Le lettere di Agata Pinnelli
La parità di genere: dalla memoria storica al presente, un traguardo disatteso.
Antonietta De Pace, la salentina innamorata dell’Italia e della Libertà.
giovedì 19 marzo 2015
22.38
Oggi continuare a discriminare la dignità delle donne è un segno di arretratezza morale, civile e politica in quanto, pur essendovi il riconoscimento giuridico delle pari opportunità fra uomo e donna, nel quotidiano dell'ambito domestico e professionale continuano le discriminazioni che non solo offendono la dignità della persona, ma con il persistere degli ostacoli pregiudizievoli ad una reale parità tra uomo e donna, si nega la possibilità di una libera autorealizzazione che favorisca lo sviluppo di quei talenti unici e necessari alla crescita di una società civile, al progresso, al benessere di ogni cittadino. Discriminare le donne nel lavoro, nell'economia, nella storia, nella scienza, nella cultura significa non poter spiccare il volo per esplorare nuovi orizzonti che consentono ad ogni società di ripartire, mettersi in gioco per capire e gestire la complessità che i livelli tecnologici, scientifici ci pongono come sfide. Per realizzare una parità reale tra i sessi con pari opportunità nella gestione responsabile di sé come soggetto etico, civico, politico, culturale, economico, oggi non bastano solo i correttivi giuridici, ma interventi concreti che alimentino una coscienza nuova della storia comune in cui uomini e donne si riconoscono come artefici della identità nazionale. Bisogna compiere una lotta di liberazione della memoria da un oblio persistente per riportare nel patrimonio storico - culturale comune donne che si sono distinte in ogni campo in modo che le nuove generazioni si confrontino con modelli ulteriori e altrettanto validi di appartenenza al proprio territorio nazionale o locale che sia.
Celebrare le donne che hanno reso grande il nome degli italiani è un atto doveroso di restituzione valoriale al patrimonio di identità della nazione, perché il futuro si può costruire con consapevolezza quando affonda le sue radici nella memoria per scrivere pagine nuove migliorando e non ripetendo gli errori del passato. Facendo riferimento alla nota del ministro della Pubblica Istruzione sulla giornata dell'Unità Nazionale, della Costituzione dell'Inno e della Bandiera, che si celebra il 17 marzo di ogni anno come solennità civile, in occasione della ricorrenza del giorno di 154 anni fa in cui fu proclamato il Regno di Italia, istituita con la legge 222 del 23 novembre del 2012, mi piace celebrare le donne di oggi, liberando dall'oblio il grandissimo apporto risorgimentale di una nostra conterranea salentina che, insieme a tantissime altre donne, contribuì fortemente alla realizzazione del Risorgimento dell'Italia come Stato Unitario Nazionale. Donne che ebbero all'epoca immediati e generosi riconoscimenti dalle più importanti figure del tempo. Ma una volta spenti i riflettori sull'epopea risorgimentale, quando si manifestò il desiderio del ritorno alla normalità, le donne scomparvero dalla memoria storica. Ad alcune di loro sono stati dedicati libri specialistici e diverse venivano ricordate a livello locale. "Le celebrazioni perseguono l'obiettivo – ha affermato il ministro della Pubblica Istruzione Giannini nella nota diramata a tutte le Sovrintendenze scolastiche – di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza, riaffermando e consolidando l'identità nazionale attraverso la memoria civica. Nel percorso di formazione ed evoluzione dell'unità nazionale il sistema scolastico ha ricoperto un ruolo cruciale nella crescita intellettuale degli studenti ed ha sempre rappresentato il luogo deputato alla diffusione e al consolidamento delle radici e dei principi comuni". Il Ministro ha sottolineato l'importanza di attivare percorsi didattici finalizzati alla conoscenza e alla riflessione sugli eventi e sul significato del Risorgimento, nonché sulle vicende che hanno portato all'unità nazionale.
Ecco una grande discriminazione operata dalla storia: divulgativile donne del Risorgimento non sono entrate a far parte dei testi scolastici, divulgativi, libri che formano la cultura, la base dei cittadini del domani. Eppure la presenza femminile si era manifestata a largo raggio, coinvolgendo donne di diversi ambienti sociali in tutte le regioni d'Italia. Fu un fenomeno significativo che ebbe una doppia valenza: le donne hanno dato il loro consistente apporto all'unità d'Italia, ma nello stesso tempo i moti risorgimentali sono stati per le donne fondamentali. Le hanno fatte uscire dalle loro case e dal percorso di vita, privato e marginale, assegnato loro dalle famiglie per porle al centro nello spazio pubblico. Per la prima volta nella nostra storia le donne si sono sentite cittadine. E non si risparmiarono di esprimere il loro dissenso sulla umiliante esclusione da tutto ciò che si attiene al Governo della cosa pubblica, ritenendo ingiusta ed ingrata la nuova società costituitasi che negava ogni diritto politico alla parte più viva e influente dell'umano consorzio.
