Le lettere di Agata Pinnelli
Il Milite Ignoto: emblema della memoria collettiva
Sintesi dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate
mercoledì 3 novembre 2021
22.19
Quattro Novembre 2021". Una pagina di storia che continua senza tregua a rinverdire l'amore per la vita, la custodia della pace, come strumenti insostituibili per il benessere e la felicità di ogni comunità umana nel rispetto delle diversità. Quest'anno si celebra il centenario dell'istituzione del "Milite Ignoto", ancora una volta una grande occasione per riflettere sul perché delle guerre, nonostante la vanagloria del "progresso", di cui spesso andiamo fieri, come mezzo per il raggiungimento della "felicità". È un invito ad interrogarsi e a riflettere su cosa facciamo oggi, affinché i nostri antenati non siano morti invano per costruire una Patria che abbia sempre a cuore il "bene comune", la "vita", e non senta più la necessità di ricorrere alla violenza, qualunque ne sia la matrice. La Grande Guerra, a cui è correlata la nascita di questa istituzione, fu una guerra seria, molto sentita e nello stesso tempo rigettata per le crudeltà connesse, da coloro che vi parteciparono, una guerra di indipendenza secondo alcuni storici, che completò il nostro territorio e contribuì a cementare il senso di unità nazionale, proprio con i suoi errori, le sue distruzioni, sacrifici patiti insieme.
Fu una prova terribile per l'Italia unita, poteva scomparire e invece fu una realtà: ritrova se stessa e la sua identità di Nazione. Questo centenario del Milite Ignoto è l'occasione propizia, ancora una volta, a compiere una doverosa e sofferta lotta di liberazione della memoria, che è la speranza del futuro, per far emergere e non dimenticare il valore, il sacrificio dei nostri soldati in un conflitto in cui tutta l'organizzazione militare, dalla vita nelle trincee agli scontri diretti annullò i valori di "umanità". Per questo lo Stato Italiano si fece promotore dell'invenzione di un simbolo felice e potente di questa tragedia: il Milite Ignoto. Se unione nazionale significa nel profondo coesistenza di memorie condivise per i suoi lutti e le sue distruzioni patite insieme, il simbolo del Milite Ignoto ha contribuito a cementare questo senso di nazionalità. Una salma scelta a caso doveva rimanere il segno del sacrificio di centinaia di migliaia di giovani che erano caduti sui vari fronti del conflitto.
Quel povero "fantaccino" sarebbe stato tumulato a Roma al centro del gigantesco monumento del Vittoriano divenendo luogo di una doppia memoria storica. Esso fu inaugurato nel 1911 dal Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti in onore del Re Vittorio Emanuele II, che aveva costruito l'unità d'Italia, consacrandolo come "Padre della Patria". È oblio oggi di quanto è scritto sui due frontoni del Vittoriano: "Patriae Unitati (all'unità della Patria)", ma anche e soprattutto "Civium Libertati (alla libertà dei cittadini)". Il regno di Vittorio Emanuele con il suo coinvolgimento nel Risorgimento, ha coinciso con la fine dell'antico regime delle monarchie assolute, delle servitù feudali e l'inizio della lenta espansione delle libertà borghesi, della democrazia rappresentativa dei diritti civili.
L'Italia vinse quella guerra, nonostante la tragedia di Caporetto (1917), grazie al sacrificio dei suoi soldati. Infatti sulle rive del Piave gli italiani avevano ritrovato se stessi, tutti gli italiani, non soltanto quelli che ne furono coscienti e contenti: anche Parri alla fine della sua lunga e significativa esperienza militare, partigiana e politica del secondo dopoguerra concluse che la battaglia del solstizio (15-24 giugno) fu l'unica vera battaglia nazionale di cui il nostro paese si possa veramente gloriare.
