Le lettere di Agata Pinnelli
Gli Ori di Canosa
Uno stimolo per progettare il futuro.
domenica 17 gennaio 2016
22.04
L'Università della Terza Età continua ad invitare la cittadinanza canosina a partecipare al Convivio culturale del lunedì per offrire l'opportunità di mettere in atto quella educazione permanente, fortificandoci nella consapevolezza che la cultura è un cibo di cui non possiamo fare a meno per alimentare la nostra identità attraverso la "memoria collettiva" del nostro passato, di progettare il futuro ed aprire il nostro territorio alle sfide del mondo globale. Senza il recupero del nostro passato non abbiamo identità, né sviluppo, né capacità di continuare a scrivere la nostra storia contestualizzata nell'oggi con la stessa incisività e autoctonia che ci ha contraddistinti nel passato. Ed è proprio il nostro passato che ci spinge a "sporcare" le mani in un impegno responsabile a conservare ed alimentare continuamente la nostra fierezza di essere degni figli di un passato tanto grande, nonché eliminare quel senso di grandezza nostalgica che diventa sterile anziché fecondare il futuro. In questo contesto si è inserito il banchetto degli Ori di Canosa, che tanto ha colpito e colpisce l'immaginario collettivo canosino, con gli interventi del dott. Sandro Sardella del 30 novembre 2015, direttore organizzativo del Museo dei Vescovi di Canosa e del dott. Francesco Morra, storico e documentarista, il quale lo scorso 11 gennaio 2016 ha illustrato le incredibili avventure degli Ori di Canosa e Taranto durante la Seconda Guerra mondiale da parte della Banca Commerciale Italiana della filiale di Parma. L'argomento è frutto di uno studio appassionato sulla storia della Puglia nel periodo bellico, scritto e pubblicato nella monografia "Salvi e intattissimi", La Banca Commerciale Italiana e la protezione degli ori di Taranto (1943 – 1945). Gli Ori di Canosa ed il luogo strettamente connesso con il tesoro ritrovato, noto come la "Tomba degli Ori", hanno alimentato la passione immaginativa di chiunque abbia inteso il fascino autentico del rinvenimento del 1928, come afferma l'esperta Marisa Corrente.
La scoperta eccezionale del valore degli oggetti, ori, argenti di straordinaria bellezza, ha distolto l'attenzione per la tomba, verso la quale è mancato un rispettoso approccio informativo topografico, tutti preoccupati di redigere relazioni sempre più adeguate sul rinvenimento definito "in apparenza pregevole". La Tomba degli Ori, era ubicata nell'asse stradale della via Cerignola, parallela nel tratto iniziale all'Appia Traiana, non lontano dall'omonimo Arco onorario, venuta alla luce durante i lavori di posa della condotta fognante. La sua articolazione architettonica e monumentale apparve secondaria anche all'archeologo Bartoccini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Taranto e poi sovrintendente ai monumenti e agli scavi delle Puglie, condannando la tomba al suo abbandono e al silenzio. La pubblicazione del complesso degli ori e degli argenti recuperati tra il 23 – 24 maggio del 1928 ad opera del Bartoccini, attesta da una parte i tempi velocissimi del restauro da lui compiuto, dall'altra preannunzia il ritorno a Canosa del corredo dopo una breve separazione. Non era stata traumatica allora la separazione degli ori ed è col clamore suscitato dalla Mostra d'Arte Antica allestita a Taranto nel 1934 che fanno ritorno in un luogo finalmente pensato per accoglierli. Il 1934 segna un magico momento negli equilibri non sempre felici tra la ricerca archeologica e la città di Canosa; nasce infatti un museo civico sull'onda dell'entusiasmo di quei giorni frenetici del 1928. Il museo che ospita gli "ori" diventa luogo di celebrazione dell'epopea canosina e di una nobiltà della stirpe, testimoniata dall'incredibile bellezza del ricchissimo corredo. Ori e argenti costituiscono, infatti, insieme a preziosi vetri in parte recuperati e a ceramiche, quest'ultime disperse, il corredo di un'aristocratica canosina, Opaka Sabaleidas, proprietaria della teca d'argento a forma di conchiglia, splendido esemplare della metallotecnica tarantina; grazie allo studio del Bartoccini esso è ormai legato ad una bellissima leggenda: quella della fanciulla quattordicenne, sepolta assieme alle sue cose più preziose (22 pezzi), gioielli di fattura ellenistica, costituenti, la collezione nazionale più pregiata degli ori di Taranto che ne conta duecento propriamente suoi, secondo valutazioni accurate di esperti. Con la vaghezza delle figure ormai entrate nel mito, Opaka Sabaleidas vive nell'immaginario collettivo accanto ad una figura di ben diverso spessore storico, quella Busa, ricordata dallo storico romano Livio, generosissima aristocratica pronta ad accogliere e a sfamare i contingenti romani dopo la battaglia di Canne. E ben si addicono alla fanciulla il diadema e lo scettro d'oro, simbolo quest'ultimo di indiscutibile e attestata autorità.