Un dipinto di Francesco Sagliano, conservato nel museo civico di Gallipoli ci presenta Antonietta De Pace, ritratta nel momento di maggiore popolarità, in un'immagine di giovane donna bella ed inquieta, con uno sguardo serio, volitivo, adombrato da una nota di malinconia. "Donna italiana, amo la patria mia". Queste brevi e semplici parole, da lei pronunciate, testimoniano con fierezza la sua identità di "patriota" nel contesto risorgimentale. Mazziniana e fortemente antiborbonica, intelligente, appassionata, un'intera vita spesa operando e contribuendo alla causa risorgimentale e al raggiungimento di un'Italia unita e indipendente. La "Storia" le aveva assegnato in questo contesto un ruolo di primo piano, svolto con abnegazione, spirito di sacrificio, intelligenza, mettendo in atto quella "parità di genere", ampiamente riconosciuta per le risorse messe in campo, pur in un contesto, quando la condizione femminile era relegata ai margini della vita politica, sociale e professionale, ma che la memoria storica ha consegnato lentamente all'oblio. Di estrazione alto-borghese, ebbe una vita molto lunga, (1818-1893) se pensiamo all'epoca, una vita dispiegata con scelte anticonvenzionali e anticonformiste che la rendono una eccezione nel panorama politico e sociale di un Sud schiacciato dalla dominazione borbonica. Patriota pugliese, di origine salentina, ha rappresentato l'anello di congiunzione tra i comitati mazziniani di Puglia, Basilicata e Campania con quelli di Genova mediante un'opera capillare di coordinamento e di supporto tra i diversi centri, contribuendo a preparare l'insurrezione del Sud. Educata da genitori illuminati, in una famiglia in cui era tradizionale il culto della libertà, Antonietta non rimase mai insensibile a quelli che erano i problemi e le ingiustizie sociali delle classi più povere. Fin da giovanissima fu profondamente colpita dal degrado in cui versavano le campagne salentine della prima metà dell'800 (paludi, malaria, acque infette, assenza di opere di bonifica), situazione che contribuirà a rafforzare la sua volontà a lottare contro le ingiustizie e le miserie morali, economiche determinate dal governo borbonico nel Mezzogiorno, un territorio dove persisteva una struttura semifeudale che soffocava ed inibiva qualsiasi potenzialità produttiva.
La figura della "patriota" è emblematica per la rottura che la sua vita ha rappresentato nel modo di concepire la condizione della donna nella seconda metà dell'800, per la tenacia con cui si è battuta per portare avanti i propri ideali, per la determinazione con cui ha lottato per consentire a tutte le donne la possibilità di un'istruzione che le rendesse padrone del proprio destino. Il padre la avviò allo studio dell'economia e della finanza fin da bambina per assicurare un competente erede alla sua attività di banchiere. In seguito, spontaneamente decise di dedicarsi anche agli studi giuridici a completamento di quelli impartitele dal padre, per dar voce ai tanti non in grado di rivendicare condizioni di vita migliore. Rimasta orfana all'età di otto anni, dopo un breve periodo trascorso in collegio, fu accolta nella casa del cognato, liberale napoletano, attivissimo nella cospirazione politica clandestina a Gallipoli e nella provincia di Lecce. Questo incontro rappresentò un vero e proprio spartiacque tra la vita di adolescente borghese e quella di patriota adulta e consapevole. Nella sua casa Antonietta portò a termine la propria educazione culturale avvalendosi della ricca biblioteca del cognato e grazie alla sua influenza entrò a far parte del movimento clandestino mazziniano la "Giovane Italia". In questo contesto all'inizio non ebbe vita facile: il suo essere donna la confinava in una posizione inferiore e non le permetteva di esprimersi liberamente e di far valere il proprio pensiero. Ben presto grazie alla passione, sorretta dall'intelligenza e dalla grande intraprendenza, riuscì a diventare parte integrante del movimento e ad allontanare i pregiudizi infondati. Infatti sostituì spesso il cognato, quando questi era impegnato lontano dalla Puglia. Lo spirito combattivo e indomito la portò, senza esitazione, anche a travestirsi da uomo per partecipare alle barricate del 48 al fianco del cognato, di Settembrini, di Conforti e di Poerio, pur sapendo