Con un disegno di legge del giugno 1921 il monumento viene designato per accogliere una nuova memoria: il "Milite Ignoto". Il Ministero della guerra, allora presieduto dal ministro Gasparotto, procedette alla nomina di una commissione costituita da vari rappresentanti dell'esercito di vario grado, dal generale al semplice soldato che avevano partecipato alla guerra, con il compito di raccogliere sui campi delle battaglie più cruente in cui si era immolato il maggior numero di soldati, undici salme di fanti sconosciuti e deporle nel tempio romano di Aquileia, dove si sarebbe svolta la cerimonia della scelta della salma che sarebbe diventata il "Milite ignoto" da tumulare a Roma al Vittoriano. La commissione guidata dal tenente Augusto Tognasso, uno dei valorosi superstiti, cominciò il suo viaggio di ricerca partendo dalla pianura friulana verso la Valsugana, Trento, Rovereto, il monte Pasubio, l'altipiano di Asiago, Bassano il monte Grappa, il Montello, lungo il Piave, Udine con le zone di Tolmezzo, il passo della Mauria, Pieve di Cadore, Cortina dove furono esplorate le cime di Falzarego e le Tofane, Gorizia, l'Isonzo, il San Michele e tutta la zona del Carso. La ricerca delle salme era difficile, data l'asperità del luogo montano; i segnali, che facevano supporre la presenza di salme, erano rozze croci di legno, grovigli di filo spinato, a volte nascosti in crepacci, insenature di pareti rocciose pericolose. Quando trovavano salme a cui non era possibile dare una identità, veniva scelta, ricomposta nella bara e portata nella chiesa del paese più vicino.
Le salme lungo il percorso venivano continuamente vegliate dalla devozione di ex combattenti, madri, vedove, orfani. A volte capitava in alcune zone che l'esplorazione non dava alcun risultato, perché l'Ufficio cura onoranze salme caduti in guerra aveva provveduto a ricomporre e dare sepoltura, nei cimiteri di guerra, ai resti dei moltissimi soldati senza nome. In questi casi la scelta delle tombe da esumare veniva affidata alla sorte. La stessa cosa accadeva, quando nella zona esplorata emergevano i resti di due fanti di cui uno veniva tumulato nei cimiteri di guerra della zona. A Gorizia terminò la missione. Qui le salme furono onorate da folle di popolo, era risorto lo spirito nazionale anche in quelli che erano stati contrari alla guerra. Dopo una grande cerimonia le salme furono trasportate nel tempio di Aquileia. Infatti la mattina del 27 ottobre le 11 salme attraversarono Gorizia spalla a spalla, al loro passaggio il popolo si inginocchiava con devozione e lanci di fiori. Giunte alla stazione, le salme ricevettero la benedizione di un cappellano militare, furono caricate su appositi autocarri ornati di lauro e tricolori, mentre la musica della canzone del Piave si diffondeva nell'aria.
Il 28 ottobre, quando il convoglio giunse ad Aquileia, fu una data storica per la città, divenuta altare di eroi e perciò meta quella mattina di migliaia di devoti, giunti per assistere al rito solenne per la scelta della salma senza nome che doveva essere tumulata al Vittoriano a Roma. Chi avrebbe scelto la salma? Naturalmente una madre che non sa dove riposa la sua creatura. Ma la Commissione rievocando lo spirito della nostra guerra (la liberazione delle terre irredente del Trentino e del Friuli), in omaggio ai martiri delle terre Redente e alla passione, sofferenza dei lunghi anni di esilio sopportata da quei "figli d'Italia", deliberò di scegliere una popolana ebrea, Maria Bergamas di Trieste, ormai redenta, il cui figlio Antonio, unico suo sostegno e sua speranza, disertò l'esercito austriaco per correre volontariamente sotto la bandiera d'Italia per la quale combatté da umile e ardente soldato, fino a che in combattimento trovò la morte e il suo corpo non si poté rintracciare.
Infatti così le scriveva il figlio un anno prima di essere falciato da una mitragliatrice: "Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non ci sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto, sia andato a morire sui campi di battaglia. Perdonami dell'immenso dolore ch'io ti reco e di quello ch'io reco a mio padre e a mia sorella, ma credilo mi riesce mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese, al mare nostro, per la patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una Patria che non era la mia e che io odiavo. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso Selvaggio".
