Le lettere di Agata Pinnelli
Non solo il 25 novembre.
Non diamo alla violenza la parola definitiva!
sabato 29 novembre 2014
17.51
L'Università della Terza Età "Prof. O. Gallo" di Canosa di Puglia (BT), con la sua apertura ad ogni forma di cultura e bisogno sociale, ha risposto con piena adesione alla iniziativa "Settimana del Benessere" promossa dalla Provincia Barletta Andria Trani - Assessorato alle Politiche Sociali per la Famiglia e Pari Opportunità. Infatti, ha ospitato due conferenze sul dramma delle violenze che si consumano all'interno delle pareti domestiche, violenze che fanno fatica ad avere voce, ad avere credibilità, ad avere giustizia, perché le stesse vittime minimizzano, sottovalutano, tentano di giustificarle per paura, per vergogna, per un senso di colpa o perché rifiutano di credere all'intenzionalità delle azioni violente da parte di persone con cui hanno stabilito relazioni affettive. A ciò si aggiunge il substrato storico culturale della nostra società che continua a calpestare e a non garantire concretamente i diritti alle donne, ormai dichiarati su tutte le Costituzioni nazionali ed internazionali. La psicologa, dottoressa Titti Minerva ha conversato, interagito efficacemente con un vasto pubblico, illustrando prima di tutto l'incidenza del "Benessere psicologico" nella promozione della personalità come individuo e come essere sociale, dalla autorealizzazione di se all'autostima, allo stare bene con se stesso e di conseguenza, capace di stabilire solide e valide relazioni con gli altri nel rispetto della dignità ed integralità della propria e altrui persona. La relatrice opera con fervore in un centro antiviolenza apertosi a Canosa, sempre attivo, sotto forma di volontariato, insieme alla avvocata Annalisa Iacobone e l'assistente sociale dottoressa Mirella Malcangi, proprio per affermare con convinzione che "ogni donna - come riporta la brochure di tale servizio - ha il diritto di non essere maltrattata, di lasciare un ambiente violento, di essere libera dalla paura" e di non pensare di essere responsabile della situazione, che sia giustificabile chi commette abusi, di essere sola in questo tunnel da cui non si intravede nessuna via di uscita. Invece si può fare la scelta coraggiosa di dire: "No, non sono scivolata nella doccia" e chiedere aiuto per proteggere se stessa e i propri figli dalla violenza; è un diritto inalienabile che si deve esercitare per poter salvaguardare la dignità umana della persona al di là del genere e dell'età. Questi centri sono uno strumento funzionale perché la perizia del personale, tutta al femminile secondo un principio di "donna ascolta donna", fa sentire la vittima al sicuro, compresa e quindi più propensa ad iniziare il processo di ammissione e del successivo cammino di liberazione. La psicologa Titti Minerva e l'avvocata Annalisa Iacobone hanno comunicato che qualcosa sta cambiando, anche se lentamente, soprattutto grazie alle sollecitazioni continue, che l'Europa e gli Organismi Internazionali hanno rivolto da tempo agli stati membri e l'Italia in particolare, ad adottare e ratificare le proposte e le convenzioni prodotte in tema di violenza contro le donne. Infatti nel contesto di una società patriarcale come la nostra, la violenza domestica non è sempre percepita come un crimine, dove le vittime in gran parte dipendono economicamente dagli autori della violenza e dove persiste la percezione che le risposte dello Stato non saranno appropriate o utili, ne consegue che la maggior parte di questi episodi di violenza non viene denunciata.