che i tempi non erano maturi per una insurrezione popolare generale. Questi moti furono contrassegnati dalla morte del cognato, vissuta con molto dolore, ma contribuì a renderla più ferma che mai nel proposito di dedicare tutta se stessa alla causa della patria e della libertà, ormai divenuta una fervida propagandista e vigile corrispondente dei vari comitati pugliesi, contribuendo attivamente alla preparazione dei moti successivi del 59, del 60 nell'impresa garibaldina fino a quella di Roma capitale del 70. Costituì, così, un circolo femminile di cui divenne l'anima e la sua attività fu fondamentale tanto che in breve tempo si trasformò in un vero comitato politico femminile, il cui obiettivo era quello di mettere in contatto i detenuti politici con l'esterno, facendo pervenire loro notizie dal resto d'Italia, nonché viveri e biancheria. Partecipò anche alle varie associazioni patriottiche meridionali con intelligenza, prudenza e ardore al fine di unificare i vari e numerosi movimenti repubblicani ed antiborbonici, dando vita ad una complicata ragnatela di relazioni segrete che le permisero anche di essere informata costantemente su ciò che accadeva nel resto d'Italia di far pervenire le informazioni sulla situazione generale dei moti a Mazzini a Londra. Su denuncia di un infiltrato della polizia borbonica fu fermata perché sospettata di attività cospiratoria. Subito ingoiò prontamente due proclami di Mazzini che teneva nascosti nel petto, fingendo di aver ingerito medicinali, per questo motivo fu arrestata e processata con la richiesta di condanna a morte. Nonostante la durezza del carcere e le accuse rivoltele da prestigiosi avvocati napoletani, Antonietta riuscì a difendersi con magistrale astuzia sopportando indicibili sofferenze nei 18 mesi di prigionia e mai tradendo la causa rivoluzionaria. La decisione della giuria fu avversa all'accusa: si era divisa in perfetta parità fra colpevolisti e innocentisti. Così fu prosciolta. Il suo processo ebbe un'eco notevole, dato che l'imputata era una donna nota, di estrazione alto-borghese, tanto da richiamare l'attenzione partecipativa dell'ambasciatore inglese, francese e sabaudo. La detenzione e il rischio di condanna a morte la segnarono profondamente, ma non spensero il suo entusiasmo patriottico e l'impegno nella cospirazione antiborbonica in vista dell'unificazione nei momenti più cruciali, dalla seconda guerra d'indipendenza fino alla presa di Roma. A Salerno si incontrò con Garibaldi con cui entra trionfante a Napoli, vestita con i colori della bandiera. "Sono felice di essere venuto a spezzare le catene a un popolo generoso, il cui governo non aveva rispetto neppur per le donne" – afferma Garibaldi congratulandosi con lei. Il lavoro enorme che comportò la rivoluzione del Sud come dispendo fisico ed emotivo la fece ammalare ed in seguito, su intervento di Garibaldi, ricevette un vitalizio "per i danni e per le sofferenze patite per causa della libertà". Era il modo in cui le si riconoscevano la grandezza e l'importanza del ruolo svolto nel raggiungimento dell'unità e nell'annessione del Sud che aveva rischiato l'isolamento dal resto della penisola.
Con Roma capitale erano stati conseguiti tutti i suoi obiettivi di attività risorgimentali, così rivolse la sua attenzione, capacità ed impegno ad una nuova occupazione: l'istruzione delle classi più disagiate con particolare riguardo alle donne. Ancora una volta si distinse lavorando con instancabilità, perché riteneva che l'istruzione fosse un patrimonio di tutti. È sempre critica e consapevole delle condizioni difficili in cui si operava e della necessità di educare le stesse educatrici. Infatti aveva a cuore l'educazione e la sorte di tanti piccoli e giovani ai quali impartiva le proprie lezioni. "Noi abbiamo fatto l'Italia. Voi dovete conservarla, lavorando a farla grande e prospera" – ripeteva spesso loro. Nelle varie manifestazioni celebrative veniva sempre invitata ed accolta dalle autorità con tutti gli onori che si addicevano ad una donna eccezionale quale era. Sempre l'accompagnava un velo di tristezza, emblema della consapevolezza che tanti di coloro che avevano lottato per la patria erano ormai morti e che il presente lasciato in eredità alle generazioni più giovani era incerto e difficile da gestire.