Questa doveva scegliere fra undici bare di fantaccini sconosciuti, come suo figlio, quella del soldato che sarebbe diventato il Milite Ignoto. Ella sfilò davanti alle bare quasi le stringesse in un abbraccio amorevole finché giunse di fronte alla penultima, dove l'emozione la vinse e chiamando per nome il suo figliolo cadde in ginocchio abbracciando quel feretro e svenne senza poter salutare l'ultima salma. Visse ancora per molti anni, sperimentò il diritto di voto, sancito per la prima volta alle donne, simbolo della nuova patria democratica, per la quale il figlio era morto in una terra che lei stessa pensava sconosciuta, finalmente liberata dalla "furia" delle guerre, grazie alla forza del diritto sancito dalla nostra meravigliosa Costituzione.
Oggi Maria Bergamas riposa nel cimitero di Aquilea accanto alle altre dieci bare rimaste. Ecco, quella bara di un ragazzo sconosciuto, senza nome, doveva rimanere il segno del sacrificio di centinaia di migliaia di ragazzi caduti senza nomi sui vari fronti del conflitto. Il 1° novembre 1921 Il ministro della guerra Gasparotto ha conferito la medaglia d'oro al valor militare al Milite Ignoto con la seguente motivazione: "Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il sui coraggio nelle più cruenti battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria – 24 maggio 1915 – 4 novembre 1918".
- Soldato senza nome e senza storia. Egli è la Storia: la storia del nostro lungo travaglio, la storia della nostra grande vittoria. - Il treno che recava la bara, guidato dal più esperto macchinista dello scalo romano di S. Lorenzo, attraversò buona parte dell'Italia, tra due siepi di popoli in ginocchio che lanciavano fiori, commossi e devoti, riconoscendo in quella salma un proprio caro disperso su cui non avevano potuto piangere. Una cerimonia solenne accolse la salma alla stazione Termini, abbracciata ancora una volta da una folla di cittadini. Dopo la cerimonia religiosa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, venne tumulata al centro del gigantesco monumento dedicato a Vittorio Emanuele cambiandogli il senso: "Anche Lui, soldato ignoto, aveva contribuito alla vittoria, alla costruzione della Patria comune". Era il 4 novembre 1921. Da quel giorno il Milite Ignoto, simbolo dell'altare della Patria, sarà onorato non solo da tutti gli italiani nei rispettivi paesi, ma soprattutto da tutti i capi di Stato e sovrani in visita nel nostro paese. Infatti non c'è visita di Stato che non contempli un omaggio al Milite Ignoto, presidiato da allora giorno e notte da un picchetto d'onore della marina, dell'aeronautica e dell'esercito.
Agata Pinnelli
Alcune conoscenze sono state ricavate dall'opuscolo "Militi Ignoto" di Augusto Tognasso pubblicato il 4/11/1922 ed in mostra a "La Memoria di Carta" della collezione di riviste della Famiglia Palmieri donata alla Città di Canosa di Puglia.
Fu una prova terribile per l'Italia unita, poteva scomparire e invece fu una realtà: ritrova se stessa e la sua identità di Nazione. Questo centenario del Milite Ignoto è l'occasione propizia, ancora una volta, a compiere una doverosa e sofferta lotta di liberazione della memoria, che è la speranza del futuro, per far emergere e non dimenticare il valore, il sacrificio dei nostri soldati in un conflitto in cui tutta l'organizzazione militare, dalla vita nelle trincee agli scontri diretti annullò i valori di "umanità". Per questo lo Stato Italiano si fece promotore dell'invenzione di un simbolo felice e potente di questa tragedia: il Milite Ignoto. Se unione nazionale significa nel profondo coesistenza di memorie condivise per i suoi lutti e le sue distruzioni patite insieme, il simbolo del Milite Ignoto ha contribuito a cementare questo senso di nazionalità. Una salma scelta a caso doveva rimanere il segno del sacrificio di centinaia di migliaia di giovani che erano caduti sui vari fronti del conflitto.