La II Guerra mondiale determinò l'appartenenza di questo nostro preziosissimo ed unico patrimonio agli ori di Taranto. Infatti su disposizione del sovrintendente Ciro Drago, la collezione della tomba degli ori, nell'aprile del 1941 riprese la via di Taranto, con l'intento di salvaguardarla da eventuali attacchi aerei nel corso del conflitto. Una scelta non molto oculata, racconta lo storico Morra, dal momento che Taranto costituiva la base navale di rifornimenti militari e pertanto un obiettivo più appetibile da colpire per gli alleati rispetto a Canosa; una scelta però che si rivelò preziosa dal momento che la nostra città, fu sottoposta ad un bombardamento per tragici errori, proprio nei luoghi viciniori al museo. Cosa sarebbe accaduto ai nostri cari ori? È una valida motivazione che ha giustificato ai nostri occhi la via del ritorno a Taranto, ma non ne giustifica il non ritorno. Fu così, racconta il relatore con passione, che gli Ori di Canosa seguirono e condivisero le sorti e le avventure degli ori di Taranto nel garantire una protezione di massima sicurezza. Infatti tali preziosi racchiusi in due cassette furono portati da Taranto a Parma nel febbraio del 1943, su disposizione del ministro Bottai per custodirli nei caveau blindati della Banca Commerciale Italiana ritenuti a prova di bombardamenti aerei. Angosce e preoccupazioni della Sovrintendenza di Taranto sulla sorte degli ori si moltiplicarono dopo l'8 settembre del 43, quando si interruppe ogni comunicazione dopo che l'Italia rimase divisa in due, la Repubblica di Salò e l'Italia liberata. Avvincente il racconto dei tentativi compiuti dalla RSI per impossessarsi degli ori e le tattiche dilatatorie messe in atto dalla filiale di Parma per evitare la consegna delle cassette e far giungere così gli ori fino a noi "Salvi e intattissimi". Il relatore con il suo originale racconto è riuscito ad affascinare tutti i presenti, proiettandoli in una sinergia emotiva al pensiero del grande rischio patito dalla nostra carissima collezione, che non finisce mai di incantare gli innumerevoli visitatori che si soffermano davanti alla speciale vetrina del museo Archeologico di Taranto, il Marta, sperando che tale Bellezza diventi un richiamo a visitare il nostro paese, un museo diffuso lungo tutto il suo territorio. Lo stimolo che ha pervaso il cuore di quanti amano la nostra città, alla fine della conferenza, è stato quello di uscire dal torpore della rassegnazione con la convinzione che possiamo ripartire dalla salvaguardia dei tesori rimasti, che ne sono tanti, prendere coscienza del loro valore e rivalutarli insieme alle strutture che abbiamo attraverso mostre tematiche temporanee, in cui tornano a casa le nostre memorie (in questa attività emergono molti nostri giovani competenti). Solo così si potrà accendere la speranza di portare alla luce anche reperti seppelliti nei sotterranei delle sovrintendenze museali.