E noi lo abbiamo constatato non solo lungo il filo della storia, ma anche della realtà presente.
Questa memoria mi ha fatto riflettere su una ulteriore discriminazione di genere che ogni giorno è sotto i nostri occhi: l'enorme distanza nella toponomastica al femminile rispetto a quella maschile, se non proprio assente nelle nostre vie cittadine. Un gesto concreto di grande valenza sociologica sarebbe accorciare questa distanza riportando alla luce tutte quelle donne che hanno operato a rendere grande la Patria o in silenzio sono state vittime di violenza.
Agata Pinnelli
Celebrare le donne che hanno reso grande il nome degli italiani è un atto doveroso di restituzione valoriale al patrimonio di identità della nazione, perché il futuro si può costruire con consapevolezza quando affonda le sue radici nella memoria per scrivere pagine nuove migliorando e non ripetendo gli errori del passato. Facendo riferimento alla nota del ministro della Pubblica Istruzione sulla giornata dell'Unità Nazionale, della Costituzione dell'Inno e della Bandiera, che si celebra il 17 marzo di ogni anno come solennità civile, in occasione della ricorrenza del giorno di 154 anni fa in cui fu proclamato il Regno di Italia, istituita con la legge 222 del 23 novembre del 2012, mi piace celebrare le donne di oggi, liberando dall'oblio il grandissimo apporto risorgimentale di una nostra conterranea salentina che, insieme a tantissime altre donne, contribuì fortemente alla realizzazione del Risorgimento dell'Italia come Stato Unitario Nazionale. Donne che ebbero all'epoca immediati e generosi riconoscimenti dalle più importanti figure del tempo. Ma una volta spenti i riflettori sull'epopea risorgimentale, quando si manifestò il desiderio del ritorno alla normalità, le donne scomparvero dalla memoria storica. Ad alcune di loro sono stati dedicati libri specialistici e diverse venivano ricordate a livello locale. "Le celebrazioni perseguono l'obiettivo – ha affermato il ministro della Pubblica Istruzione Giannini nella nota diramata a tutte le Sovrintendenze scolastiche – di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza, riaffermando e consolidando l'identità nazionale attraverso la memoria civica. Nel percorso di formazione ed evoluzione dell'unità nazionale il sistema scolastico ha ricoperto un ruolo cruciale nella crescita intellettuale degli studenti ed ha sempre rappresentato il luogo deputato alla diffusione e al consolidamento delle radici e dei principi comuni". Il Ministro ha sottolineato l'importanza di attivare percorsi didattici finalizzati alla conoscenza e alla riflessione sugli eventi e sul significato del Risorgimento, nonché sulle vicende che hanno portato all'unità nazionale.
Ecco una grande discriminazione operata dalla storia: divulgativile donne del Risorgimento non sono entrate a far parte dei testi scolastici, divulgativi, libri che formano la cultura, la base dei cittadini del domani. Eppure la presenza femminile si era manifestata a largo raggio, coinvolgendo donne di diversi ambienti sociali in tutte le regioni d'Italia. Fu un fenomeno significativo che ebbe una doppia valenza: le donne hanno dato il loro consistente apporto all'unità d'Italia, ma nello stesso tempo i moti risorgimentali sono stati per le donne fondamentali. Le hanno fatte uscire dalle loro case e dal percorso di vita, privato e marginale, assegnato loro dalle famiglie per porle al centro nello spazio pubblico. Per la prima volta nella nostra storia le donne si sono sentite cittadine. E non si risparmiarono di esprimere il loro dissenso sulla umiliante esclusione da tutto ciò che si attiene al Governo della cosa pubblica, ritenendo ingiusta ed ingrata la nuova società costituitasi che negava ogni diritto politico alla parte più viva e influente dell'umano consorzio.