Quel povero "fantaccino" sarebbe stato tumulato a Roma al centro del gigantesco monumento del Vittoriano divenendo luogo di una doppia memoria storica. Esso fu inaugurato nel 1911 dal Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti in onore del Re Vittorio Emanuele II, che aveva costruito l'unità d'Italia, consacrandolo come "Padre della Patria". È oblio oggi di quanto è scritto sui due frontoni del Vittoriano: "Patriae Unitati (all'unità della Patria)", ma anche e soprattutto "Civium Libertati (alla libertà dei cittadini)". Il regno di Vittorio Emanuele con il suo coinvolgimento nel Risorgimento, ha coinciso con la fine dell'antico regime delle monarchie assolute, delle servitù feudali e l'inizio della lenta espansione delle libertà borghesi, della democrazia rappresentativa dei diritti civili.
L'Italia vinse quella guerra, nonostante la tragedia di Caporetto (1917), grazie al sacrificio dei suoi soldati. Infatti sulle rive del Piave gli italiani avevano ritrovato se stessi, tutti gli italiani, non soltanto quelli che ne furono coscienti e contenti: anche Parri alla fine della sua lunga e significativa esperienza militare, partigiana e politica del secondo dopoguerra concluse che la battaglia del solstizio (15-24 giugno) fu l'unica vera battaglia nazionale di cui il nostro paese si possa veramente gloriare.
Con un disegno di legge del giugno 1921 il monumento viene designato per accogliere una nuova memoria: il "Milite Ignoto". Il Ministero della guerra, allora presieduto dal ministro Gasparotto, procedette alla nomina di una commissione costituita da vari rappresentanti dell'esercito di vario grado, dal generale al semplice soldato che avevano partecipato alla guerra, con il compito di raccogliere sui campi delle battaglie più cruente in cui si era immolato il maggior numero di soldati, undici salme di fanti sconosciuti e deporle nel tempio romano di Aquileia, dove si sarebbe svolta la cerimonia della scelta della salma che sarebbe diventata il "Milite ignoto" da tumulare a Roma al Vittoriano. La commissione guidata dal tenente Augusto Tognasso, uno dei valorosi superstiti, cominciò il suo viaggio di ricerca partendo dalla pianura friulana verso la Valsugana, Trento, Rovereto, il monte Pasubio, l'altipiano di Asiago, Bassano il monte Grappa, il Montello, lungo il Piave, Udine con le zone di Tolmezzo, il passo della Mauria, Pieve di Cadore, Cortina dove furono esplorate le cime di Falzarego e le Tofane, Gorizia, l'Isonzo, il San Michele e tutta la zona del Carso. La ricerca delle salme era difficile, data l'asperità del luogo montano; i segnali, che facevano supporre la presenza di salme, erano rozze croci di legno, grovigli di filo spinato, a volte nascosti in crepacci, insenature di pareti rocciose pericolose. Quando trovavano salme a cui non era possibile dare una identità, veniva scelta, ricomposta nella bara e portata nella chiesa del paese più vicino.
Le salme lungo il percorso venivano continuamente vegliate dalla devozione di ex combattenti, madri, vedove, orfani. A volte capitava in alcune zone che l'esplorazione non dava alcun risultato, perché l'Ufficio cura onoranze salme caduti in guerra aveva provveduto a ricomporre e dare sepoltura, nei cimiteri di guerra, ai resti dei moltissimi soldati senza nome. In questi casi la scelta delle tombe da esumare veniva affidata alla sorte. La stessa cosa accadeva, quando nella zona esplorata emergevano i resti di due fanti di cui uno veniva tumulato nei cimiteri di guerra della zona. A Gorizia terminò la missione. Qui le salme furono onorate da folle di popolo, era risorto lo spirito nazionale anche in quelli che erano stati contrari alla guerra. Dopo una grande cerimonia le salme furono trasportate nel tempio di Aquileia. Infatti la mattina del 27 ottobre le 11 salme attraversarono Gorizia spalla a spalla, al loro passaggio il popolo si inginocchiava con devozione e lanci di fiori. Giunte alla stazione, le salme ricevettero la benedizione di un cappellano militare, furono caricate su appositi autocarri ornati di lauro e tricolori, mentre la musica della canzone del Piave si diffondeva nell'aria.
