Le lettere di Agata Pinnelli
Una spaziatura liturgica in sintonia con la Bellezza di Dio
Il nuovo altare della Chiesa di S. Teresa del Bambin Gesù
domenica 14 ottobre 2018
9.15
Il momento liturgico di consacrazione del nuovo altare, celebrato dal vescovo della Diocesi di Andria Mons. Luigi Mansi, lo scorso 27 settembre a Canosa di Puglia(BT), con la presenza di altri sacerdoti insieme al parroco Don Vito Zinfollino, è stato inserito nella ricorrenza della festa parrocchiale di Santa Teresa, perché "la nostra santina è testimonianza di un rapporto speciale con la Bellezza". Infatti Ella traeva sempre dalla Bellezza circostante lo stimolo per il suo esercizio d'amore in Gesù e con Lui per gli altri. Autore del progetto l'artista Pietro Zagaria, sotto la direzione teologica di don Ettore Lestingi, cancelliere della diocesi, in cui le varie professionalità intervenute hanno interagito in sinergia per rinnovare il presbiterio, dove la nuova spazialità esalta la centralità di Cristo, della Sua Parola, in uno stile essenziale, sobrio, che non distoglie, ma favorisce il silenzio, l'attenzione, l'ascolto, la consapevolezza di quello che accade nello spazio sacro del Presbiterio. Il direttore del progetto, Don Ettore Lestingi, nel precedente incontro del 24 settembre scorso, ha precisato che tale rinnovamento non è nato dal desiderio di dare un nuovo volto agli spazi liturgici, motivazione effimera e superficiale, ma da una più profonda, quella di rinverdire e mettere in moto una fede più viva in Cristo Risorto attraverso una consapevolezza della spazialità liturgica.
Durante la celebrazione eucaristica di consacrazione il vescovo mirabilmente ha posto un momento di riflessione sulla Bellezza, richiamando S. Agostino che nel suo percorso di conversione ha seguito la via della Bellezza, precisandone in Dio l'Artefice e lo Splendore Massimo. Ha voluto sottolineare non solo la Bellezza dell'altare o del creato, ma soprattutto la Bellezza evangelica del cuore, che rappresenta la speranza di combattere, di cambiare, di acquisire una forma mentis solidale con Dio, un cuore che vive, sente, agisce con il vangelo. Infatti dove c'è amore, pace e giustizia è Bellezza; lì dove c'è l'uomo, una storia è Bellezza. S. Agostino riconosce una Bellezza tanto antica, perché c'è da sempre, e tanto nuova, perché ritrovata dentro di sé, nella sua storia, nella sua memoria, nell'uomo. La Bellezza è una traccia eterna del "Bellissimo", per possederla occorre conoscere e amare Colui che la possiede, Cristo, che spalanca il cuore alla speranza e a quell'oltre a cui anela ogni uomo.
Il nuovo altare è la pagina vivente della Bellezza che si è voluta esternare eliminando ogni traccia di mutismo. Davanti ad esso nella nuova e pertinente spaziatura liturgica, leggiamo e mastichiamo consapevolmente la Bellezza di Cristo nel suo divenire AMORE e CIBO per tutti noi nella scuola del cuore. La spazialità liturgica, infatti, non consiste in una serie di elementi a se stanti, ma sono spazi vivi e integranti, che parlano, in cui si compiono gli eventi della nostra salvezza. La liturgia – spiega don Ettore – è azione, gestualità, dove si rinnova una sublime verità: "l'incontro salvifico con Cristo". Lo spazio liturgico diventa catechesi, perché vi parla anche la materia.
