Le Pillole
Il valore dell'acqua
E' l'oro blu di oggi
sabato 22 maggio 2021
20.40
Acqua, cibo, salute, energia, lavoro: tutto è connesso. Negli anni '30 eravamo 2,5 miliardi di persone al mondo ed il 50% delle terre emerse erano verdi e selvagge. Oggi siamo circa 8 miliardi di persone e le terre verdi e selvagge sono meno del 30% della superficie terrestre. L'acqua è la "stazione di ricarica" comune di queste interconnessioni che costituiscono gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'ONU, definiti nella famosa Agenda 2030. Senza acqua pulita non si può combattere la povertà, la fame, la sete. Non si possono debellare le malattie ed i virus, clienti abituali del mondo di oggi.
L'acqua disseta, fa cibo, serve anche per fare quella energia, che è base dello sviluppo.
E' l'oro blu di oggi e del prossimo domani, è contesa tra i popoli, e può essere seria ragione di guerre. Si stima infatti che nel 2050 la popolazione globale avrà bisogno del 50% di acqua in più rispetto ad oggi.
Una cifra irraggiungibile, inarrivabile, considerando le attuali disponibilità. Il ciclo idrogeologico è un sistema chiuso che mette a disposizione solo lo 0,75% dell'acqua presente sulla Terra, nascosta nel sottosuolo, distribuita tra fiumi e laghi, visibile nel ciclo come ghiaccio, neve, vapore, pioggia.
Questa situazione, drammatica per le generazioni future, è resa più complicata dal surriscaldamento climatico del pianeta che riduce la disponibilità di acqua dolce.
Ho letto con interesse il libro di Dan Rabinowits, professore di Sociologia ed Antropologia dell'Università di Tel Aviv, dal titolo forte e profetico "The Power of Deserts", edito dalla Standford University Press.
L'autore esplora le problematiche connesse al cambiamento climatico e lo fa prendendo in esame il Middle East, una regione del mondo allo stesso tempo ricca di gas e petrolio e parimenti caratterizzata da una situazione climatica che fa di quei luoghi i più caldi e i più aridi della terra. Ecco la potenza dei deserti che avanza in terre di Stati ricchi e potenti come sono quelli del Golfo Persico.
L'analisi dell'autore indica che presto quei ricchi territori potrebbero vedere mancanza d'acqua e di cibo, aggravarsi le già esistenti situazioni di ineguaglianza sociale, crearsi reali rischi di destabilizzazione politica, anche violenta.
Il filo conduttore di questo racconto a più facce si snoda tra due pietre miliari: il cambiamento climatico, dovuto alle emissioni alla atmosfera di gas clima alteranti, e la scarsità di acqua, elemento indispensabile per fronteggiare la siccità, per fermare il deserto che avanza.
Urge per quei popoli pensare rapidamente ad una visione di società post-oil, costruendo il cambiamento con l'ausilio del sole, potente irradiatore di quelle terre.
Siamo partiti dal Middle East, ma tutto il mondo deve considerare "A new climate for peace", un nuovo clima che eviti l'attuale rischio reale di pericolose destabilizzazioni di Stati e del relativo tessuto sociale.
Dobbiamo riguadagnare al mondo pace e salute.
Nel 2000 il mondo ha fronteggiato la SARS, nel 2010 la Mers, nel 2020 è iniziata la battaglia contro la pandemia da Sars-Cov2, che tanti morti ha fatto e continua a fare. Ogni decade un grosso guaio per la salute del mondo. Questa cadenza temporale deve spingerci, noi popolo del mondo, superata la pandemia, ad un approccio umile verso calamità naturali che, malgrado tanta ricerca e sviluppo, ci trovano impreparati perché conosciamo ancora poco i segreti della natura.
A tutti è chiesto un passo indietro. L'acqua deve tornare ad essere fonte di vita, disponibile per tutti gli abitanti della terra.
L'acqua per salvare il Pianeta che abbiamo colpevolmente devastato, deforestato.
Il business globalizzato ha aumentato pericolosamente l'impronta umana, ha eroso i nostri territori, ha distrutto faune selvatiche e nicchie ecologiche di virus, batteri, funghi, animali e vegetali spesso sconosciuti ma utilissimi all'ecosistema, che rischia il collasso.