Rashida Manjoo, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la lotta contro la violenza sulle donne, nel rapporto presentato dice che "le donne soggette a continue violenze, costantemente discriminate è come se vivessero nel braccio della morte con la paura di essere giustiziate". E continua dicendo che "i vari femminicidi, pur nella loro diversità, sono sempre accomunati dalla violenza pregressa subita nell'ambito domestico, e questi crimini estremi sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita e la libertà delle donne". Anche la scrittrice Dacia Maraini, che da anni si occupa con ostinazione di questo dramma ha sempre sottolineato che il femminicidio in Italia è solo la punta di un icerberg che nasconde una montagna di soprusi e dolore che si chiama violenza domestica. Dietro le persiane chiuse delle case si nasconde una sofferenza silenziosa, di cui non conviene parlare. Rimaniamo esterrefatti di fronte ai gesti estremi, come se fosse un qualcosa di inaspettato, di non senso, ma invece tutto il vicinato aveva previsto, ma nessuno ha mosso un dito perché "ognuno a casa sua fa come gli pare". Diventano casi giudiziari che vengono liquidati come inevitabili conseguenze di un "improvviso raptus di follia", invece sono la coerente conclusione di violenze durate a volte un'intera vita; sono sentenze eseguite davanti agli occhi di una società incapace di riconoscere questo dramma antico, "una platea che ha perso la forza di indignarsi – come afferma Serena Dandini nel suo libro Ferite a morte – quando le storie con le protagoniste più giovani e piacenti sono trasformate nei programmi di approfondimento giornalistico".
L' avvocata Annalisa Iacobone, coordinatrice nazionale del Movimento Internazionale Antistalking, Antipedofilia e Pari Opportunità, in un successivo incontro, ha trattato con competenza giuridica, nonché esperienziale come operatrice nel centro antiviolenza di Canosa, il reato di stalking (Atti Persecutori nelle relazioni di intimità). Ha introdotto la conferenza con un video sul primo processo per stupro del 1979, in cui non il colpevole era sotto processo, ma la vittima, depauperata della sua dignità con le allusioni denigratorie sulle concause di corresponsabilità nella determinazione del reato. Nonostante le difficoltà, fu il primo processo che condannò lo stupro in quanto la violenza non è mai giustificabile. Le leggi sulla violenza di genere da allora sono cambiate, ma c'è ancora molto da fare. Nel 2009 è stata introdotta nel nostro ordinamento, con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei, una nuova fattispecie di reato, finalizzata a far venir meno la pericolosa condotta persecutoria nei confronti soprattutto delle donne. E' il reato di stalking, ora previsto dall'art. 612 bis del codice penale. Esso consiste in alcuni comportamenti come telefonate, sms, email, visita a sorpresa e perfino l'invio di fiori o regali, che prolungati nel tempo, possono generare nella persona che ne è oggetto uno stato di ansia, di insicurezza, al punto da indurla nel sospetto che ci sia un pericolo non solo per la propria incolumità, ma anche del familiare a lei più vicino. Questo avviene perché in genere lo stalker è un fidanzato, o un ex marito precedentemente abbandonato, che non si rassegna alla fine di una storia, o un ammiratore le cui attenzioni non sono richieste o sono giudicate eccessive. Si tratta di soggetti la cui vicinanza o insistenza non è gradita alla donna che ne è oggetto. La relatrice ha chiarito che di per sè non sono gli atti a costituire reato: la singola email o telefonata o sms non può essere considerata in alcun modo un gesto persecutorio; è la ripetizione nel tempo contro la volontà della vittima a segnare il confine tra condotta lecita e illecita. Prima del 2009 che venisse introdotto il "reato" le molestie, la violenza privata, ingiurie, minacce, percosse, lesioni erano questioni trattate dal Giudice di Pace, a cui non era collegabile giuridicamente il responso punitivo, quindi la situazione si concludeva con un paternale giudizio di paziente tolleranza e di stimolo ad un impegno formale di cambiamento. Le punizioni potevano soltanto applicarsi al maltrattamento in famiglia escludendo tutti gli altri. Secondo l'Osservatorio Nazionale i dati sullo stalking nel nostro paese non sono certi, ma l'unica cosa sicura è che i casi denunciati sono molto di meno dei casi effettivi, in quanto, come sempre avviene nei casi di violenza e di abuso, le vittime tendono a non denunciare i propri aguzzini per paura di affrontare quella che viene definita la seconda vittimizzazione: durante il processo la donna rivive la violenza. Ecco perché la denuncia comporta un approccio, un'assistenza multidisciplinare prima durante e dopo il processo, affinché la donna possa riprendersi la propria vita, la libertà di autodeterminarsi, libera da qualsiasi ossessione di paura, di insicurezza che la portino a subire le azioni degli altri. Ed è proprio questa assistenza multidisciplinare da quella psicologica, sociale, sanitaria a quella giuridica ed anche economica nelle situazioni di indigenza che le associazioni e i centri antiviolenza offrono alle vittime, incoraggiandole a riprendersi il gusto di forgiare e rimodulare la propria esistenza con il proprio cuore e la propria intelligenza.