Il 28 ottobre, quando il convoglio giunse ad Aquileia, fu una data storica per la città, divenuta altare di eroi e perciò meta quella mattina di migliaia di devoti, giunti per assistere al rito solenne per la scelta della salma senza nome che doveva essere tumulata al Vittoriano a Roma. Chi avrebbe scelto la salma? Naturalmente una madre che non sa dove riposa la sua creatura. Ma la Commissione rievocando lo spirito della nostra guerra (la liberazione delle terre irredente del Trentino e del Friuli), in omaggio ai martiri delle terre Redente e alla passione, sofferenza dei lunghi anni di esilio sopportata da quei "figli d'Italia", deliberò di scegliere una popolana ebrea, Maria Bergamas di Trieste, ormai redenta, il cui figlio Antonio, unico suo sostegno e sua speranza, disertò l'esercito austriaco per correre volontariamente sotto la bandiera d'Italia per la quale combatté da umile e ardente soldato, fino a che in combattimento trovò la morte e il suo corpo non si poté rintracciare.
Infatti così le scriveva il figlio un anno prima di essere falciato da una mitragliatrice: "Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non ci sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto, sia andato a morire sui campi di battaglia. Perdonami dell'immenso dolore ch'io ti reco e di quello ch'io reco a mio padre e a mia sorella, ma credilo mi riesce mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese, al mare nostro, per la patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una Patria che non era la mia e che io odiavo. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso Selvaggio".
Questa doveva scegliere fra undici bare di fantaccini sconosciuti, come suo figlio, quella del soldato che sarebbe diventato il Milite Ignoto. Ella sfilò davanti alle bare quasi le stringesse in un abbraccio amorevole finché giunse di fronte alla penultima, dove l'emozione la vinse e chiamando per nome il suo figliolo cadde in ginocchio abbracciando quel feretro e svenne senza poter salutare l'ultima salma. Visse ancora per molti anni, sperimentò il diritto di voto, sancito per la prima volta alle donne, simbolo della nuova patria democratica, per la quale il figlio era morto in una terra che lei stessa pensava sconosciuta, finalmente liberata dalla "furia" delle guerre, grazie alla forza del diritto sancito dalla nostra meravigliosa Costituzione.
Oggi Maria Bergamas riposa nel cimitero di Aquilea accanto alle altre dieci bare rimaste. Ecco, quella bara di un ragazzo sconosciuto, senza nome, doveva rimanere il segno del sacrificio di centinaia di migliaia di ragazzi caduti senza nomi sui vari fronti del conflitto. Il 1° novembre 1921 Il ministro della guerra Gasparotto ha conferito la medaglia d'oro al valor militare al Milite Ignoto con la seguente motivazione: "Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il sui coraggio nelle più cruenti battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria – 24 maggio 1915 – 4 novembre 1918".
- Soldato senza nome e senza storia. Egli è la Storia: la storia del nostro lungo travaglio, la storia della nostra grande vittoria. - Il treno che recava la bara, guidato dal più esperto macchinista dello scalo romano di S. Lorenzo, attraversò buona parte dell'Italia, tra due siepi di popoli in ginocchio che lanciavano fiori, commossi e devoti, riconoscendo in quella salma un proprio caro disperso su cui non avevano potuto piangere. Una cerimonia solenne accolse la salma alla stazione Termini, abbracciata ancora una volta da una folla di cittadini. Dopo la cerimonia religiosa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, venne tumulata al centro del gigantesco monumento dedicato a Vittorio Emanuele cambiandogli il senso: "Anche Lui, soldato ignoto, aveva contribuito alla vittoria, alla costruzione della Patria comune". Era il 4 novembre 1921. Da quel giorno il Milite Ignoto, simbolo dell'altare della Patria, sarà onorato non solo da tutti gli italiani nei rispettivi paesi, ma soprattutto da tutti i capi di Stato e sovrani in visita nel nostro paese. Infatti non c'è visita di Stato che non contempli un omaggio al Milite Ignoto, presidiato da allora giorno e notte da un picchetto d'onore della marina, dell'aeronautica e dell'esercito.
Agata Pinnelli
Alcune conoscenze sono state ricavate dall'opuscolo "Militi Ignoto" di Augusto Tognasso pubblicato il 4/11/1922 ed in mostra a "La Memoria di Carta" della collezione di riviste della Famiglia Palmieri donata alla Città di Canosa di Puglia.