Dopo il Middle East, l'Area Mediterranea è seconda per incremento della temperatura media globale; anche i fondali del Mare Nostrum si stanno pericolosamente surriscaldando.
Il dopo pandemia non ci potrà vedere attori passivi o peggio spettatori disinteressati della distruzione del Pianeta. Esiste una sola via per salvarci e salvare il nostro futuro: dobbiamo cambiare rapidamente e profondamente il nostro stile di vita.
Non facendolo si stima che nel 2100 la temperatura media globale si incrementerebbe di circa 3°C rispetto agli attuali valori. Per evitare questo guaio dobbiamo tagliare le emissioni globali di gas serra di almeno il 50% al 2030. I Paesi a maggior grado di emissione Cina, India, Russia, Stati Uniti, devono essere i primi a ridurre le emissioni nazionali di gas serra.
Nel mentre nel dibattito globale va rifocalizzata la necessità di attrezzarsi a fronteggiare una crisi idrica globale, di cui colpevolmente non si parla abbastanza.
Il 22 Marzo scorso abbiamo celebrato il "World Water Day" focalizzato sul tema "Valuing water", valorizzare l'acqua.
L'importanza dell'acqua non è solo economica, è soprattutto sociale legata com'è al cibo, alla cultura, alla salute, all'istruzione, all'economia ed all'integrità dell'ambiente naturale. Nessuno di questi aspetti va trascurato, se non vogliamo rischiare di gestire male una risorsa insostituibile ma a dimensione finita.
Oggi, malgrado gli importanti progressi degli ultimi anni, 2,2 miliardi di esseri umani continuano a non avere accesso ad acqua pulita, gestita in modo sicuro.
La mancanza di accesso sicuro all'acqua di tanti nostri fratelli pone questioni di omesso rispetto della dignità umana.
La sete, la malnutrizione, l'incremento di malattie infettive, le obbligate migrazioni climatiche sono tanti aspetti di uno stesso peccato: il mancato rispetto della persona umana.
Nei Paesi poveri e sottosviluppati del mondo, soprattutto nelle zone rurali, c'è difficoltà a lavarsi le mani, c'è la necessità di fare chilometri al giorno per riempire alla fonte più vicina un badile di acqua.
Il mio lavoro mi ha portato a vedere con gli occhi queste strazianti situazioni. Ho visto anche la felicità dei bambini di Gaza, sporchi e sorridenti, di fronte al fluire dai fontanili di acqua che avevamo potabilizzato. Inauguravo con il Ministro Serri un'opera finanziata dalla Cooperazione Italiana. Il progetto aveva reso potabile l'acqua salmastra e ricca di tanto iodio dei pozzi.
La ricetta non dobbiamo cercarla, la conosciamo: combattere ed evitare le emissioni clima alteranti, attuare la rigenerazione ed il riuso delle acque reflue, avere comportamenti resilienti ed adattivi per stoccare con idonee infrastrutture anche l'acqua delle bombe d'acqua.
L'acqua va anzitutto risparmiata, recuperata, rigenerata e rimessa in ciclo. E dobbiamo farlo anche noi Italiani. L'Italia, in accordo ai dati OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, è nazione a stress idrico medio-alto.
Impiega infatti il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili ed ha un tasso medio annuo di incremento dei consumi del 6%. Anche considerando la nostra posizione geografica nel Mediterraneo, di cui abbiamo ricordato il pericoloso incremento di temperatura media, come Paese UE abbiamo attivato insieme agli altri paesi rivieraschi, il programma "PRIMA", Partenariato di Ricerca e Innovazione nell'area mediterranea. Si tratta di un programma mirato al settore idrico ed alimentare, pensato come strumento importante per il dialogo e la cooperazione fra i paesi euro-mediterranei, per uno sviluppo economico e sociale sostenibile e duraturo nel tempo.
Il "PRIMA", voluto dalla Comunità Europea, nei prossimi dieci anni gestirà oltre mezzo miliardo di euro sui temi dell'innovazione nei sistemi alimentari, delle tecnologie per la sostenibilità e la sicurezza in agricoltura, dell'uso efficiente delle risorse idriche.