Un dipinto di Francesco Sagliano, conservato nel museo civico di Gallipoli ci presenta Antonietta De Pace, ritratta nel momento di maggiore popolarità, in un'immagine di giovane donna bella ed inquieta, con uno sguardo serio, volitivo, adombrato da una nota di malinconia. "Donna italiana, amo la patria mia". Queste brevi e semplici parole, da lei pronunciate, testimoniano con fierezza la sua identità di "patriota" nel contesto risorgimentale. Mazziniana e fortemente antiborbonica, intelligente, appassionata, un'intera vita spesa operando e contribuendo alla causa risorgimentale e al raggiungimento di un'Italia unita e indipendente. La "Storia" le aveva assegnato in questo contesto un ruolo di primo piano, svolto con abnegazione, spirito di sacrificio, intelligenza, mettendo in atto quella "parità di genere", ampiamente riconosciuta per le risorse messe in campo, pur in un contesto, quando la condizione femminile era relegata ai margini della vita politica, sociale e professionale, ma che la memoria storica ha consegnato lentamente all'oblio. Di estrazione alto-borghese, ebbe una vita molto lunga, (1818-1893) se pensiamo all'epoca, una vita dispiegata con scelte anticonvenzionali e anticonformiste che la rendono una eccezione nel panorama politico e sociale di un Sud schiacciato dalla dominazione borbonica. Patriota pugliese, di origine salentina, ha rappresentato l'anello di congiunzione tra i comitati mazziniani di Puglia, Basilicata e Campania con quelli di Genova mediante un'opera capillare di coordinamento e di supporto tra i diversi centri, contribuendo a preparare l'insurrezione del Sud. Educata da genitori illuminati, in una famiglia in cui era tradizionale il culto della libertà, Antonietta non rimase mai insensibile a quelli che erano i problemi e le ingiustizie sociali delle classi più povere. Fin da giovanissima fu profondamente colpita dal degrado in cui versavano le campagne salentine della prima metà dell'800 (paludi, malaria, acque infette, assenza di opere di bonifica), situazione che contribuirà a rafforzare la sua volontà a lottare contro le ingiustizie e le miserie morali, economiche determinate dal governo borbonico nel Mezzogiorno, un territorio dove persisteva una struttura semifeudale che soffocava ed inibiva qualsiasi potenzialità produttiva.
La figura della "patriota" è emblematica per la rottura che la sua vita ha rappresentato nel modo di concepire la condizione della donna nella seconda metà dell'800, per la tenacia con cui si è battuta per portare avanti i propri ideali, per la determinazione con cui ha lottato per consentire a tutte le donne la possibilità di un'istruzione che le rendesse padrone del proprio destino. Il padre la avviò allo studio dell'economia e della finanza fin da bambina per assicurare un competente erede alla sua attività di banchiere. In seguito, spontaneamente decise di dedicarsi anche agli studi giuridici a completamento di quelli impartitele dal padre, per dar voce ai tanti non in grado di rivendicare condizioni di vita migliore. Rimasta orfana all'età di otto anni, dopo un breve periodo trascorso in collegio, fu accolta nella casa del cognato, liberale napoletano, attivissimo nella cospirazione politica clandestina a Gallipoli e nella provincia di Lecce. Questo incontro rappresentò un vero e proprio spartiacque tra la vita di adolescente borghese e quella di patriota adulta e consapevole. Nella sua casa Antonietta portò a termine la propria educazione culturale avvalendosi della ricca biblioteca del cognato e grazie alla sua influenza entrò a far parte del movimento clandestino mazziniano la "Giovane Italia". In questo contesto all'inizio non ebbe vita facile: il suo essere donna la confinava in una posizione inferiore e non le permetteva di esprimersi liberamente e di far valere il proprio pensiero. Ben presto grazie alla passione, sorretta dall'intelligenza e dalla grande intraprendenza, riuscì a diventare parte integrante del movimento e ad allontanare i pregiudizi infondati. Infatti sostituì spesso il cognato, quando questi era impegnato lontano dalla Puglia. Lo spirito combattivo e indomito la portò, senza esitazione, anche a travestirsi da uomo per partecipare alle barricate del 48 al fianco del cognato, di Settembrini, di Conforti e di Poerio, pur sapendo che i tempi non erano maturi per una insurrezione popolare generale. Questi moti furono contrassegnati dalla morte del cognato, vissuta con molto dolore, ma contribuì a renderla più ferma che mai nel proposito di dedicare tutta se stessa alla causa della patria e della libertà, ormai