L'altare è segno di Cristo, pietra alta e preziosa, l'ara del sacrificio. Non a caso la sua forma è un cubo! Esso richiama l'ara dell'Antico Testamento dove venivano immolati gli animali del sacrificio. Ma l'ispirazione quadrata non è stata alimentata solo dalla memoria del passato, ma anche del futuro, proiettato nell'Apocalisse di S. Giovanni Apostolo, in cui si parla dell'altare del cielo, inserito in un tempio quadrato, le cui pareti sono esposte ai quattro punti cardinali, simboleggiando così il mondo e la universalità, inglobando tutti gli uomini al di là delle loro differenze peculiari, nel progetto di Salvezza e di Amore di Dio attraverso il dono della Parola. Gli altari di solito erano e sono rettangolari, forma che richiama il concetto di "mensa comunitaria, banchetto conviviale", in riferimento alla "Cena Eucaristica". Ridurre tutto alla dimensione conviviale sarebbe un elemento troppo riduttivo a svantaggio del Memoriale del sacrificio di Cristo, cioè il Memoriale del Suo gesto d'Amore. Infatti il papa Benedetto XVI, consapevole di questa restrizione introdusse la presenza sull'altare della Croce, proprio per non far dimenticare lo "spazio" dove Cristo ha espletato il suo gesto d'amore per l'Umanità.
Nella parte bassa dell'altare sono visibili dei tagli che richiamano la lettera V, non sono inserimenti per arricchire la bellezza estetica, ma per rappresentare il mistero della salvezza. Significativa la simbologia usata: è una catechesi viva, in quanto i suoi elementi costitutivi parlano concretamente del mistero della salvezza di cui si parla nella lettera di S. Paolo ai Filippesi: l'abbassamento di Cristo alla dimensione dell'uomo con la discesa agli inferi e il Suo innalzamento insieme all'uomo verso Dio. La Croce è il luogo dove il mistero della salvezza si è concretizzato e questo suo essere conficcata nella profondità del pavimento, sta ad indicare l'universalità della salvezza. Ecco perché la croce conficcata nella pietra è luminosa, non è un elemento materiale in cui si manifesta la brutalità dell'uomo, ma è luce, vita, gioia, rappresenta l'incontro dell'uomo con Cristo Risorto.
La materia con cui è stato costruito l'altare è principalmente il legno, ma la mensa è in pietra su cui sono state incise cinque croci, quattro posizionate lateralmente e una al centro per indicare le cinque piaghe di Gesù e per non dimenticare che lì si compie il mistero della nostra salvezza.L'altare, per far sì che parli, - chiarisce – Don Ettore – deve mantenere la sua linea di sobrietà, di semplicità, si veste solo durante le celebrazioni, senza il frastuono degli addobbi che possono deviare l'attenzione partecipativa all'incontro con la Bellezza suprema: Cristo – Amore. La spazialità dell'altare è area alta, distinta con un pavimento sopraelevato, elemento che lo differenzia da tutti gli altri spazi collocati in basso, mettendo in risalto l'azione di salire verso il Divino, sacrificatosi per l'Umanità.
Anche l'ambone, come l'altare, non è un elemento del presbiterio, ma lo spazio celebrativo della Parola di Dio, che per proclamarla bisogna innalzarsi, salire, proprio come suggerisce il suo significato etimologico di "movimento, gestualità", significato che già di per sé comunica un qualcosa. Infatti esso richiama la comunità che fu costruita quando il sacerdote Esedra proclamò la scrittura degli israeliti; è segno del Sinai, da cui è disceso l'antico decalogo; è segno del monte delle beatitudini da cui Cristo proclama il nuovo dettato; ed ancora la gestualità del salire comunica che, come la pioggia scende dal cielo sulla terra e non vi ritorna senza averla irrigata e fecondata, così la Parola di Dio scende in mezzo a noi per irrigare, riempire i nostri cuori di grazia. Pertanto chi va a proclamare la Parola di Dio deve esprimere questi significati attraverso la gestualità, il movimento del salire, la lettura, interpretati con consapevolezza, decoro, sobrietà e professionalità, perché la Parola di Dio non è una lettura di routine, ma bisogna tenere sempre presente che è Lui che parla. Anche attraverso la materialità si evangelizza, come si evince dalla esortazione incisa sulla parete frontale dell'ambone quasi a dire che la Parola di Dio arriva nel nostro cuore come una sinfonia armonica di voci e strumenti diversi ma tutti convergenti: <<…Figlio dell'uomo…mangia questo rotolo…Io lo mangiai. E fu per la mia bocca. Dolce come il miele>> Ez. 3,1.3.