L'accordo raggiunto tra i Paesi UE e non UE è operativo dall'inizio del 2018.
I primi risultati sono già visibili, ora implementabili dall'European Green Deal sulla scia di Agenda 2030, linea guida della transizione globale verso la sostenibilità.
I temi affrontati sono efficienza nell'irrigazione dei nostri campi, studio di soluzioni per fronteggiare la scarsità idrica in condizioni climatiche avverse, analisi per la gestione integrata degli acquiferi e delle acque sotterranee.
La tecnologia dei sensori e la digitalizzazione entrano prepotentemente in questo nuovo ambito, con applicazioni in serre hight-tech, coltivazioni idroponiche, riduzione dei consumi di acqua in edilizia.
Anche noi abbiamo i nostri "Young Champions of the Earth", start-up ideate da giovani imprenditori come "Sfera Agricola" per la produzione di ortaggi nel milanese in serre attive che risparmiano fino al 90% di acqua con riferimento alla coltivazione al suolo, come "Agricolus" che dà supporto cloud agli agricoltori definendo politiche di fertirrigazione di precisione, come "Milk Brick", che ha messo a punto una tecnologia che elimina l'acqua nella miscelazione del calcestruzzo. L'acqua è sostituita dal latte di scarto dell'industria casearia che la tecnologia separa in acqua e caseina, trasformando quest'ultima in fibra polimerica trasparente ed antibatterica utilizzata in prodotti per l'edilizia.
Questa sera, con vivo piacere tutto pugliese, ho ascoltato prima del mio intervento quello del Presidente dell'AQP S.p.A., Dott. Simeone Di Cagno Abbrescia. L'acquedotto pugliese, ora il più grande sistema acquedottistico d'Europa, è opera caparbiamente voluta da Matteo Renato Imbriani. AQP, da oltre 100 anni, disseta la "Apulia siticulosa" di Oraziana memoria. Lo ha fatto, lo fa con la stessa passione del suo primo mentore, guidata da un principio da sempre sostenibile: l'acqua risorsa preziosa da raccogliere, recuperare, ricircolare proprio come al giovane nipote ricordava e raccomandava nonno Nunzio:"Cugghie l'acqua quane chiove".
Questo insegnamento, il grande lavoro di AQP, oggi più di ieri è il giusto approccio a quel cambiamento di vita che a noi tutti si chiede passata la terribile pandemia.
Nunzio Valentino
L'acqua disseta, fa cibo, serve anche per fare quella energia, che è base dello sviluppo.
E' l'oro blu di oggi e del prossimo domani, è contesa tra i popoli, e può essere seria ragione di guerre. Si stima infatti che nel 2050 la popolazione globale avrà bisogno del 50% di acqua in più rispetto ad oggi.
Una cifra irraggiungibile, inarrivabile, considerando le attuali disponibilità. Il ciclo idrogeologico è un sistema chiuso che mette a disposizione solo lo 0,75% dell'acqua presente sulla Terra, nascosta nel sottosuolo, distribuita tra fiumi e laghi, visibile nel ciclo come ghiaccio, neve, vapore, pioggia.
Questa situazione, drammatica per le generazioni future, è resa più complicata dal surriscaldamento climatico del pianeta che riduce la disponibilità di acqua dolce.
Ho letto con interesse il libro di Dan Rabinowits, professore di Sociologia ed Antropologia dell'Università di Tel Aviv, dal titolo forte e profetico "The Power of Deserts", edito dalla Standford University Press.
L'autore esplora le problematiche connesse al cambiamento climatico e lo fa prendendo in esame il Middle East, una regione del mondo allo stesso tempo ricca di gas e petrolio e parimenti caratterizzata da una situazione climatica che fa di quei luoghi i più caldi e i più aridi della terra. Ecco la potenza dei deserti che avanza in terre di Stati ricchi e potenti come sono quelli del Golfo Persico.
L'analisi dell'autore indica che presto quei ricchi territori potrebbero vedere mancanza d'acqua e di cibo, aggravarsi le già esistenti situazioni di ineguaglianza sociale, crearsi reali rischi di destabilizzazione politica, anche violenta.