divenuta una fervida propagandista e vigile corrispondente dei vari comitati pugliesi, contribuendo attivamente alla preparazione dei moti successivi del 59, del 60 nell'impresa garibaldina fino a quella di Roma capitale del 70. Costituì, così, un circolo femminile di cui divenne l'anima e la sua attività fu fondamentale tanto che in breve tempo si trasformò in un vero comitato politico femminile, il cui obiettivo era quello di mettere in contatto i detenuti politici con l'esterno, facendo pervenire loro notizie dal resto d'Italia, nonché viveri e biancheria. Partecipò anche alle varie associazioni patriottiche meridionali con intelligenza, prudenza e ardore al fine di unificare i vari e numerosi movimenti repubblicani ed antiborbonici, dando vita ad una complicata ragnatela di relazioni segrete che le permisero anche di essere informata costantemente su ciò che accadeva nel resto d'Italia di far pervenire le informazioni sulla situazione generale dei moti a Mazzini a Londra. Su denuncia di un infiltrato della polizia borbonica fu fermata perché sospettata di attività cospiratoria. Subito ingoiò prontamente due proclami di Mazzini che teneva nascosti nel petto, fingendo di aver ingerito medicinali, per questo motivo fu arrestata e processata con la richiesta di condanna a morte. Nonostante la durezza del carcere e le accuse rivoltele da prestigiosi avvocati napoletani, Antonietta riuscì a difendersi con magistrale astuzia sopportando indicibili sofferenze nei 18 mesi di prigionia e mai tradendo la causa rivoluzionaria. La decisione della giuria fu avversa all'accusa: si era divisa in perfetta parità fra colpevolisti e innocentisti. Così fu prosciolta. Il suo processo ebbe un'eco notevole, dato che l'imputata era una donna nota, di estrazione alto-borghese, tanto da richiamare l'attenzione partecipativa dell'ambasciatore inglese, francese e sabaudo. La detenzione e il rischio di condanna a morte la segnarono profondamente, ma non spensero il suo entusiasmo patriottico e l'impegno nella cospirazione antiborbonica in vista dell'unificazione nei momenti più cruciali, dalla seconda guerra d'indipendenza fino alla presa di Roma. A Salerno si incontrò con Garibaldi con cui entra trionfante a Napoli, vestita con i colori della bandiera. "Sono felice di essere venuto a spezzare le catene a un popolo generoso, il cui governo non aveva rispetto neppur per le donne" – afferma Garibaldi congratulandosi con lei. Il lavoro enorme che comportò la rivoluzione del Sud come dispendo fisico ed emotivo la fece ammalare ed in seguito, su intervento di Garibaldi, ricevette un vitalizio "per i danni e per le sofferenze patite per causa della libertà". Era il modo in cui le si riconoscevano la grandezza e l'importanza del ruolo svolto nel raggiungimento dell'unità e nell'annessione del Sud che aveva rischiato l'isolamento dal resto della penisola.
Con Roma capitale erano stati conseguiti tutti i suoi obiettivi di attività risorgimentali, così rivolse la sua attenzione, capacità ed impegno ad una nuova occupazione: l'istruzione delle classi più disagiate con particolare riguardo alle donne. Ancora una volta si distinse lavorando con instancabilità, perché riteneva che l'istruzione fosse un patrimonio di tutti. È sempre critica e consapevole delle condizioni difficili in cui si operava e della necessità di educare le stesse educatrici. Infatti aveva a cuore l'educazione e la sorte di tanti piccoli e giovani ai quali impartiva le proprie lezioni. "Noi abbiamo fatto l'Italia. Voi dovete conservarla, lavorando a farla grande e prospera" – ripeteva spesso loro. Nelle varie manifestazioni celebrative veniva sempre invitata ed accolta dalle autorità con tutti gli onori che si addicevano ad una donna eccezionale quale era. Sempre l'accompagnava un velo di tristezza, emblema della consapevolezza che tanti di coloro che avevano lottato per la patria erano ormai morti e che il presente lasciato in eredità alle generazioni più giovani era incerto e difficile da gestire.
E noi lo abbiamo constatato non solo lungo il filo della storia, ma anche della realtà presente.
Questa memoria mi ha fatto riflettere su una ulteriore discriminazione di genere che ogni giorno è sotto i nostri occhi: l'enorme distanza nella toponomastica al femminile rispetto a quella maschile, se non proprio assente nelle nostre vie cittadine. Un gesto concreto di grande valenza sociologica sarebbe accorciare questa distanza riportando alla luce tutte quelle donne che hanno operato a rendere grande la Patria o in silenzio sono state vittime di violenza.
Agata Pinnelli