Perciò in un contesto in cui le donne sono le vittime, allora "anche gli uomini – come afferma Serena Dandini - non vanno abbandonati a una cultura che li vuole dominatori, violenti ossessionati dal possesso, andrebbero aiutati a trovare altre strade per gestire la rabbia e il dolore. Si è tutti figli di un analfabetismo emotivo e sentimentale che considera la prevaricazione e la violenza come aspetti possibili della relazione tra un uomo e una donna, un dato di fatto che vede i maschi e le femmine imprigionati in questi ruoli, legittimati da una società patriarcale" che fatica, secondo me, a liberarsi di consuetudini non più spendibili o giustificabili in una società come quella di oggi basata sulla "forza del diritto" e non sul "diritto della forza". Sempre più spesso i delitti e le violenze avvengono per la difficoltà di elaborare la frustrazione attraverso altre modalità di cui il nostro "essere pensante – emozionale" è capace di mettere in campo, come il dialogo che dia un senso razionale all'esperienza emotiva – sentimentale frustrante; come la sostituzione dei nostri interessi con altri, quando quelli originari non sono perseguibili; come utilizzare le energie e le risorse che avremmo investito per soddisfare il bisogno frustrato in attività socialmente valorizzate, anziché intensificare solo gli sforzi o gli strumenti a disposizione per vincere le difficoltà, modalità che ci rende poco tolleranti alla frustrazione ed inclini a reazioni rigide, rabbiose, violente e perché no, anche disperate, non mediate dalla elaborazione del pensiero e del ragionamento. Le donne hanno imparato a lottare per l'autonomia economica, cominciano a trovare il coraggio per riprendersi la vita e reinventarla a costo di stare da sole con i propri figli; gli uomini invece sono ancora prigionieri degli stereotipi atavici dell'affronto, dell'annientamento, dell'orgoglio e dell'amor proprio. Solo l'unione può vincere questa drammatica realtà che diventa sempre più allarmante. Non diamo alla violenza la parola definitiva!
Agata Pinnelli
Due testimonianze tratte dal libro "Ferite a morte" di Serena Dandini
Ed ora immaginiamo: se le vittime potessero parlare …
Quarto Stato
[…] Insieme le abbiamo fatte tutte le battaglie io e il Mario, intendo il mio compagno, tutte le lotte, quelle giuste: i referendum, i picchetti contro la chiusura della fabbrica, anche sotto la neve, ma la passione politica, si sa, scalda il cuore.
[…] Scendevamo in piazza convinti e contenti: "la violenza vera sono fame e guerra, portate dai potenti della terra…"
Ma poi a casa c'era sempre qualcosa che non andava […] Quella sera in cucina mi ha schiacciato contro il frigo aperto che sentivo i brividi di freddo e di paura, mi ero scordata le birre nel cassetto dei surgelati e sono scoppiate tutte. Mi ci ha ficcato la testa per farmele vedere bene […] Avevo pure lasciato il lavoro per accontentarlo, ma non bastava mai, ero un'incapace, una pasticciona […]
Mi ha segato con cura a piccoli pezzi, precisi tutti uguali e mi ha nascosto nel congelatore.