La sedia è lo spazio liturgico della presidenza, di chi è chiamato a presiedere l'assemblea. A differenza delle altre chiese, in cui è collocata dietro o accanto all'altare, è stata posizionata lateralmente, più in alto rispetto all'assemblea e sull'asse dell'ambone proprio perché i progettisti hanno voluto evidenziare una verità semplice: il sacerdote è il primo ad essere chiamato ad ascoltare la Parola di Dio. Per questo non è in linea con l'assemblea che è più in basso, ma è sotto la Parola; infatti per andarvi deve scendere e tutti, assemblea e sacerdote, sono sotto la Parola. Questa comunione di posizionalità, pur diversa, ma sempre sotto la Parola, mette in risalto la grandezza della "Parola" a cui tutta l'assemblea e il sacerdote devono sottostare.
Il tabernacolo è lo spazio in cui tutto deve parlare della presenza di Cristo. L'oro lo caratterizza, essendo l'unico metallo che, nella mentalità umana, per la sua preziosità, è avvicinabile a Dio. La sapienza artistica, con cui è stato realizzato, è tangibile nel fine bassorilievo della Custodia Eucaristica, posto al centro, capace di rapire con immediatezza lo sguardo e il cuore del credente, nonostante la sua piccolezza, in quella colata dorata, sapientemente lasciata senza alcuna decorazione distraente. Gli angeli completano la parete del tabernacolo, non sono stati messi a caso, essi sono i custodi e gli adoratori dell'Eucarestia, non solo, ma dall'atteggiamento rappresentato si evince che ne sono anche i cantori. Infatti la figura dell'angelo nell'Eucarestia è molto lontana, affonda le sue radici nel Canone Romano per l'istituzione eucaristica ed ancora al papa Benedetto XVI. Infatti durante la Eucarestia il sacerdote proclama questa semplice verità nel Prefazio: << Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi cantiamo la tua gloria… santo, santo …>>. Le icone sono, quindi, quadri parlanti della verità evangelica.
Infine il colore bianco del presbiterio ci inonda del colore e della luce di Dio, che si concretizzano nella purezza. La santina, pertanto, ci invita a percorrere il nostro "sentiero personale" nel silenzio interiore, nella profondità dell'essere, dei propri limiti per incontrare la Bellezza di sé, e degli altri, liberi di porsi domande, di meditare, di mettersi in cammino verso la Verità, piuttosto che subire affermazioni, testimoniandone così la Bellezza nel quotidiano, in ogni sfaccettatura della Vita che chiede di essere ascoltata, amata, rispettata nei vari volti che incontriamo.
Agata Pinnelli
Foto a cura di Savino Mazzarella
Durante la celebrazione eucaristica di consacrazione il vescovo mirabilmente ha posto un momento di riflessione sulla Bellezza, richiamando S. Agostino che nel suo percorso di conversione ha seguito la via della Bellezza, precisandone in Dio l'Artefice e lo Splendore Massimo. Ha voluto sottolineare non solo la Bellezza dell'altare o del creato, ma soprattutto la Bellezza evangelica del cuore, che rappresenta la speranza di combattere, di cambiare, di acquisire una forma mentis solidale con Dio, un cuore che vive, sente, agisce con il vangelo. Infatti dove c'è amore, pace e giustizia è Bellezza; lì dove c'è l'uomo, una storia è Bellezza. S. Agostino riconosce una Bellezza tanto antica, perché c'è da sempre, e tanto nuova, perché ritrovata dentro di sé, nella sua storia, nella sua memoria, nell'uomo. La Bellezza è una traccia eterna del "Bellissimo", per possederla occorre conoscere e amare Colui che la possiede, Cristo, che spalanca il cuore alla speranza e a quell'oltre a cui anela ogni uomo.
