di Nunno con Donna Filomena SinesiMaestro Di Nunno con la nipote du salatàure
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