Non ho più fatto in tempo a fare la rivoluzione.
L'uomo forte
[…] A me è sempre piaciuto l'uomo forte […], io ho bisogno di sicurezza, di sentirmi protetta […]
Ci godo a sentirmi un tantino vittima, l'ha detto anche la psicologa che non c'è niente di male, sono proiezioni, sogni, desideri, ma lui ci ha preso la mano e non si è più fermato […]
Come ho fatto a non capirlo?
Avevo visto pure quella bella pubblicità per noi donne, quella che dice: "La violenza ha mille volti, impara a riconoscerli".
Ma come si fa se ha il volto di chi ti vuole bene?
Dice pure: "Gli schiaffi sono schiaffi, scambiarli per amore fa molto male"
Per me non è stato mai chiaro, ora si che sono morta. Dovrebbero farci dei corsi serali, delle ripetizioni per non cadere in trappola, è una vita che ci insegnano ad assecondare gli uomini, ora insegnateci a difenderci a fermarli.
"Un compagno violento non ti accompagna nella vita, al massimo all'ospedale"
E' vero mi ci ha accompagnato un paio di volte, gentile […]
Dicono bene: "Un uomo violento non merita il tuo amore, merita una denuncia"
Lo so ci sono andata, ma il carabiniere di turno non c'era, dice che era stato arrestato per aver ammazzato la moglie con la pistola d'ordinanza. Dice: "Torni domani oggi c'è confusione, ma nella mia vita c'è sempre stata confusione a parte che sul lavoro. Non ho fatto in tempo a salvarmi, mi ha strozzato […] .
Rashida Manjoo, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la lotta contro la violenza sulle donne, nel rapporto presentato dice che "le donne soggette a continue violenze, costantemente discriminate è come se vivessero nel braccio della morte con la paura di essere giustiziate". E continua dicendo che "i vari femminicidi, pur nella loro diversità, sono sempre accomunati dalla violenza pregressa subita nell'ambito domestico, e questi crimini estremi sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita e la libertà delle donne". Anche la scrittrice Dacia Maraini, che da anni si occupa con ostinazione di questo dramma ha sempre sottolineato che il femminicidio in Italia è solo la punta di un icerberg che nasconde una montagna di soprusi e dolore che si chiama violenza domestica. Dietro le persiane chiuse delle case si nasconde una sofferenza silenziosa, di cui non conviene parlare. Rimaniamo esterrefatti di fronte ai gesti estremi, come se fosse un qualcosa di inaspettato, di non senso, ma invece tutto il vicinato aveva previsto, ma nessuno ha mosso un dito perché "ognuno a casa sua fa come gli pare". Diventano casi giudiziari che vengono liquidati come inevitabili conseguenze di un "improvviso raptus di follia", invece sono la coerente conclusione di violenze durate a volte un'intera vita; sono sentenze eseguite davanti agli occhi di una società incapace di riconoscere questo dramma antico, "una platea che ha perso la forza di indignarsi – come afferma Serena Dandini nel suo libro Ferite a morte – quando le storie con le protagoniste più giovani e piacenti sono trasformate nei programmi di approfondimento giornalistico".