Agata Pinnelli
La scoperta eccezionale del valore degli oggetti, ori, argenti di straordinaria bellezza, ha distolto l'attenzione per la tomba, verso la quale è mancato un rispettoso approccio informativo topografico, tutti preoccupati di redigere relazioni sempre più adeguate sul rinvenimento definito "in apparenza pregevole". La Tomba degli Ori, era ubicata nell'asse stradale della via Cerignola, parallela nel tratto iniziale all'Appia Traiana, non lontano dall'omonimo Arco onorario, venuta alla luce durante i lavori di posa della condotta fognante. La sua articolazione architettonica e monumentale apparve secondaria anche all'archeologo Bartoccini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Taranto e poi sovrintendente ai monumenti e agli scavi delle Puglie, condannando la tomba al suo abbandono e al silenzio. La pubblicazione del complesso degli ori e degli argenti recuperati tra il 23 – 24 maggio del 1928 ad opera del Bartoccini, attesta da una parte i tempi velocissimi del restauro da lui compiuto, dall'altra preannunzia il ritorno a Canosa del corredo dopo una breve separazione. Non era stata traumatica allora la separazione degli ori ed è col clamore suscitato dalla Mostra d'Arte Antica allestita a Taranto nel 1934 che fanno ritorno in un luogo finalmente pensato per accoglierli. Il 1934 segna un magico momento negli equilibri non sempre felici tra la ricerca archeologica e la città di Canosa; nasce infatti un museo civico sull'onda dell'entusiasmo di quei giorni frenetici del 1928. Il museo che ospita gli "ori" diventa luogo di celebrazione dell'epopea canosina e di una nobiltà della stirpe, testimoniata dall'incredibile bellezza del ricchissimo corredo. Ori e argenti costituiscono, infatti, insieme a preziosi vetri in parte recuperati e a ceramiche, quest'ultime disperse, il corredo di un'aristocratica canosina, Opaka Sabaleidas, proprietaria della teca d'argento a forma di conchiglia, splendido esemplare della metallotecnica tarantina; grazie allo studio del Bartoccini esso è ormai legato ad una bellissima leggenda: quella della fanciulla quattordicenne, sepolta assieme alle sue cose più preziose (22 pezzi), gioielli di fattura ellenistica, costituenti, la collezione nazionale più pregiata degli ori di Taranto che ne conta duecento propriamente suoi, secondo valutazioni accurate di esperti. Con la vaghezza delle figure ormai entrate nel mito, Opaka Sabaleidas vive nell'immaginario collettivo accanto ad una figura di ben diverso spessore storico, quella Busa, ricordata dallo storico romano Livio, generosissima aristocratica pronta ad accogliere e a sfamare i contingenti romani dopo la battaglia di Canne. E ben si addicono alla fanciulla il diadema e lo scettro d'oro, simbolo quest'ultimo di indiscutibile e attestata autorità.
La II Guerra mondiale determinò l'appartenenza di questo nostro preziosissimo ed unico patrimonio agli ori di Taranto. Infatti su disposizione del sovrintendente Ciro Drago, la collezione della tomba degli ori, nell'aprile del 1941 riprese la via di Taranto, con l'intento di salvaguardarla da eventuali attacchi aerei nel corso del conflitto. Una scelta non molto oculata, racconta lo storico Morra, dal momento che Taranto costituiva la base navale di rifornimenti militari e pertanto un obiettivo più appetibile da colpire per gli alleati rispetto a Canosa; una scelta però che si rivelò preziosa dal momento che la nostra città, fu sottoposta ad un bombardamento per tragici errori, proprio nei luoghi viciniori al museo. Cosa sarebbe accaduto ai nostri cari ori? È una valida motivazione che ha giustificato ai nostri occhi la via del ritorno a Taranto, ma non ne giustifica il non ritorno. Fu così, racconta il relatore con passione, che gli Ori di Canosa seguirono e condivisero le sorti e le avventure degli ori di Taranto nel garantire una protezione di massima sicurezza. Infatti tali preziosi racchiusi in due cassette furono portati da Taranto a Parma nel febbraio del 1943, su disposizione del ministro Bottai per custodirli nei caveau blindati della Banca Commerciale Italiana ritenuti a prova di bombardamenti aerei. Angosce e preoccupazioni della Sovrintendenza di Taranto sulla sorte degli ori si moltiplicarono dopo l'8 settembre del 43, quando si interruppe ogni comunicazione dopo che l'Italia rimase divisa in due, la Repubblica di Salò e l'Italia liberata. Avvincente il racconto dei tentativi compiuti dalla RSI per impossessarsi degli ori e le tattiche dilatatorie messe in atto dalla filiale di Parma per evitare la consegna delle cassette e far giungere così gli ori fino a noi "Salvi e intattissimi". Il relatore con il suo originale racconto è riuscito ad affascinare tutti i presenti, proiettandoli in una sinergia emotiva al pensiero del grande rischio patito dalla nostra carissima collezione, che non finisce mai di incantare gli innumerevoli visitatori che si soffermano davanti alla speciale vetrina del museo Archeologico di Taranto, il Marta, sperando che tale Bellezza diventi un richiamo a visitare il nostro paese, un museo diffuso lungo tutto il suo territorio. Lo stimolo che ha pervaso il cuore di quanti amano la nostra città, alla fine della conferenza, è stato quello di uscire dal torpore della rassegnazione con la convinzione che possiamo ripartire dalla salvaguardia dei tesori rimasti, che ne sono tanti, prendere coscienza del loro valore e rivalutarli insieme alle strutture che abbiamo attraverso mostre tematiche temporanee, in cui tornano a casa le nostre memorie (in questa attività emergono molti nostri giovani competenti). Solo così si potrà accendere la speranza di portare alla luce anche reperti seppelliti nei sotterranei delle sovrintendenze museali.
Agata Pinnelli