Il nuovo altare è la pagina vivente della Bellezza che si è voluta esternare eliminando ogni traccia di mutismo. Davanti ad esso nella nuova e pertinente spaziatura liturgica, leggiamo e mastichiamo consapevolmente la Bellezza di Cristo nel suo divenire AMORE e CIBO per tutti noi nella scuola del cuore. La spazialità liturgica, infatti, non consiste in una serie di elementi a se stanti, ma sono spazi vivi e integranti, che parlano, in cui si compiono gli eventi della nostra salvezza. La liturgia – spiega don Ettore – è azione, gestualità, dove si rinnova una sublime verità: "l'incontro salvifico con Cristo". Lo spazio liturgico diventa catechesi, perché vi parla anche la materia.
L'altare è segno di Cristo, pietra alta e preziosa, l'ara del sacrificio. Non a caso la sua forma è un cubo! Esso richiama l'ara dell'Antico Testamento dove venivano immolati gli animali del sacrificio. Ma l'ispirazione quadrata non è stata alimentata solo dalla memoria del passato, ma anche del futuro, proiettato nell'Apocalisse di S. Giovanni Apostolo, in cui si parla dell'altare del cielo, inserito in un tempio quadrato, le cui pareti sono esposte ai quattro punti cardinali, simboleggiando così il mondo e la universalità, inglobando tutti gli uomini al di là delle loro differenze peculiari, nel progetto di Salvezza e di Amore di Dio attraverso il dono della Parola. Gli altari di solito erano e sono rettangolari, forma che richiama il concetto di "mensa comunitaria, banchetto conviviale", in riferimento alla "Cena Eucaristica". Ridurre tutto alla dimensione conviviale sarebbe un elemento troppo riduttivo a svantaggio del Memoriale del sacrificio di Cristo, cioè il Memoriale del Suo gesto d'Amore. Infatti il papa Benedetto XVI, consapevole di questa restrizione introdusse la presenza sull'altare della Croce, proprio per non far dimenticare lo "spazio" dove Cristo ha espletato il suo gesto d'amore per l'Umanità.
Nella parte bassa dell'altare sono visibili dei tagli che richiamano la lettera V, non sono inserimenti per arricchire la bellezza estetica, ma per rappresentare il mistero della salvezza. Significativa la simbologia usata: è una catechesi viva, in quanto i suoi elementi costitutivi parlano concretamente del mistero della salvezza di cui si parla nella lettera di S. Paolo ai Filippesi: l'abbassamento di Cristo alla dimensione dell'uomo con la discesa agli inferi e il Suo innalzamento insieme all'uomo verso Dio. La Croce è il luogo dove il mistero della salvezza si è concretizzato e questo suo essere conficcata nella profondità del pavimento, sta ad indicare l'universalità della salvezza. Ecco perché la croce conficcata nella pietra è luminosa, non è un elemento materiale in cui si manifesta la brutalità dell'uomo, ma è luce, vita, gioia, rappresenta l'incontro dell'uomo con Cristo Risorto.
La materia con cui è stato costruito l'altare è principalmente il legno, ma la mensa è in pietra su cui sono state incise cinque croci, quattro posizionate lateralmente e una al centro per indicare le cinque piaghe di Gesù e per non dimenticare che lì si compie il mistero della nostra salvezza.L'altare, per far sì che parli, - chiarisce – Don Ettore – deve mantenere la sua linea di sobrietà, di semplicità, si veste solo durante le celebrazioni, senza il frastuono degli addobbi che possono deviare l'attenzione partecipativa all'incontro con la Bellezza suprema: Cristo – Amore. La spazialità dell'altare è area alta, distinta con un pavimento sopraelevato, elemento che lo differenzia da tutti gli altri spazi collocati in basso, mettendo in risalto l'azione di salire verso il Divino, sacrificatosi per l'Umanità.