L' avvocata Annalisa Iacobone, coordinatrice nazionale del Movimento Internazionale Antistalking, Antipedofilia e Pari Opportunità, in un successivo incontro, ha trattato con competenza giuridica, nonché esperienziale come operatrice nel centro antiviolenza di Canosa, il reato di stalking (Atti Persecutori nelle relazioni di intimità). Ha introdotto la conferenza con un video sul primo processo per stupro del 1979, in cui non il colpevole era sotto processo, ma la vittima, depauperata della sua dignità con le allusioni denigratorie sulle concause di corresponsabilità nella determinazione del reato. Nonostante le difficoltà, fu il primo processo che condannò lo stupro in quanto la violenza non è mai giustificabile. Le leggi sulla violenza di genere da allora sono cambiate, ma c'è ancora molto da fare. Nel 2009 è stata introdotta nel nostro ordinamento, con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei, una nuova fattispecie di reato, finalizzata a far venir meno la pericolosa condotta persecutoria nei confronti soprattutto delle donne. E' il reato di stalking, ora previsto dall'art. 612 bis del codice penale. Esso consiste in alcuni comportamenti come telefonate, sms, email, visita a sorpresa e perfino l'invio di fiori o regali, che prolungati nel tempo, possono generare nella persona che ne è oggetto uno stato di ansia, di insicurezza, al punto da indurla nel sospetto che ci sia un pericolo non solo per la propria incolumità, ma anche del familiare a lei più vicino. Questo avviene perché in genere lo stalker è un fidanzato, o un ex marito precedentemente abbandonato, che non si rassegna alla fine di una storia, o un ammiratore le cui attenzioni non sono richieste o sono giudicate eccessive. Si tratta di soggetti la cui vicinanza o insistenza non è gradita alla donna che ne è oggetto. La relatrice ha chiarito che di per sè non sono gli atti a costituire reato: la singola email o telefonata o sms non può essere considerata in alcun modo un gesto persecutorio; è la ripetizione nel tempo contro la volontà della vittima a segnare il confine tra condotta lecita e illecita. Prima del 2009 che venisse introdotto il "reato" le molestie, la violenza privata, ingiurie, minacce, percosse, lesioni erano questioni trattate dal Giudice di Pace, a cui non era collegabile giuridicamente il responso punitivo, quindi la situazione si concludeva con un paternale giudizio di paziente tolleranza e di stimolo ad un impegno formale di cambiamento. Le punizioni potevano soltanto applicarsi al maltrattamento in famiglia escludendo tutti gli altri. Secondo l'Osservatorio Nazionale i dati sullo stalking nel nostro paese non sono certi, ma l'unica cosa sicura è che i casi denunciati sono molto di meno dei casi effettivi, in quanto, come sempre avviene nei casi di violenza e di abuso, le vittime tendono a non denunciare i propri aguzzini per paura di affrontare quella che viene definita la seconda vittimizzazione: durante il processo la donna rivive la violenza. Ecco perché la denuncia comporta un approccio, un'assistenza multidisciplinare prima durante e dopo il processo, affinché la donna possa riprendersi la propria vita, la libertà di autodeterminarsi, libera da qualsiasi ossessione di paura, di insicurezza che la portino a subire le azioni degli altri. Ed è proprio questa assistenza multidisciplinare da quella psicologica, sociale, sanitaria a quella giuridica ed anche economica nelle situazioni di indigenza che le associazioni e i centri antiviolenza offrono alle vittime, incoraggiandole a riprendersi il gusto di forgiare e rimodulare la propria esistenza con il proprio cuore e la propria intelligenza.