Il filo conduttore di questo racconto a più facce si snoda tra due pietre miliari: il cambiamento climatico, dovuto alle emissioni alla atmosfera di gas clima alteranti, e la scarsità di acqua, elemento indispensabile per fronteggiare la siccità, per fermare il deserto che avanza.
Urge per quei popoli pensare rapidamente ad una visione di società post-oil, costruendo il cambiamento con l'ausilio del sole, potente irradiatore di quelle terre.
Siamo partiti dal Middle East, ma tutto il mondo deve considerare "A new climate for peace", un nuovo clima che eviti l'attuale rischio reale di pericolose destabilizzazioni di Stati e del relativo tessuto sociale.
Dobbiamo riguadagnare al mondo pace e salute.
Nel 2000 il mondo ha fronteggiato la SARS, nel 2010 la Mers, nel 2020 è iniziata la battaglia contro la pandemia da Sars-Cov2, che tanti morti ha fatto e continua a fare. Ogni decade un grosso guaio per la salute del mondo. Questa cadenza temporale deve spingerci, noi popolo del mondo, superata la pandemia, ad un approccio umile verso calamità naturali che, malgrado tanta ricerca e sviluppo, ci trovano impreparati perché conosciamo ancora poco i segreti della natura.
A tutti è chiesto un passo indietro. L'acqua deve tornare ad essere fonte di vita, disponibile per tutti gli abitanti della terra.
L'acqua per salvare il Pianeta che abbiamo colpevolmente devastato, deforestato.
Il business globalizzato ha aumentato pericolosamente l'impronta umana, ha eroso i nostri territori, ha distrutto faune selvatiche e nicchie ecologiche di virus, batteri, funghi, animali e vegetali spesso sconosciuti ma utilissimi all'ecosistema, che rischia il collasso.
Dopo il Middle East, l'Area Mediterranea è seconda per incremento della temperatura media globale; anche i fondali del Mare Nostrum si stanno pericolosamente surriscaldando.
Il dopo pandemia non ci potrà vedere attori passivi o peggio spettatori disinteressati della distruzione del Pianeta. Esiste una sola via per salvarci e salvare il nostro futuro: dobbiamo cambiare rapidamente e profondamente il nostro stile di vita.
Non facendolo si stima che nel 2100 la temperatura media globale si incrementerebbe di circa 3°C rispetto agli attuali valori. Per evitare questo guaio dobbiamo tagliare le emissioni globali di gas serra di almeno il 50% al 2030. I Paesi a maggior grado di emissione Cina, India, Russia, Stati Uniti, devono essere i primi a ridurre le emissioni nazionali di gas serra.
Nel mentre nel dibattito globale va rifocalizzata la necessità di attrezzarsi a fronteggiare una crisi idrica globale, di cui colpevolmente non si parla abbastanza.
Il 22 Marzo scorso abbiamo celebrato il "World Water Day" focalizzato sul tema "Valuing water", valorizzare l'acqua.
L'importanza dell'acqua non è solo economica, è soprattutto sociale legata com'è al cibo, alla cultura, alla salute, all'istruzione, all'economia ed all'integrità dell'ambiente naturale. Nessuno di questi aspetti va trascurato, se non vogliamo rischiare di gestire male una risorsa insostituibile ma a dimensione finita.
Oggi, malgrado gli importanti progressi degli ultimi anni, 2,2 miliardi di esseri umani continuano a non avere accesso ad acqua pulita, gestita in modo sicuro.
La mancanza di accesso sicuro all'acqua di tanti nostri fratelli pone questioni di omesso rispetto della dignità umana.
La sete, la malnutrizione, l'incremento di malattie infettive, le obbligate migrazioni climatiche sono tanti aspetti di uno stesso peccato: il mancato rispetto della persona umana.
Nei Paesi poveri e sottosviluppati del mondo, soprattutto nelle zone rurali, c'è difficoltà a lavarsi le mani, c'è la necessità di fare chilometri al giorno per riempire alla fonte più vicina un badile di acqua.