Anche l'ambone, come l'altare, non è un elemento del presbiterio, ma lo spazio celebrativo della Parola di Dio, che per proclamarla bisogna innalzarsi, salire, proprio come suggerisce il suo significato etimologico di "movimento, gestualità", significato che già di per sé comunica un qualcosa. Infatti esso richiama la comunità che fu costruita quando il sacerdote Esedra proclamò la scrittura degli israeliti; è segno del Sinai, da cui è disceso l'antico decalogo; è segno del monte delle beatitudini da cui Cristo proclama il nuovo dettato; ed ancora la gestualità del salire comunica che, come la pioggia scende dal cielo sulla terra e non vi ritorna senza averla irrigata e fecondata, così la Parola di Dio scende in mezzo a noi per irrigare, riempire i nostri cuori di grazia. Pertanto chi va a proclamare la Parola di Dio deve esprimere questi significati attraverso la gestualità, il movimento del salire, la lettura, interpretati con consapevolezza, decoro, sobrietà e professionalità, perché la Parola di Dio non è una lettura di routine, ma bisogna tenere sempre presente che è Lui che parla. Anche attraverso la materialità si evangelizza, come si evince dalla esortazione incisa sulla parete frontale dell'ambone quasi a dire che la Parola di Dio arriva nel nostro cuore come una sinfonia armonica di voci e strumenti diversi ma tutti convergenti: <<…Figlio dell'uomo…mangia questo rotolo…Io lo mangiai. E fu per la mia bocca. Dolce come il miele>> Ez. 3,1.3.
La sedia è lo spazio liturgico della presidenza, di chi è chiamato a presiedere l'assemblea. A differenza delle altre chiese, in cui è collocata dietro o accanto all'altare, è stata posizionata lateralmente, più in alto rispetto all'assemblea e sull'asse dell'ambone proprio perché i progettisti hanno voluto evidenziare una verità semplice: il sacerdote è il primo ad essere chiamato ad ascoltare la Parola di Dio. Per questo non è in linea con l'assemblea che è più in basso, ma è sotto la Parola; infatti per andarvi deve scendere e tutti, assemblea e sacerdote, sono sotto la Parola. Questa comunione di posizionalità, pur diversa, ma sempre sotto la Parola, mette in risalto la grandezza della "Parola" a cui tutta l'assemblea e il sacerdote devono sottostare.
Il tabernacolo è lo spazio in cui tutto deve parlare della presenza di Cristo. L'oro lo caratterizza, essendo l'unico metallo che, nella mentalità umana, per la sua preziosità, è avvicinabile a Dio. La sapienza artistica, con cui è stato realizzato, è tangibile nel fine bassorilievo della Custodia Eucaristica, posto al centro, capace di rapire con immediatezza lo sguardo e il cuore del credente, nonostante la sua piccolezza, in quella colata dorata, sapientemente lasciata senza alcuna decorazione distraente. Gli angeli completano la parete del tabernacolo, non sono stati messi a caso, essi sono i custodi e gli adoratori dell'Eucarestia, non solo, ma dall'atteggiamento rappresentato si evince che ne sono anche i cantori. Infatti la figura dell'angelo nell'Eucarestia è molto lontana, affonda le sue radici nel Canone Romano per l'istituzione eucaristica ed ancora al papa Benedetto XVI. Infatti durante la Eucarestia il sacerdote proclama questa semplice verità nel Prefazio: << Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi cantiamo la tua gloria… santo, santo …>>. Le icone sono, quindi, quadri parlanti della verità evangelica.
Infine il colore bianco del presbiterio ci inonda del colore e della luce di Dio, che si concretizzano nella purezza. La santina, pertanto, ci invita a percorrere il nostro "sentiero personale" nel silenzio interiore, nella profondità dell'essere, dei propri limiti per incontrare la Bellezza di sé, e degli altri, liberi di porsi domande, di meditare, di mettersi in cammino verso la Verità, piuttosto che subire affermazioni, testimoniandone così la Bellezza nel quotidiano, in ogni sfaccettatura della Vita che chiede di essere ascoltata, amata, rispettata nei vari volti che incontriamo.
Agata Pinnelli
Foto a cura di Savino Mazzarella