Perciò in un contesto in cui le donne sono le vittime, allora "anche gli uomini – come afferma Serena Dandini - non vanno abbandonati a una cultura che li vuole dominatori, violenti ossessionati dal possesso, andrebbero aiutati a trovare altre strade per gestire la rabbia e il dolore. Si è tutti figli di un analfabetismo emotivo e sentimentale che considera la prevaricazione e la violenza come aspetti possibili della relazione tra un uomo e una donna, un dato di fatto che vede i maschi e le femmine imprigionati in questi ruoli, legittimati da una società patriarcale" che fatica, secondo me, a liberarsi di consuetudini non più spendibili o giustificabili in una società come quella di oggi basata sulla "forza del diritto" e non sul "diritto della forza". Sempre più spesso i delitti e le violenze avvengono per la difficoltà di elaborare la frustrazione attraverso altre modalità di cui il nostro "essere pensante – emozionale" è capace di mettere in campo, come il dialogo che dia un senso razionale all'esperienza emotiva – sentimentale frustrante; come la sostituzione dei nostri interessi con altri, quando quelli originari non sono perseguibili; come utilizzare le energie e le risorse che avremmo investito per soddisfare il bisogno frustrato in attività socialmente valorizzate, anziché intensificare solo gli sforzi o gli strumenti a disposizione per vincere le difficoltà, modalità che ci rende poco tolleranti alla frustrazione ed inclini a reazioni rigide, rabbiose, violente e perché no, anche disperate, non mediate dalla elaborazione del pensiero e del ragionamento. Le donne hanno imparato a lottare per l'autonomia economica, cominciano a trovare il coraggio per riprendersi la vita e reinventarla a costo di stare da sole con i propri figli; gli uomini invece sono ancora prigionieri degli stereotipi atavici dell'affronto, dell'annientamento, dell'orgoglio e dell'amor proprio. Solo l'unione può vincere questa drammatica realtà che diventa sempre più allarmante. Non diamo alla violenza la parola definitiva!
Agata Pinnelli
Due testimonianze tratte dal libro "Ferite a morte" di Serena Dandini
Ed ora immaginiamo: se le vittime potessero parlare …
Quarto Stato
[…] Insieme le abbiamo fatte tutte le battaglie io e il Mario, intendo il mio compagno, tutte le lotte, quelle giuste: i referendum, i picchetti contro la chiusura della fabbrica, anche sotto la neve, ma la passione politica, si sa, scalda il cuore.
[…] Scendevamo in piazza convinti e contenti: "la violenza vera sono fame e guerra, portate dai potenti della terra…"
Ma poi a casa c'era sempre qualcosa che non andava […] Quella sera in cucina mi ha schiacciato contro il frigo aperto che sentivo i brividi di freddo e di paura, mi ero scordata le birre nel cassetto dei surgelati e sono scoppiate tutte. Mi ci ha ficcato la testa per farmele vedere bene […] Avevo pure lasciato il lavoro per accontentarlo, ma non bastava mai, ero un'incapace, una pasticciona […]
Mi ha segato con cura a piccoli pezzi, precisi tutti uguali e mi ha nascosto nel congelatore.
Non ho più fatto in tempo a fare la rivoluzione.
L'uomo forte
[…] A me è sempre piaciuto l'uomo forte […], io ho bisogno di sicurezza, di sentirmi protetta […]
Ci godo a sentirmi un tantino vittima, l'ha detto anche la psicologa che non c'è niente di male, sono proiezioni, sogni, desideri, ma lui ci ha preso la mano e non si è più fermato […]
Come ho fatto a non capirlo?
Avevo visto pure quella bella pubblicità per noi donne, quella che dice: "La violenza ha mille volti, impara a riconoscerli".
Ma come si fa se ha il volto di chi ti vuole bene?
Dice pure: "Gli schiaffi sono schiaffi, scambiarli per amore fa molto male"
Per me non è stato mai chiaro, ora si che sono morta. Dovrebbero farci dei corsi serali, delle ripetizioni per non cadere in trappola, è una vita che ci insegnano ad assecondare gli uomini, ora insegnateci a difenderci a fermarli.
"Un compagno violento non ti accompagna nella vita, al massimo all'ospedale"
E' vero mi ci ha accompagnato un paio di volte, gentile […]
Dicono bene: "Un uomo violento non merita il tuo amore, merita una denuncia"
Lo so ci sono andata, ma il carabiniere di turno non c'era, dice che era stato arrestato per aver ammazzato la moglie con la pistola d'ordinanza. Dice: "Torni domani oggi c'è confusione, ma nella mia vita c'è sempre stata confusione a parte che sul lavoro. Non ho fatto in tempo a salvarmi, mi ha strozzato […] .