Il mio lavoro mi ha portato a vedere con gli occhi queste strazianti situazioni. Ho visto anche la felicità dei bambini di Gaza, sporchi e sorridenti, di fronte al fluire dai fontanili di acqua che avevamo potabilizzato. Inauguravo con il Ministro Serri un'opera finanziata dalla Cooperazione Italiana. Il progetto aveva reso potabile l'acqua salmastra e ricca di tanto iodio dei pozzi.
La ricetta non dobbiamo cercarla, la conosciamo: combattere ed evitare le emissioni clima alteranti, attuare la rigenerazione ed il riuso delle acque reflue, avere comportamenti resilienti ed adattivi per stoccare con idonee infrastrutture anche l'acqua delle bombe d'acqua.
L'acqua va anzitutto risparmiata, recuperata, rigenerata e rimessa in ciclo. E dobbiamo farlo anche noi Italiani. L'Italia, in accordo ai dati OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, è nazione a stress idrico medio-alto.
Impiega infatti il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili ed ha un tasso medio annuo di incremento dei consumi del 6%. Anche considerando la nostra posizione geografica nel Mediterraneo, di cui abbiamo ricordato il pericoloso incremento di temperatura media, come Paese UE abbiamo attivato insieme agli altri paesi rivieraschi, il programma "PRIMA", Partenariato di Ricerca e Innovazione nell'area mediterranea. Si tratta di un programma mirato al settore idrico ed alimentare, pensato come strumento importante per il dialogo e la cooperazione fra i paesi euro-mediterranei, per uno sviluppo economico e sociale sostenibile e duraturo nel tempo.
Il "PRIMA", voluto dalla Comunità Europea, nei prossimi dieci anni gestirà oltre mezzo miliardo di euro sui temi dell'innovazione nei sistemi alimentari, delle tecnologie per la sostenibilità e la sicurezza in agricoltura, dell'uso efficiente delle risorse idriche.
L'accordo raggiunto tra i Paesi UE e non UE è operativo dall'inizio del 2018.
I primi risultati sono già visibili, ora implementabili dall'European Green Deal sulla scia di Agenda 2030, linea guida della transizione globale verso la sostenibilità.
I temi affrontati sono efficienza nell'irrigazione dei nostri campi, studio di soluzioni per fronteggiare la scarsità idrica in condizioni climatiche avverse, analisi per la gestione integrata degli acquiferi e delle acque sotterranee.
La tecnologia dei sensori e la digitalizzazione entrano prepotentemente in questo nuovo ambito, con applicazioni in serre hight-tech, coltivazioni idroponiche, riduzione dei consumi di acqua in edilizia.
Anche noi abbiamo i nostri "Young Champions of the Earth", start-up ideate da giovani imprenditori come "Sfera Agricola" per la produzione di ortaggi nel milanese in serre attive che risparmiano fino al 90% di acqua con riferimento alla coltivazione al suolo, come "Agricolus" che dà supporto cloud agli agricoltori definendo politiche di fertirrigazione di precisione, come "Milk Brick", che ha messo a punto una tecnologia che elimina l'acqua nella miscelazione del calcestruzzo. L'acqua è sostituita dal latte di scarto dell'industria casearia che la tecnologia separa in acqua e caseina, trasformando quest'ultima in fibra polimerica trasparente ed antibatterica utilizzata in prodotti per l'edilizia.
Questa sera, con vivo piacere tutto pugliese, ho ascoltato prima del mio intervento quello del Presidente dell'AQP S.p.A., Dott. Simeone Di Cagno Abbrescia. L'acquedotto pugliese, ora il più grande sistema acquedottistico d'Europa, è opera caparbiamente voluta da Matteo Renato Imbriani. AQP, da oltre 100 anni, disseta la "Apulia siticulosa" di Oraziana memoria. Lo ha fatto, lo fa con la stessa passione del suo primo mentore, guidata da un principio da sempre sostenibile: l'acqua risorsa preziosa da raccogliere, recuperare, ricircolare proprio come al giovane nipote ricordava e raccomandava nonno Nunzio:"Cugghie l'acqua quane chiove".
Questo insegnamento, il grande lavoro di AQP, oggi più di ieri è il giusto approccio a quel cambiamento di vita che a noi tutti si chiede passata la terribile pandemia.
Nunzio Valentino